L’articolo mette in risalto l’importanza del rispetto reciproco e di un sano distacco nel rapporto tra genitori e figli
Il pedagogista Daniele Novara afferma: “La fiducia per i bambini è la base stessa della loro crescita. Essere genitori vuol dire anche proteggere e tutelare la loro naturale «gioia di vivere», la curiosità e il gusto della scoperta. I piccoli devono tornare a giocare assieme senza pregiudizi e stereotipi che per natura non coltivano”. I figli sono un atto di fiducia della vita e nella vita e hanno bisogno di fiducia. La fiducia è spirito di vita, quello spirito da instillare nei bambini come si arguisce dal Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia e dall’art. 29 lettera d della Convenzione. I genitori, però, sembrano sempre più sfiduciati e sfibrati dal loro ruolo risultando inadeguati o inefficaci, per cui da più parti, tra cui lo stesso Novara, si parla della necessità di una scuola per genitori.
Daniele Novara aggiunge: “[…] mi auguro che i genitori continuino a cercare di essere loro stessi la principale risorsa per i loro figli, senza delegare alle etichette neurodiagnostiche la gestione dei bambini e dei ragazzi”. I genitori non devono scoraggiarsi al primo problema o contrasto con i figli e ricorrere a medici ed esperti, anche perché quest’atteggiamento diventa diseducativo. Da ricordare che “La salute è creata e vissuta dalle persone all’interno degli ambienti organizzativi della vita quotidiana: dove si studia, si lavora, si gioca e si ama. La salute è creata prendendosi cura di se stessi e degli altri, essendo capaci di prendere decisioni e di avere il controllo sulle diverse circostanze della vita, garantendo che la società in cui uno vive sia in grado di creare le condizioni che permettono a tutti i suoi membri di raggiungere la salute” (da “Entrare nel futuro” della Carta di Ottawa per la promozione della salute, 1986).
Novara spiega: “L’eccesso di confidenza corporea può provocare nei bambini una carenza nel riconoscimento dei limiti e dei vincoli di autorità che si ritrova spesso nel rapporto a scuola con gli insegnanti. Ci sono alunni che sembrano disadattati nel saper vivere le figure adulte come diverse da loro stessi”. Il rapporto genitori-figli deve essere asimmetrico e con una giusta distanza, anche per un armonico sviluppo dell’identità e della personalità del bambino, altrimenti l’amore genitoriale rischia di diventare incestuoso in senso lato o, comunque, asfittico o ammorbante.
Non a caso nella lettera c dell’art. 29 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si legge: “[…] inculcare al fanciullo il rispetto dei genitori, della sua identità“. Emblematico è anche lo sviluppo uterino in cui il bambino riceve nutrimento dalla madre attraverso il cordone ombelicale, ma lo stesso rappresenta la distanza dalla madre.
Altrove si legge: “Aiutiamo i nostri figli ad allacciarsi le scarpe… ad attraversare una strada trafficata… ad entrare in un parco senza farsi male… I nostri figli hanno bisogno del nostro aiuto anche nel mondo digitale. Anche i bambini hanno bisogno del nostro aiuto con il mondo digitale. Dal restare al sicuro sui social media, a trovare i giochi che aiutano a sviluppare il loro cervello in modo positivo, e consentire loro di divertirsi” (dall’introduzione della guida in inglese “Genitori intelligenti nell’era digitale – Guida digitale per genitori di figli da 0 a 8 anni”, “Smart parenting in the digital age: A HOW-TO GUIDE FOR PARENTS”, pubblicata nel marzo 2019). Essere genitori è aiutare i figli, non sostituirsi ai figli né camminare davanti a loro né allarmarsi né impedire che qualcosa accada: questo ancor di più nel mondo digitale o nell’era postdigitale.
