Chiunque lavori o abbia lavorato in Italia presso una startup, sa già quali sono gli ostacoli che si trovano quando tale impresa ha come cliente una azienda partecipata o la stessa Pubblica Amministrazione: il problema burocratico, le scartoffie, processi, certificazioni e, per esempio, piattaforme che non prevedono e contemplano nella loro anagrafica fornitori il modello, natura e soggetto startup.
La dicotomia azienda innovativa e pubblica amministrazione è una narrazione ancora lampante, nonostante alcune novità di questi ultimi anni abbiano dimostrato che l’adozione di tecnologie legate alla PA, per esempio lo Spid, sia stata una alternativa soddisfacente.
Parlare di govtech non vuol dire solo digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, ma consiste in un approccio più completo: il govtech infatti guarda al settore pubblico come uno dei driver fondamentali per l’innovazione. Serve a progettare in modo integrato l’innovazione nelle politiche pubbliche insieme al settore privato e con la partecipazione dei cittadini.
Nonostante che negli USA il primo fondo govtech risalga al 2014, iniziato con 50 milioni di dollari (early stage), e oltre 500 milioni per Serie A, e che negli ultimi anni investitori tra i nomi più importanti del VC globale stiano identificando il govtech come settore di investimento, in Italia il capitale privato di rischio ha dimensioni contenute e ritiene il settore pubblico come cliente molto rischioso in termini di investimento per incertezza nei tempi e nei pagamenti. E’ poco propenso a sostenere quella parte di innovazione early stage senza un back up.
Eppure secondo le valutazioni della Banca Mondiale (2022), l’Italia è tra i paesi più maturi all’approccio govtech (performance superiore del 44% alla media globale e del 14% a quella dei paesi del blocco Euro-asiatico). Il PNRR poi ha fornito un boost particolare per accrescerne il livello: si pensi a Torino che è stata riconosciuta leader mondiale dell’innovazione nel corso dell’ultimo web summit.
Oggi, presso la Sala Stampa della Camera dei Deputati, Feel ha presentato la sua ricerca dal titolo “GovTech for Italy”. Tra i risultati ottenuti con interviste a diversi player, sono state presentate proprio le problematiche tuttora comuni:
- forti sfide di tipo organizzativo e procedurale della PA (85%), nonostante ci sia una elevata consapevolezza di quanto l’innovazione sia diventata pervasiva, continua e rilevante anche nella stessa PA;
- criticità delle competenze (64%);
- allineamento con le direttive e cambiamento dei requisiti tecnologici e dei supporti disponibili dei vari enti: agid, dipartimento trasformazione, regioni, enti controllo o supporto tematici (25%)
- difficoltà da parte degli enti a lavorare in regime di sperimentazione agile (73%). E questo per diversi motivi: 1)l’opzione degli appalti innovativi è sovradimensionata per impegno e complessità amministrativa, e quindi sotto-utilizzata dagli enti, che ricorrono ad un approccio basato su progetti pilota sotto soglia che difficilmente fanno scalare le soluzioni (56%); 2) il trade-off tra i rischi connessi all’innovazione e la necessità dei risultati immediati (25%); 3) spesso le soluzioni govtech, essendo innovative, operano in zone grigie o implicano una revisione dell’impianto normativo (13%).
Per questo oggi Feel ha seguito la narrazione con delle proposte atte a migliorare il govtech italiano e rendere il settore pubblico più efficace e più attrattivo, quali:
- quelle legate alla governance, come l’aggregazione di livelli decisionali e gestionali per favorire lo sviluppo di modelli basati su aggregazioni di Enti Locali per la governance della trasformazione digitale e l’adozione di tecnologie govtech;
- la semplificazione procurement per l’innovazione al fine di Ridurre le barriere all’ingresso, semplificando le procedure e le richieste documentali
- aspetti più innovativi, come ad esempio una Sandbox regolatoria a livello locale: è necessario definire aree speciali territoriali ove poter sperimentare la validità socio-tecnica delle innovazioni e definire adattamenti (delle tecniche e/o delle normative)
- più competenze per l’innovazione: maggiori skill manageriali e specialistiche con revisione dei meccanismi di ingresso, compensazione e crescita per aumentare l’attrattività della PA per i professionisti
Per quanto invece concerne la crescita e il mercato, Feel ha proposto la nascita di un fondo e acceleratore di startup e pmi innovative govtech. Servirà per sostenere e sviluppare una filiera strategica per il Paese composta di startup, PMI innovative e corporate venture building da parte di grandi imprese tecnologiche.
