Italia e Croazia: l’Adriatico ha la febbre / Croazia / aree / Home

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Pescherecci presso l’isola di Pašman, Croazia (foto di Bruna Vojvodić)

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Acque sempre più calde ed eventi estremi preoccupano le comunità che in Italia e Croazia vivono grazie al mar Adriatico, con lo stravolgimento di ecosistemi e professioni antiche. Ora un progetto europeo punta a monitorare la situazione in cerca di risposte efficaci

La temperatura media del Mar Adriatico sta aumentando di circa 0,4-0,5°C ogni decennio: ora in estate supera i 28°-29°C, ed entro il 2050 potrebbe crescere ancora di quasi 2°C . Il Servizio marino europeo di Copernicus – che misura regolarmente la “febbre” dell’Adriatico – segnala una preoccupante escalation.

Se le acque di tutto il mondo si stanno scaldando, i bassi fondali e la conformazione rendono questo bacino più che mai sensibile alla crisi climatica e al degrado, non solo strettamente ambientale.

Si tratta infatti di cambiamenti che hanno conseguenze dirette e intense anche sulla società e sull’economia, e la velocità con cui impattano su entrambe supera di gran lunga le capacità di adattamento umane e naturali dell’ecosistema.

Piedi per terra, pensiero in acqua

“La stagione delle cozze, in pochi anni, è totalmente cambiata: si è ridotta da quattro mesi a uno”, racconta Paolo Mancin, presidente del Consorzio Pescatori Scardovari (Rovigo): “dieci anni fa si iniziava a marzo, ora a maggio, e si riescono a vendere fino a giugno, poi fa troppo caldo. Questo ha causato un abbattimento del fatturato e l’abbandono della professione, con la conseguente perdita di culture e tradizioni di secoli”.

Mancin racconta di una terra che vive da sempre di pesca e miticoltura, in cui ora molte persone sono costrette a voltare le spalle al mare per cercare lavoro nei paesi limitrofi, improvvisandosi imbianchini, addette alle pulizie, muratori, badanti… Pesa anche il timore di altri eventi estremi, come quello che nel novembre 2019 devastò decine di cavane dei pescatori nella Sacca degli Scardovari, affondando anche numerose barche.

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“Resta il timore che la crisi climatica si acuisca, obbligandoci anche ad adeguarci a presenze di specie aliene invasive, granchio blu in primis, consapevoli di non poter convertire tutti e completamente la produzione”, spiega Mancin.

Nel suo consorzio, su 1250 attività quasi 250 hanno chiuso e altre hanno riportato crolli di fatturato “scoraggianti” – soprattutto se si arriva da decine di anni di lotta contro altri fenomeni altrettanto sfiancanti e in accelerazione come la subsidenza e l’erosione. Quest’ultima vede infatti mare e terra battersi da tempo, in una sfida quotidiana che getta sabbia nelle lagune e invade gli allevamenti di cozze, vongole e ostriche, ostacolandone il ricambio idrico.

Secondo uno studio condotto dallo European data journalism network, entro 2100 proprio la spiaggia di Porto Tolle (il comune in cui è situata la Sacca degli Scardovari) potrebbe perdere 330 metri di spiaggia, la vicina Ariano nel Polesine (Rovigo) oltre 700 e quella di Codigoro (Ferrara) circa 470.

Numeri che chiedono a gran voce interventi di manutenzione e contenimento, “ma noi non possiamo decidere di farli in autonomia, dobbiamo aspettare che ci pensino gli enti pubblici”, spiega Mancin con un’espressione di impotenza. Non è abbattuto, ma solo consapevole di non poter cambiare il sistema – desidererebbe però forse essere coinvolto nella partita in cui da una vita lui gioca in prima linea.

