“Se vogliamo essere davvero ‘green’ dobbiamo anche tagliare alberi”. Le foreste coprono 1/3 della superficie italiana, ma le conosciamo sempre meno

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Può sembrare strano, ma l’argomento che ha stimolato le discussioni più accese in questi primi undici mesi de L’AltraMontagna non è stata la presenza dell’orso o del lupo e neppure la perenne disputa che ruota attorno alla neve artificiale. Il gradino più alto del podio non è nemmeno occupato dalla pista da bob di Cortina o dal turismo di massa che rischia di svilire alcune località montane.

 

A scaldare gli animi e a stimolare i confronti più agguerriti (e in molti casi interessanti) è stata senza ombra di dubbio la gestione forestale dei boschi italiani. Un tema all’apparenza innocuo, ma che innocuo evidentemente non è: forse a causa di molte incomprensioni, luoghi comuni, falsi miti e infondate credenze; oppure perché abbiamo perso la capacità di leggere il paesaggio e di orientarci con consapevolezza nel territorio, offrendo la giusta interpretazione alla nostra presenza. A riflettere questa dinamica è una sostanziale povertà terminologica: con una difficoltà via via crescente facciamo infatti fatica a trovare le parole più adeguate per raccontare i boschi. Li vediamo, li percepiamo, ma allo stesso tempo non riusciamo a tratteggiare il loro carattere articolato, la loro connaturata complessità, il loro rapporto con le comunità.

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Riflettendoci, però, tale fatica a cogliere le diverse sfumature è alquanto bizzarra, considerato che le foreste coprono 1/3 della superficie italiana (circa il 40%). Vi sono più boschi che aree agricole. Tuttavia, adottando uno sguardo aereo sulla penisola, salta immediatamente all’occhio una bipartizione netta che se da un lato vede il dominio di aree verdi, dall’altro sconfina nel grigio del cemento e del consumo di suolo. Oltre a evidenziare l’assetto dicotomico strutturatosi negli ultimi decenni – innescato dall’abbandono delle aree interne e dalla conseguente concentrazione demografica attorno ai principali poli urbani – quest’immagine “satellitare” ci suggerisce un progressivo allontanamento sociale da una vita a stretto contatto con il territorio e con i meccanismi che lo regolano.

 

A partire da un fenomeno sociale, quindi, ha preso forma un processo culturale che ha iniziato a vedere le foreste come una vasta culla della natura incontaminata. A dirla tutta, però, è una narrazione che rispecchia in qualche misura una dimensione coloniale, perché è finalizzata espiare in montagna le colpe di una politica poco attenta alle dinamiche ecologiche dei contesti situati a quote inferiori.

 

Per questi e per altri aspetti risulta particolarmente indovinata la scelta del Teatro Verdi di Pordenone di aprire la rassegna R-Evolution Green (cinque appuntamenti dedicati alla montagna a cura del geografo Mauro Varotto) con una serata dedicata proprio ai boschi italiani e intitolata Cinquanta sfumature di verde: alberi, boschi e foreste.

 

Gli ospiti, il dottore forestale Luigi Torreggiani e lo storico Matteo Melchiorre, hanno così provato a restituire la necessaria obiettività a un tema troppo spesso trascurato o, peggio ancora, impugnato con approccio ideologico. Lo hanno fatto servendosi di dati, riflessioni e suggestioni letterarie che, in qualche modo, sono riuscite a capovolgere quelle traiettorie narrative mirate a separare l’essere umano dalla natura.

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“Le persone non vanno espulse dal bosco, perché sono parte integrante del bosco”, ha affermato durante la serata Melchiorre, raccontando l’evoluzione simbolica e percettiva del patrimonio verde italiano che oggi dà in qualche modo vita a un formidabile paradosso: “Spesso vogliamo tutelare il bosco in modo maniacale – ha evidenziato lo storico – ma poi, nei giardini delle nostre città, abbiamo il terrore assoluto della germinazione”.

 

Il legno è materia prima rinnovabile, riciclabile – ha aggiunto Torreggiani –. Se vogliamo essere davvero green, dobbiamo aggiungere a questo colore, così di moda, anche il marroncino del legno, e quindi anche tagliare alberi. Ma attenzione: nessuno parla di deforestazione o disboscamento, ma di gestione forestale sostenibile, svolta in aree idonee, mantenendo la tutela anche integrale in altre. Pensate: oggi importiamo circa l’80% del legname dall’estero, allungando così la filiera e aumentando le emissioni di gas serra provocate dal trasporto”.

 

Questi due spunti, se a un primo sguardo a qualcuno possono apparire forti, ci invitano a cambiare metro narrativo, perché è forse arrivato il momento di abbandonare la retorica della “montagna incontaminata” per abbracciare un discorso culturale rinnovato, che non idealizza la natura e che si faccia promotore di un rapporto equilibrato tra esseri umani e ambiente. 

 

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Anche perché relazionarsi con l’ambiente in modo consapevole è anche il primo passo per rispettare noi, specie umana, che di quell’ambiente “siamo parte integrante”.





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