Piove, ONG ladre: cosa c’è dietro la campagna contro gli ambientalisti in Europa

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Davide Sabbadin
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Ha fatto specie, sulla stampa di Bruxelles, la notizia che in dicembre ci sono state in totale otto ore di sole in città. Avete letto bene: otto. In un mese intero. Il dato ha chiuso degnamente l’anno più piovoso della storia del paese, da quando si registrano le precipitazioni, ovvero dal 1833.

L’umore in città non è dei migliori, se è vero com’è vero che pure i locali mugugnano e parlano di depressione da maltempo. Inevitabilmente, il meteo influenza anche l’umore, che a sua volta influenza anche la motivazione.

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La lettera della Commissione alle ONG

Per questa ragione, è stato particolarmente duro il colpo di fine anno che ha cercato di infliggere la Commissione Europea alle ONG ambientaliste attraverso una strana, arzigogolata lettera di cui – per ora – si è venuto a sapere molto poco.

In pratica la Commissione Europea, che per trattato istitutivo promuove e facilita il dialogo extra istituzionale con la società civile e i portatori di interessi che la rappresentano, sotto forte pressione del Parlamento – e di alcuni stati membri, si dice – ha mandato tre lettere a una trentina di beneficiari del fondo “core grant” LIFE, che è dedicato a finanziare il funzionamento delle associazioni di livello europeo che rappresentano in maniera strutturata la voce dei cittadini sul tema ambientale.

Il fondo conta per lo 0,006 del bilancio della UE, ma è vitale per la sopravvivenza delle attività a Bruxelles di, per fare dei nomi, WWF, Friends of the Earth, European Environmental Bureau (l’organizzazione per cui chi scrive lavora) e altre realtà meno note ai cittadini ma fondamentali per la tutela dell’ambiente.

Le lettere erano di tono leggermente diverso tra loro, ma sostanzialmente tutte dicevano la stessa cosa: smettetela di usare i soldi che della Commissione Europea per fare quello che dovreste fare, ovvero advocacy.

La Commissione, tramite CINEA, la sua agenzia che si occupa del controllo dei finanziamenti LIFE, in poche parole cerca di limitare la capacità di incidere della società civile. Le associazioni, certo, possono ancora scrivere documenti, redigere indagini e report, proporre analisi e contro-analisi. Ma non le possono mandare ai parlamentari o alla Commissione Europea suggerendo che le norme si ispirino ad esse. Cioè dovrebbero farlo per il gusto di farlo. E sperare che qualcuno, di sua sponte, andasse a leggersele.

Fondi pubblici per il pluralismo

Uno potrebbe dire: “Eh no! dicono solo di non usare i soldi pubblici per quello scopo”. Ma il punto è che quei soldi pubblici sono stanziati proprio per questo scopo, ovvero per consentire alle associazioni di rappresentare idee, punti di vista, presso i decisori politici. Per dare una voce diversa – spesso l’unica – rispetto alle centinaia di lettere e incontri che questi decisori politici hanno con le industrie (che peraltro sono anch’esse beneficiarie dei fondi LIFE, ma questa è un’altra storia). Per fare un esempio, è un po’ come se la legge che finanzia la stampa desse i contributi per scrivere gli articoli, stampare i giornali ma proibisse di diffonderli. E sempre per essere chiari: senza quei soldi, quelle voci non ci saranno.

Va detto peraltro questi fondi sono – giustamente – rendicontati fino all’ ultimo euro. Non esiste, credo, un fondo che sia così severamente e attentamente monitorato come quello. Ogni organizzazione beneficiaria viene fatta oggetto di un audit annuale, dove deve dimostrare di avere usato tutti i soldi per le attività e gli obiettivi che aveva ovviamente preventivato e di aver ottenuto i risultati che si era preposta, o almeno averci provato. Compresi gli obiettivi di provare a cambiare la normativa, quindi di advocacy presso la stessa Commissione, o il Parlamento. Ogni organizzazione, quindi, riceve la visita di due o tre persone che per una settimana rimangono negli uffici e spulciano ricevute, spese, bonifici, stipendi ecc. Non uno sforzo banale, quindi, che richiede la massima professionalizzazione amministrativa per le ONG beneficiarie, tra l’altro.

E giova anche ricordare che pure le lobby industriali piu grandi e potenti, pure loro pigliano soldi pubblici per avere modo di esprimersi. Come se non avessero fondi sufficienti…

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La lettera chiedeva delle misure retroattive che, dopo una serie di colloqui informali, sono state riviste, segnando quindi un punto a favore delle ONG. Ma rimane il segnale. E ovviamente il precedente, rispetto ai prossimi piani di lavoro da finanziare.

Ma perché tutto questo, e soprattutto perché ora?

La campagna del (centro) destra contro il Green Deal

Perché il centro destra nel Parlamento Europeo ha iniziato questa legislatura con una campagna anti-Green Deal e ha già portato a casa tre obiettivi che stavano nel suo programma politico: il ritardo di un anno dell’entrata in vigore dell’applicazione della norma anti-deforestazione, la declassificazione del lupo come animale non protetto e quindi cacciabile e la semplificazione delle norme di audit ambientale per le imprese. Quella di limitare le attività delle ONG ambientaliste è solo la seguente, nella lista, priorità “ambientale” del programma del PPE, di cui fa parte l’italiana Forza Italia.

Forte dell’appoggio dei partiti sovranisti di estrema destra, infatti, il centro destra fa leva sulla confusione generata dallo scandalo “Qatargate”, dove finte organizzazioni non governative create da politici fungevano da lavanderie per le mazzette, per fare di tutte le ONG un fascio e tacciarle di “poca trasparenza” e “opacità operativa”.  Questa dei fondi LIFE, c’è da aspettarsi, non è che la prima di una serie di mosse che avvicineranno, nelle intenzioni dei proponenti, la UE alla Cina di Xi Jinping, alla Russia di Putin e a tanti altri stati autoritari che da tempo hanno limitato o eliminato lo spazio di azione politica delle ONG.

Uno “scandalo” senza fondamento

Da un recente dibattito parlamentare infatti, infatti, è emerso che alcuni politici hanno intenzione di proporre uno specifico regolamento europeo per le ONG, che punti per esempio a fare dichiarare come “foreign agent” tutte quelle che prendessero soldi da finanziatori extra UE, come ad esempio fondazioni filantropiche internazionali. E quindi escluderle dalla lista delle associazioni accreditate che hanno accesso agli spazi delle istituzioni europee e possono incontrare funzionari della Commissione o assistenti parlamentari. Insomma, una legge bavaglio come quella pensata dalla Cina, anni fa, e copiata poi un po’ da tutti i dittatori. Il resoconto che è stato fatto di questo dibattito, che parla già di “scandalo”su nessuna base giuridica – dice molto di come andranno le cose sulla stampa.

Come andrà a finire?  Per ora la Commissione ha rivisto alcune sue richieste ma la battaglia, finora sottotraccia, potrebbe infuriare già dal 2025. E sarà una battaglia per la difesa della pluralità di opinioni, non dissimile a quella sulla tutela della libertà di stampa. Buon anno a tutte e tutti, intanto.



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