Ultrattività del mandato difensivo con procura speciale – Cass. Civ., SS. UU., 11 novembre 2024, n. 29812 – De Iustitia

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SOMMARIO: 1. Massima. 2. Il fatto. 3. La decisione. 4. Conclusioni.

Massima

In tema di ricorso per cassazione, la perdita della capacità processuale della parte ricorrente, tanto che si tratti di persona fisica quanto che si tratti di persona giuridica, avvenuta dopo il conferimento della procura speciale al difensore per il giudizio di cassazione ma prima della notifica del ricorso alla controparte, non ne determina l’inammissibilità, alla luce del principio di ultrattività del mandato.

Il fatto 

Il quesito sottoposto all’attenzione delle Sezioni Unite della Suprema Corte attiene ad una questione preliminare di carattere prettamente processuale, in riferimento alla quale vi sono state  – nel corso del tempo – pronunce contrastanti delle varie Sezioni della summenzionata Corte.
La prima domanda posta alla Corte di Legittimità riguardava gli effetti della cancellazione della società ricorrente dal registro delle imprese e quindi le conseguenze che la perdita della capacità processuale della parte ricorrente ha sul giudizio, nel caso in cui essa si verifichi prima che il ricorso di legittimità venga proposto, ma successivamente al conferimento del mandato difensivo con procura speciale.

La seconda domanda aveva carattere eventuale in quanto subordianta alla inammissibilità del ricorso per Cassazione poichè attinente alla regolamentazione delle spese di lite (se fossero eventualmente dovute dal difensore o dal rappresentate che conferiva la procura).

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Il Collegio seguiva il ragionamento esposto di seguito per giungere alle conclusioni riportante in calce alla presente nota.

Le principali tesi in prima istanza enunciate erano due:

La prima tesi statuisce che la regola dell’ultrattività del mandato opererebbe solo nel caso in cui gli eventi della morte o della perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore speciale sulla scorta di un mandato valido ed efficace al momento in cui l’azione è stata intrapresa, sopravvengano soltanto nel corso del giudizio.

La seconda tesi si proclama, invece, sostenitrice dell’ultrattività del mandato e degli atti, nonostante la sopravvenuta cancellazione della società prima che il giudizio sia stato effettivamente avviato e indipendentemente dalla cancellazione della società, intervenuta prima della notifica del ricorso di legittimità nei confronti dei successori della società cancellata, a patto che il mandatario abbia compiuto tale atto prima di conoscere la causa di estinzione del mandato, ossia l’intervenuta cancellazione dal registro delle imprese della società mandante.

Queste tesi e le relative Sentenze della Corte di Cassazione provocavano un acceso dibattito giurisprudenziale e dottrinale che convogliava nel 2013 in un sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte in cui, sul versante strettamente processuale, veniva innanzitutto fissato il presupposto per cui la cancellazione volontaria dal registro delle imprese di una società, ne determina l’estinzione e di conseguenza impedisce che essa possa agire o essere convenuta in giudizio. Nel caso in cui l’estinzione si dovesse verificare nel corso del processo, troverebbero applicazione gli artt. 299 e ss. c.p.c. in tema di interruzione del giudizio, così da contemperare i diritti processuali del successore della parte venuta meno e quelli della controparte.

La conclusione a cui giungevano le S.U. nel 2013 era quella dell’inammissibilità dell’impugnazione che provenga dalla società̀ cancellata o sia ad essa indirizzata.

Le Sezioni Unite sono, però, intervenute nuovamente l’anno successivo con la sentenza n. 15295 del 2014, avente ad oggetto una questione simile. Le S.U. ritenevano di dover risolvere la controversia ritornando ad affermare la teoria dell’ultrattività del mandato, allo scopo di garantire una stabilizzazione del processo.             Secondo la tesi riportata dalla Corte nel 2014, all’esterno il procuratore costituito continua a rappresentare la parte considerata esistente e capace, mentre nel rapporto interno –  avente natura di prestazione d’opera professionale di carattere pubblicistico – subentrano gli eredi o il rappresentante legale.

Tutto ciò, peraltro, con il doppio limite del grado di giudizio in pendenza nel quale si è verificato l’accadimento e della procura speciale necessaria per poter proporre ricorso in Cassazione.

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Chiaramente, la fattispecie in esame presenta delle differenze che non consentono una perfetta sovrapposizione dei ragionamenti e delle conclusioni apportate dalle sopracitate S.U. Innanzitutto non si trattava di una persona fisica come nella sentenza del 2014, ma il soggetto interessato era una società. Ancora, l’evento interruttivo non riguardava il soggetto nei cui confronti veniva proposta l’impugnazione, ma la parte che la proponeva; nel caso di specie, inoltre, la cancellazione e la conseguente estinzione della società di capitali intervenivano soltanto dopo il conferimento della procura alle liti da parte di un soggetto che era ancora legittimato a farlo, ma prima dell’avvio del procedimento di legittimità.

