Crediti fotografici: Cultivar Agency
Al Madrigale: tutto sulla nuova cucina di Daniele Lippi a Tivoli
Il centro storico di Tivoli è uno dei borghi più suggestivi del centro Italia. Camminare tra i vicoli che si snodano in un manipolo di tetti incastrati tra grotte, templi romani e cascate d’acqua cristallina, ti proietta nella storia più antica della città di Roma e Villa Gregoriana, Villa Adriana e Villa D’Este, queste ultime riconosciute siti patrimonio dell’UNESCO, sono ancora oggi alcune delle testimonianze più sfarzose della magnificenza romana.
Il potenziale storico e architettonico della bellezza di Tivoli, un bene sottovalutato dalle politiche locali e nazionali sul turismo, sono un valore sul quale Andrea La Caita decide di continuare a investire. Così, dopo Li Somari (con lo chef Adriano Baldassarre) e la Mangiatoia, arriva Al Madrigale. Siamo nel centro storico di Tivoli e questa volta in cucina lavorano insieme gli chef Daniele Lippi e Gian Marco Bianchi, mentre la sala e l’accoglienza sono nelle mani del giovane e talentuoso Danilo Alessi.
Il locale
Al piano terreno di una palazzina in pietra, a due passi da Piazza delle Erbe, gli elementi che caratterizzano l’identità del ristorante sono legati alla terra e al territorio che abitano. Ferro e marmo nell’arredo, cementine originali sui pavimenti e caloriferi in ghisa recuperati dalla ristrutturazione del vecchio ospedale. Luci soffuse, pochi tavoli su due livelli, una cucina contenuta nel piano ammezzato e opere di scultura contemporanea in un gioco di luci accogliente ed elegante.
Si entra dal piano strada attraverso una porta di legno e subito dopo un breve corridoio di accoglienza c’è la prima sala, un tavolo di legno circolare da otto posti abita una piccola sala sulla destra, mentre sulla sinistra la sala ha quattro piccole isole dove sedersi e godersi gli appetizers di benvenuto che termineranno al piano superiore.
Una piccola scala a chiocciola di ferro porta al secondo livello e qui, sul pianerottolo, troviamo la cucina a vista e un banco dove lo chef serve l’ultimo degli amuse bouche. Un altro breve corridoio e siamo nella sala principale. Sei tavoli e sedici coperti, un’opera di richiamo alla scultura classica nel centro e soffitti con piccole volte di arcata circolare, i colori tendono a tonalità scure che riposano gli occhi e le luci sono calibrate in modo da non disturbare mai lo sguardo. Seduta comoda, due percorsi degustazione e un menù à la carte.
I piatti
I nomi dei due percorsi raccontano l’idea ristorativa, Misera/Mente (6 corse reali a 78€) e Migra/Zione (9 corse reali a 100€) esprimono la voglia di rappresentare la cucina che da sempre ha abitato i focolari di queste terre montane a ridosso tra Lazio e Abruzzo. Panificazione in Saragolla e una focaccia cotta al vapore e poi scottata sulla brace, un burro alla colatura di alici e ad aprire le danze un sorbetto che sorprende. La quenelle che arriva nel piatto porta una foglia di origano fresco a farsi mangiare accompagnata dalla focaccia e a convincere il palato che si stia assaporando una buonissima lavorazione a freddo del pomodoro. La sorpresa è che quel sorbetto è di rosa canina, intenso e acidulo nelle note vegetali e nessuna traccia di pomodoro. Notevole la tecnica di lavorazione e la consistenza, oltre che il sapore.