Mari caldi e fronti caldi

Mentre erodono la terra sotto i piedi degli italiani, in Croazia l’Adriatico e le sue alte temperature mescolano le carte dei piccoli pescatori. Quelli di Tkon, antico villaggio situato nella parte meridionale dell’isola di Pašman, nella regione di Zara, si trovano per esempio a gestire “la sparizione di specie che da sempre pescavamo e mangiavamo ogni giorno, e la comparsa di altre mai viste che obbligano a un cambio di business non sempre possibile” spiega Bruna Vojvodić.

Nata e cresciuta a Tkon in una famiglia di pescatori, Vojvodić racconta di una piccola comunità di circa 700 persone fondata e completamente dipendente dalla pesca, e ora in balia della crisi climatica che la indebolisce in due diversi modi. Le temperature calde e gli eventi estremi imprevedibili si sono intromessi nel dialogo fra esseri umani e mare, che da secoli proseguiva ininterrotto e sereno.

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“Ora è come se non si parlasse più la stessa lingua, non ci si capisce, non sappiamo più cosa aspettarci dal mare”, racconta, “e a pagare le spese di questo cambiamento siamo soprattutto noi pescatori più piccoli, non le tre imprese che pescano in zona e poi esportano in Italia. Mio padre ha sempre pescato con la propria barca, vendendo il pesce in aree locali, ma negli ultimi anni è stato costretto a lasciare la propria attività e diventare pescatore dipendente, precario e più fragile. Come a lui è successo a molti altri”.

La crisi climatica non è solo causa diretta di questo fenomeno, ma anche indiretta, inducendo azioni normative “ingiuste”, secondo Vojvodič. “Per proteggere l’ambiente il governo ha preso provvedimenti, ma anche in questo caso le conseguenze le hanno pagate i più piccoli. Capisco l’intento, condivido la preoccupazione per l’ambiente, ma noi ‘piccoli’ non siamo mai stati coinvolti in alcun processo”, continua Vojvodič. “Ci sono state proibite molte pratiche di pesca, ma non ci è mai stata data un’alternativa. La sensazione è che manchi un piano strategico: vediamo solo procedure complicate e nessuna volontà di ascolto o possibilità di collaborazione per trovare una strada comune. In fondo, vogliamo tutti la stessa cosa: gestire al meglio la crisi climatica e non danneggiare il mare, il nostro mare Adriatico, che è di tutti”.

Il progetto AdriaClimPlus

L’”adeguamento climatico collaborativo” che sia Mancin che Vojvodič sperano di vedere, guardando l’Adriatico che “bolle” dalle loro due opposte prospettive, è lo stesso su cui punta il progetto interregionale AdriaClimPlus , sostenuto dai fondi di coesione dell’Unione europea. “Science-based”, avviato a marzo 2024 e attivo fino ad agosto 2026, questo progetto unisce Italia e Croazia nella lotta ai cambiamenti climatici e nella prevenzione del rischio di catastrofi, facendo leva su un consorzio di partner provenienti da entrambi i paesi, capitanato dal Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici.

Gli obiettivi principali di AdriaClimPlus sono il miglioramento del monitoraggio dell’ecosistema marino e il consolidamento di strumenti di modellazione climatica su diversa scala, così da comprendere meglio tutti i processi rilevanti. Ma soprattutto l’adozione di un approccio “condiviso a livello di bacino adriatico” attraverso protocolli consolidati e best practices che suggeriscano soluzioni e piani di adattamento su varia scala, partendo da sette aree pilota, di cui due in Croazia e cinque in Italia.

In parallelo, il team del progetto mira anche ad aumentare la consapevolezza sugli effetti ambientali ed economici che i cambiamenti climatici hanno nella zona costiera, organizzando eventi informativi, scuole estive, corsi di formazione, sempre in modalità di scambio e arricchimento reciproco così da trasformare l’Adriatico in un ponte. Tra Italia e Croazia, ma anche tra scienziati, governi e pescatori.

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Questo materiale è pubblicato nel contesto del progetto “Cohesion4Climate” cofinanziato dall’Unione europea. L’UE non è in alcun modo responsabile delle informazioni o dei punti di vista espressi nel quadro del progetto; la responsabilità sui contenuti è unicamente di OBCT.

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