Roberto Mazzotta: «Incrociavo Enrico Cuccia ogni mattina: andava in chiesa. La borghesia ha trovato in Mediobanca la spalla per ricostruire Milano»

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Contributi per le imprese

 


di
Giampiero Rossi

Il banchiere ed ex ministro ricorda il ruolo dell’Istituto: «Legame profondo con la città. Ha consentito, accompagnato e promosso la ricostruzione e lo sviluppo della Milano industriale e della borghesia imprenditoriale»

Conto e carta

difficile da pignorare

 

«Mediobanca ha consentito, accompagnato e promosso la ricostruzione e lo sviluppo della Milano industriale e della borghesia imprenditoriale». Roberto Mazzotta riassume così il rapporto storico con la città dell’istituto di credito che oggi si trova al centro dell’ultimo colpo di scena del grande risico della finanza italiana. E lui conosce bene sia Milano sia il mondo delle banche: classe 1940, è stato ministro e deputato con la Democrazia cristiana e poi presidente di Cariplo e Banca popolare Milano.

Presidente, perché Mediobanca è considerata un’istituzione cittadina?
«Perché il legame con la città è antico, profondo, solido. Un rapporto che nasce in un momento molto delicato, come il secondo dopoguerra, e si rivolge a una componente fondamentale della società ambrosiana: la grande borghesia imprenditoriale».




















































E come è iniziato questo rapporto?
«All’indomani dalla fine della Seconda guerra mondiale, c’era la necessità impellente di avviare la ricostruzione, ma in quel momento, per effetto di una legge del 1936, le banche potevano fare soltanto credito a breve termine. Così Raffaele Mattioli, che guidava la Banca commerciale italiana, pensò di creare un istituto dedicato alle imprese coinvolte nella ricostruzione e alle loro esigenze di credito a medio termine. E chiamò a guidarlo un funzionario della Banca d’Italia e poi dirigente Comit che si era dimostrato molto capace: Enrico Cuccia».

Quindi Mediobanca nasce come una sorta di Pnrr del dopoguerra?
«Sì, anche perché Milano in quel momento era una fucina, la borghesia imprenditoriale era pronta a dare vita alla rinascita industriale del territorio, ma aveva bisogno di una spalla finanziaria. E quasi parallelamente la Cassa di Risparmio delle province lombarde, su impulso di Giordano Dell’Amore, diede vita a un analogo strumento in appoggio alle imprese più piccole, che stavano prevalentemente alle porte della città: il Mediocredito Lombardo».

E come si arriva al «salotto buono della finanza»?
«Con gioie e dolori, virtù e dannazione, la grande borghesia imprenditoriale ambrosiana ha trovato in Mediobanca uno strumento finanziario, un luogo d’incontro, di suggerimento e di difesa della stabilità. Un’officina di rassicurazione e crescita per tutti i settori dell’industria».

Un sorta di mutuo soccorso. E quando è cambiato tutto questo?
«Quando è cambiato il mondo, con le privatizzazioni delle banche e l’inizio della deindustrializzazione di Milano».

Da banchiere anche lei per un certo periodo ha incrociato Enrico Cuccia.
«Quando ero alla Cariplo lui era pienamente in sella. Era schivo, silenzioso, riservato, ma le nostre rispettive sedi erano vicine e lo incontravo ogni mattina: io avevo il rito del caffè al Sant Ambroeus, lui iniziava la giornata con un passaggio nella chiesa di San Fedele. Ai tempi, scherzando, ci si chiedeva se lo facesse per chiedere ispirazione o per chiedere perdono. Comunque salutava sempre, ma niente di più».

Ma lei cosa pensa dell’operazione in corso in questi giorni su Mediobanca?
«La mentalità della banca era quella di provare a pensare come i propri clienti. Ed è così che è stato possibile finanziare e accompagnare quella stagione di sviluppo industriale, con le sue ricadute sulla società e sulla vita di tante persone. Insomma, le banche guardavano al futuro. Oggi, invece, non ho l’impressione che le banche stiano accompagnando le imprese a investire nella seconda rivoluzione digitale. Mi pare siano più rivolte al passato».

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