Tutte queste iniziative sono state ben accolte dai politici presenti. Per Giulia Pastorella (Azione) tali tecnologie all’interno del govtech, se aiutano a semplificare la vita e l’accesso alla PA, sono fondamentali “per mantenere la fiducia del cittadino, qualora il rapporto tra PA e cittadino sia complesso”.
Giulio Centemero (Lega) ha invece commentato che “potenziare la tecnologia per migliorare la pubblica amministrazione e la partecipazione dei cittadini deve essere una priorità della politica. È una sfida in cui l’Italia non può permettersi di rimanere indietro” e che “quanto illustrato oggi nelle proposte presentate dalla ricerca di Feel deve incoraggiare ancor di più le istituzioni ad investire in quei progetti innovativi che possano favorire il progresso e una governance efficiente del Paese”.
Alessandro Cattaneo (Forza Italia) ha voluto sottolineare l’importanza del govtech offrendo una panoramica molto attuale: «siamo ora in un momento in cui lo tsunami della nuova amministrazione americana si abbatte sul mondo, nel momento in cui Musk dice che con l’intelligenza artificiale sfalcerà tutti i dipendenti della pubblica amministrazione americana, che vista da qua sembra già efficiente e molto snella rispetto a quanto appare veramente». Quello che l’Italia potrebbe fare secondo Cattaneo è “uno scatto in avanti rispetto a tutto ciò che è l’innovazione digitale all’interno dei governi” e per farlo bisogna essere “pragmatici” e un “po’ graduali”: lo si potrebbe fare solo se il privato sussidi il pubblico e quindi che il pubblico esternalizzi nel privato. “Questo è un tema tuttora molto sentito e caldo – si pensi ai tanti carrozzoni nati in Italia con le aziende partecipate. Se le sfide dell’Italia, come stato membro, sono le stesse che riguardano l’Europa, e, sebbene oggi l’impatto economico proveniente dal govtech – secondo il World Economic Forum – è di circa 610 milioni di dollari nel mondo e “diventerà 1,4 triliardi fra dieci anni” (Simone de Battisti, co-fondatore di Feel), bisogna tener presente che in questa cornice il settore si inserisce benissimo anche nel progetto del 28° regime, dove finora ci sono state diverse ricette (report Draghi e rapporto Letta). Oggi quindi la vera sfida del govtech è di tutti, ed è quella di “riuscire a creare tecnologie che funzionino in un continente regolatorio come quello europeo” (Lorenzo Basso, PD).
“Costruire un ecosistema govtech implica sostenere settori strategici ed innovativi del Paese, attrarre investimenti e direzionarli verso imprese innovative che hanno come focus lo sviluppo di soluzioni tecnologiche alle sfide del sistema pubblico. In questo senso anche il ruolo del procurement pubblico è centrale, in affiancamento a capitali dedicati da investire. Il govtech vale in Italia 12 miliardi di euro nel 2024 e può arrivare a 50 entro il 2031“(Andrea Landini, co-fondatore di Feel).
“La sfida per i leader di governo e i responsabili politici è chiara: per realizzare questo potenziale, ci deve essere un impegno ad abbracciare l’innovazione e superare le barriere ereditate. Servono competenze digitali di tre livelli per gestire l’innovazione e la transizione digitale: manageriali, specialistiche e diffuse. Le leve sono due: attrazione di nuove risorse e capacity building. Con un’età media dei dipendenti pubblici di 50,7 anni e un terzo di loro che andrà in pensione nei prossimi 10 anni, è un tema urgente e importante” (Marcello Coppa, co-fondatore di Feel).
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