Dossier sulla Chiesa altoatesina, don Farina: «L’abuso sessuale indica una disumanità di fondo»

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di
Enrico Pruner

Don Marcello Farina sugli abusi sessuali avvenuto nella Diocesi di Bolzano: «Doveroso prendere posizione»

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C’è bisogno di un’altra Chiesa, quella di oggi è in crisi». E i risultati dell’indagine sugli abusi sessuali nella diocesi altoatesina avvalorano la teoria. Soppesa parola per parola don Marcello Farina, ma solo per «l’estrema delicatezza che richiede il tema», per usare le sue parole, non di certo per fare sconti. «È doveroso mettere in luce e prendere posizione. L’abuso sessuale indica una disumanità di fondo, ma porta con sé anche un altro significato: quello di qualcuno che si è severamente approfittato di una persona più debole». Non reggono i benefici del dubbio. Non è il momento di affaccendarsi per riparare al danno di immagine della diocesi.
«Che la Chiesa ne pagherà le conseguenze è indubbio — taglia corto don Farina — ma lo dovrà fare con umiltà, riconoscendo queste situazioni di prepotenza».

«Una nuova cultura»

Le parole del prete trentino, «dissidente» per quella missione a cui non ha mai abdicato di portare la Chiesa della gente fuori dalle istituzioni ecclesiali, suonano come la chiamata a una presa di coscienza da parte di tutta la comunità clericale. Sostenendo in questo l’esortazione del vescovo di Bolzano Ivo Muser, che ha sottolineato la necessità di un «cambio di mentalità» e, ancora di più, di «una nuova cultura». Del resto i dettagli dell’indagine sono drammatici: 67 i casi al vaglio, con 59 vittime accertate e 29 sacerdoti considerati responsabili di abusi su minori avvenuti nelle parrocchie dell’Alto Adige tra il 1964 e il 2023. Peraltro, a sentire l’avvocata Nata Gladstein, il fenomeno sommerso sarebbe ancora più ampio. Si tratta però della prima indagine indipendente realizzata in Italia sugli abusi sessuali in ambito ecclesiastico compiuti ai danni di bambini e adolescenti, commissionata dalla stessa diocesi di Bolzano-Bressanone. E che le è costata 860 mila euro. Un caso unico. È stato il vescovo Muser, infatti, ad aprire gli archivi della diocesi, e oggi è anche il primo che si assume le responsabilità per le omissioni commesse durante il periodo del suo episcopato e che sprona la Chiesa altoatesina a seguirlo.




















































Trasparenza

Segno, pare, che l’intenzione è quella di proseguire lungo la via della trasparenza. Le indagini scuotono. Si legge del «caso numero 5», in cui un sacerdote sarebbe stato trasferito di parrocchia in parrocchia per 50 anni nonostante le continue segnalazioni di abusi su bambine; oppure del «caso numero 15», che racconta la storia di un ragazzo che si tolse la vita dopo gli abusi subiti, e del prete, sospettato di aver perpetrato quegli abusi, che insistette perfino per celebrare il funerale del giovane. Ad accomunare molti episodi è però la complicità dei vertici ecclesiastici, un filo rosso che è emerso seriamente nella fase di relazione al termine dell’indagine. Si parla di «carenze sistemiche evidenti» e di condotte «erronee» dei prelati, tra cui anche gli ex vescovi Egger e Gargitter. Evidentemente c’era chi sapeva e si è girato dall’altra parte.

«Serve più coraggio»

«Si è trattato di una sorta di disegno sotterraneo che ha inciso sulla testimonianza di fede, della vita cristiana e dell’esercizio del sacerdozio», riassume don Farina. E invita ad allargare il ragionamento anche sul Trentino: «Devo essere sincero, credo che la diocesi di Trento non abbia fatto gli stessi passi avanti della diocesi di Bolzano — spiega — Beninteso, anche se non allo scoperto il vescovo Tisi ha iniziato a prendere posizione e a indagare su queste situazioni. La comunità trentina perciò si è mossa, ma forse c’è bisogno di più coraggio, per fare come è stato fatto in Alto Adige». Don Farina mette al centro anche la condizione del sacerdote, facendo eco all’autocritica di Eugen Runggaldier. Secondo il vicario generale della diocesi altoatesina, alla base degli abusi ci sarebbero la «sessualità immatura», «l’isolamento dei sacerdoti», «le strutture clericali».
Prosegue quindi don Farina: «Se c’è un problema nelle condotte di vita imposte ai preti? Di sicuro. A partire dal problema dell’affettività, che non è secondario e che con la sensibilità di oggi emerge in maniera ancora più seria. Occorre discutere della solitudine dei preti, altrimenti anche un sorriso, mi permetto di dire, può diventare qualcosa che non sanno dominare. D’altra parte però bisogna dire chiaramente che niente può giustificare un abuso. I sacerdoti sanno fin dall’inizio cosa pretende la Chiesa, e questo significa che è la struttura stessa della Chiesa a dover essere cambiata. Ce n’è un bisogno estremo, anche se ormai sembra difficile. Basta guardare soltanto quanta fatica fa il sinodo a depotenziare l’influenza clericale nella comunità cristiana». Eppure sarebbe doverosa una distinzione, tra gli apparati della Chiesa e «il vero messaggio cristiano», per dirla con il don Farina. 

«Gesù di Nazareth non resta inficiato in queste faccende — vuole chiarire il prete — Il Vangelo è molto di più e può essere ancora una medicina di grande valore, anche per i membri dell’istituzione ecclesiastica. Prenderei a prestito tre parole, anche se difficili, che ha usato recentemente il teologo Jorge Costadoat: ha parlato di desacerdotalizzazione, deromanizzazione e deantropologizzazione del cristianesimo. Sembrano parolacce, ma in realtà sono rivoluzionarie e tracciano la direzione affinché nella Chiesa emerga davvero il Vangelo».

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26 gennaio 2025 ( modifica il 26 gennaio 2025 | 17:30)

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