La Tartare di pecora servita con maionese d’ostrica e uva fragola ghiacciata è il primo colpo di un percorso misto che toccherà parte di entrambe le opzioni, un manifesto sulla qualità della materia e sulla filosofia centrata sulle intensità di gusto. Carne tenera e fresca, sapore vigoroso, contrasti divertenti e particolarmente azzeccata la punta di senape sulla misticanza. L’Uovo in purgatorio, ricetta tipica abruzzese, arriva al tavolo sorprendendo per la seconda volta nell’utilizzo della rosa canina. In una ciotola di legno arriva l’uovo immerso in una salsa rossa e coperto da ricotta salata grattata con giro d’olio a crudo. L’impressione è di gustare un buon sugo di pomodoro come chiede la ricetta autentica e invece anche qui, come nel sorbetto, la protagonista di un buon piatto è la rosa canina.
Il Topinambur alla Giudia è sfizioso. Servito in due consistenze, fritto alla base come cialda e in crema subito sopra guarnito da una salsa di menta, viene accompagnato da uno zabaione salato con polvere di porro bruciato. Divertente al morso e intenso nel sapore complessivo, preponderante nella parte grassa. Il Raviolo del pastore è un piatto semplice, pulito nel gusto e molto elegante nella preparazione. Si presenta in grande formato circolare, accompagnato da un fondo bruno e una fonduta di parmigiano, ripieno di un’abbondante ricotta lavorata al limone. Apparentemente un ripieno eccessivo, che invece al palato svanisce con leggerezza per lasciare spazio all’equilibrio di un impasto cotto per avere mordenza. La chiave di volta è un cuore di manzo, grattato al tavolo, capace di spingere sul sapido.
Altro primo è stato la Pasta mischiata, patate arrosto, provola affumicata e uova di trota. La cottura della pasta gioca un ruolo importante nella masticazione di un piatto avvolgente, mentre le uova di trota creano un interessante spigolo di gusto sapido, con note acidule, ad amplificare il tostato dell’estratto di patate arrosto e la sensazione delicata dell’affumicatura. Tra i secondi piatti arriva per primo il Baccalà alla pignata con gambero di fiume, peperone crusco e ceci. La crosta di pane della pignata viene rotta al tavolo e rimanendo all’interno dona una croccantezza dal sentore dolce che si unisce a quella dei ceci. Resistenze che accompagnano la perfetta cottura del baccalà e un buon fondo di gambero di fiume. L’Agnello brodettato in cacio e ova è un altro piatto diretto nel gusto ed equilibrato nelle componenti di gusto. Il sapore è centrato sulla qualità della carne tenera e succosa, con le parti grasse di uovo cremoso e formaggio ripulite dalla freschezza di una scorsa di cedro. Molto gustoso.
Tra i dessert spicca lo Yogurt di bufala con caco, castagna, salvia e orzo tostato. Interessante le noti dolci naturali che si accostano senza mai eccedere, con il buon bilanciamento degli zuccheri aggiunti, divertente nella masticazione in diverse consistenze e appagante nel sapore pieno finale che nella salvia fritta trova una chiusura fresca e balsamica. Il servizio in ambienti contenuti, coordinato da Danilo Alessi, è geometrico ed eseguito nei tempi corretti di una cena rilassata, al tavolo il racconto è millimetrico sul prodotto e la competenza si mischia bene con l’informale eleganza dell’esperienza. Una carta dei vini ricercata e centrata sulla cucina garantisce divertimento anche a chi piace bere bene. Daniele Lippi e Gian Paolo Bianchi, con attenzione alla ricerca sulla materia prima e grande tecnica nell’esecuzione, mettono in tavola piatti fatti di ricordi e tradizione popolare.
L’estetica gioca un ruolo importante nell’esperienza complessiva e il sapore pieno è l’obiettivo di ogni piatto. Si parcheggia a due passi da fare attraversando il ponte Gregoriano che affaccia sui templi della villa e su quello della Sibilla. Chiuso il martedì e il mercoledì, si mangia bene e con eleganza anche a pranzo, di sabato e domenica, con un conto alla portata di tutti (soprattutto se ci si affida ai percorsi degustazione). Una passeggiata a Tivoli, oltre che per la sua bellezza, la farei.
Indirizzo
Al Madrigale
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