L’America di Trump tra debito e spese per la difesa

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Trump chiede agli alleati Nato di portare le spese per la difesa al 5% del Pil. Il ministro Giorgetti, naturalmente, ha subito detto che è impossibile. Avrebbe potuto aggiungere che l’America stessa spende il 3,6% del Pil (vedi grafico), dove sono rappresentati anche i limiti del 5% e del 2% del Pil per le spese della difesa.

Nel grafico abbiamo lasciato fuori la sfortunata Ucraina, dove le spese per la difesa sono a un incredibile 37% del Pil. Allora, che cosa dire di questa ennesima esternazione del Presidente-eletto?

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Nella precedente amministrazione Trump il senatore repubblicano Bob Corker ebbe un velenoso scambio di insulti col Donald e, l’8 ottobre 2017, dopo aver rimarcato come, accanto al Presidente, aiutanti e consiglieri dovevano spesso calmarne i bollenti spiriti, disse che la Casa Bianca era diventata un “adult day care center”, insomma, un kindergarten per adulti. Ora il Presidente-eletto dice di aver imparato dalla prima presidenza. Speriamo, ma la serie di rodomontate prendersi il Canale di Panama e la Groenlandia, fare del Canada il 51° Stato, sparare cifre in libertà sulle spese per la difesa non lascia ben sperare.

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Profetizzava Isaia (2, 3-4), otto secoli prima di Cristo: «Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra». Ahimé, non è successo. E, con quel che è successo dall’invasione russa in Ucraina alla guerra nel Medio Oriente e alle bellicose dichiarazione di Trump, sempre più Paesi decidono di armarsi e riarmarsi: la profezia di Isaia si va capovolgendo: «Forgeranno i loro vomeri in spade, le loro falci in lance».

L’America di Trump è al centro di queste tensioni. E queste tensioni non riguardano solo le spese belliche. Niall Ferguson, un famoso storico anglo-americano, che insegna all’università di Harvard, ha enunciato quello che definisce «il mio solo contributo agli statuti della storiografia», la “Legge di Ferguson”: questa “legge” statuisce che, quando una grande potenza spende di più per pagare gli interessi che per la difesa, non rimarrà “grande” per molto.

E Ferguson trova conferme nella Spagna Asburgica, nelle Francia dell’ancien régime, nell’impero Ottomano, nell’Impero britannico E afferma che la validità di questa legge va a essere messa alla prova per gli Stati Uniti. In effetti, basta dare un’occhiata al grafico, che riporta, in percentuale del Pil, i dati trimestrali destagionalizzati della contabilità nazionale americana, per convincersi che l‘America ha un problema.

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I mercati se ne sono accorti. Il peso degli interessi sale, sia perché il mercato chiede tassi più alti per comprare titoli di un Paese a debito pubblico alto e crescente; sia perché i programmi della nuova Amministrazione Trump promettono più spese (vedi la costosa promessa delle deportazioni di massa degli illegali, costosa sia per il bilancio che per l’economia) e meno tasse (conferma del rinnovo dei tagli in scadenza, e aliquote più basse per le imprese).

Malgrado la Fed abbia abbassato i tassi-guida ormai di un punto intero da un anno a questa parte i tassi sui titoli pubblici a 10 anni hanno rifiutato la “guida” e sono invece saliti di tre quarti di punto. Certo, per rimettere in sesto il bilancio pubblico c’è la famosa “spending review” di Elon Musk, che dovrebbe tagliare il 30% della spesa federale (due trilioni di dollari). Musk ha cominciato a fare marcia indietro sui due trilioni, e ora dice che, per cominciare, punta a 1 trilione. Auguri.

C’è un malessere in America. E ben lo sanno i sostenitori del Maga (Make America Great Again’). Se bisogna rifare grande’ l’America, vuol dire che prima c’era molto che non andava. La transizione dalla Pax Americana’ a un mondo multipolare ha portato in crisi gli Stati Uniti: non sono più l’indiscusso “numero 1”. Col senno di poi, si capisce perché Trump ha vinto le elezioni: è andato a pescare in un malessere diffuso, in un reale anche se poco articolato desiderio di “rivincita”. Rimane da vedere se le cure che Trump si appresta a elargire saranno tali da rendere l’America “Great Again”. E l’esito della scommessa non riguarda solo l’America: riguarda anche noi poveri cristi del resto del mondo.





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