Alla luce delle citate differenze, il Giudice di Legittimità sviscerava il proprio ragionamento facendo diverse ipotesi. Innanzitutto valutava se il principio di ultrattività del mandato, così come delineato nella Decisione delle Sezioni Unite n.15295 del 2014, potesse trovare applicazione solo limitatamente alle persone fisiche, dato che le società sono sottoposte ad un particolare regime pubblicitario che consente a tutti di verificare se esse siano o meno esistenti e quali siano i soci e gli organi gestori.

Si ipotizzava, quindi, in prima istanza, una sovrapponibilità del caso in oggetto a quello esaminato nella pronuncia del 2013.

Secondo questa linea di pensiero, infatti, nonostante l’evento interruttivo avesse colpito la parte che proponeva l’impugnazione e non quella che la riceveva, comunque il giudizio non sarebbe potuto essere instaurato da una parte inesistente.

In particolare, si presupponeva che il soggetto sarebbe dovuto essere esistente non solo nel momento del rilascio della procura, ma anche successivamente, sino alla proposizionedell’impugnazione, poiché il principio di ultrattività del mandato potrebbe dirsi operante solo all’interno del medesimo grado del processo e non anche fra un grado e l’altro. Questa soluzione pone a carico del difensore un onere di verifica della esistenza della società, non solo al momento del conferimento della procura speciale, ma anche successivamente nel momento della proposizione del ricorso per Cassazione.

Ulteriore riflessione enunciato all’interno della Presente Pronuncia è invece nel senso dell’ammissibilità dell’ultrattività, in rimando alla sentenza del 2014. Con tale ragionaento si protendeva verso un’omologazione delle soluzioni proposte per la persona fisica anche sulla persona giuridica.
Sulla base di detta soluzione, una volta validamente conferita la procura speciale, sorgerebbe in capo al difensore l’obbligo di espletare l’attività difensiva demandata, a prescindere da ogni successiva evoluzione della vicenda endosocietaria. Ciò allo scopo di garantire la stabilità del processo e di tutelare anche gli interessi dei soci, quali successori, a coltivare un’impugnazione che comunque era stata ritenuta opportuna dall’ente.

La decisione

Nella fattispecie concreta il procedimento pendeva in fase di quiescenza “inter-grado”, fra il giudizio di merito e quello di legittimità e in un momento in cui quest’ultimo giudizio non era ancora stato instaurato, con tutte le conseguenze in tema di attività processuali espletate e di rischi di cristallizzazione delle pronunce, nonché di pregiudizi ai diritti delle parti.

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Se è corretto ritienere che – in ossequio del dictum della sentenza n.15295/2014 – per l’operatività dell’ultrattività del mandato si deve esigere il rilascio di una nuova procura speciale, non si può però assumere come necessario che il ricorso sia stato già notificato e che vi sia stata quindi la costituzione del rapporto processuale, attivo, di legittimità.

La scelta se notificare il ricorso o meno, una volta estinta la società ricorrente, è nella discrezionalità dell’avvocato e nella sua piena facoltà. Nonostante ciò, occorre comunque precisare che la stessa sentenza del 2014 imponeva al difensore che era a conoscenza dell’evento sopravvenuto al rilascio della procura speciale di informare i successori della parte e di coordinarsi con loro per la prosecuzione dell’azione.

L’avvocato è anche esposto ad una personale responsabilità̀ nei confronti della parte sostanziale, qualora dalla omessa dichiarazione della morte o del fatto esclusivo della capacità di stare in giudizio sia derivato a questa un pregiudizio. Di conseguenza, va riconosciuta al difensore la qualità di dominus litis a garanzia del rispetto del contraddittorio anche a favore dei diritti successori.  

Nella sentenza in analisi il Collegio specifica che nel caso in oggetto il difensore sceglie di avvalersi del potere discrezionale riconosciutogli dalla legge di rilasciare una dichiarazione con effetti processuali per una più efficace tutela della parte assistita, escludendo che egli possa incorrere, per questa ragione, nella violazione del dovere di verità deontologicamente codificato, nel caso in cui scelga di non dichiarare l’evento interruttivo che ha colpito la parte che egli rappresenta.

Conclusioni

L’eccezione preliminare proposta dalla controricorrente deve pertanto essere rigettata alla luce del principio di ultrattività del mandato, anche nel caso in cui la perdita della capacità processuale sia intervenuta dopo il conferimento della procura speciale, ma prima della notifica del ricorso.  

La seconda questione, di carattere eventuale, resta assorbita per effetto della soluzione nel senso dell’ammissibilità della prima questione.

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Pertanto, la Corte nella sentenza in oggetto dichiarava quindi ammissibile il ricorso sotto il profilo della capacità processuale della parte ricorrente e rimetteva l’esame dei motivi alla Seconda Sezione civile della Corte di Cassazione.



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