In alcune aree geografiche si deve debellare lo sfruttamento del lavoro minorile. Altrove, invece, si deve lottare contro lo spegnimento delle vite di ragazzi che stanno sempre chiusi in casa o sul divano, che non studiano né cercano lavoro e per i quali si inventano acronimi o etichette (per esempio la sigla inglese NEET, “not (engaged) in education, employment or training”, o l’espressione giapponese “hikikomori”). Oppure ci sono ragazzi che sfruttano i coetanei con atti di bullismo, in baby gang, nella baby prostituzione o altro. È sempre più doveroso l’intervento degli adulti e che facciano gli adulti, in particolare i genitori con l’esempio e con educazione che sia tale e non edulcorazione o adulterazione della realtà e della vita in generale. È quanto si ricava soprattutto dalle fonti normative internazionali, tra cui la Carta dei diritti del fanciullo al gioco e al lavoro (Roma 1967) e la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, in particolare l’art. 29 dove alla lettera d si legge: “preparare il fanciullo ad assumere le responsabilità della vita in una società libera, in uno spirito di comprensione […]”.
“Mettiamo che debbo ammettere che mi ero fissato su un mio obiettivo, un desiderio che mi aveva mangiato l’intelligenza. Una cosa buona – ma anche no – che mi sembrava primaria. Ma era una mia produzione propria. E qualcuno mi diceva pure che stavo sbagliando e io, orgoglioso, lo mandavo a quel paese. Ecco: quando una cosa prende lo spazio del rapporto con i miei figli, non è buona, non funziona. Allora sai che ti dico: fammi mettere un po’ su un foglio di carta quale è lo spazio intoccabile per i miei figli… orari, giornate, atti che debbo fare con loro… […] E poi, sai che c’è” Che mollo il fantacalcio, và, che non c’entra proprio niente con questa priorità. E sai che fo” Io il sabato il telefono lo spengo proprio, lo accendo solo due volte in tutto il giorno, se per caso ci fosse un’urgenza che mancherei alla carità verso qualcuno, ma vengono prima i miei figli. E mi sa che mi debbo pure far aiutare a capirlo. E praticherò lo sport estremo che più temo: chiedo a mia moglie che ne pensa. Quella finisce che mi dice… e me lo faccio dire” (don Fabio Rosini). Man mano che i figli crescono, i genitori non li ri-conoscono più o rinfacciano loro di non aver mai fatto mancare nulla, eppure avranno fatto mancare la condivisione del tempo o le giuste modalità di dedizione genitoriale. Soprattutto i padri, quelli più presi da lavoro, investimenti, tecnologia, divano, sport o altri interessi, dovrebbero staccare la spina (dal proprio egoismo o orgoglio) e giocare con i figli o osservarli nel gioco. La presenza, lo sguardo, il contatto sono fondamentali e la loro mancanza causa vuoti esistenziali; ciò rientra nel dovere di assistenza morale verso i figli (artt. 147 e 315 bis comma 1 cod. civ.).
In passato i bambini (ma pure nel presente) non avevano le scarpe o le avevano più piccole o più grandi dei loro piedi, con la punta bucata, risuolate col cartone. Aspettavano la domenica o la festa o la prima Comunione per mettere quelle nuove o quelle dei fratelli più grandi. Le scarpe, simbolo di crescita, cammino, cambiamento, rappresentavano una trasposizione emozionale (senso dell’attesa e della sorpresa), trasmissione di valori (sacrificio e condivisione), transizione d’età, un traguardo. Oggi, invece, i genitori tendono ad appiattire i figli anche nell’abbigliamento e nelle calzature, ad acquistare il superfluo, ad anticipare i bisogni, ad annullare i desideri, ad abbondare nelle coccole e nei vezzeggiativi, ad amplificare ogni evento e complimento, ad annientare l’attesa, ad accontentarli senza nemmeno sentirli o, peggio, senza ascoltarne le esigenze. E così i figli crescono in “sovrappeso ed obesi” in senso traslato e manifestano, in taluni casi, disturbi del comportamento alimentare o della condotta o della personalità.
“Credo nei ragazzi di oggi. Molti di loro cercano, vogliono sapere, capire, non vedono l’ora di essere aiutati a camminare da soli” (il cantautore Ivano Fossati). Bisogna dare fiato, fiducia, forza, futuro ai giovani, ovvero il meglio di sé e non cose tanto per accontentarli al momento. Come nell’immagine di Dio Creatore descritta nella Genesi e nell’affresco di Michelangelo nella Cappella Sistina che ha un valore antropologico e pedagogico al di là di ogni credo religioso. La scienziata Rita Levi Montalcini “I giovani devono credere in qualcosa di positivo e la vita merita di essere vissuta solo se crediamo nei valori, perché questi rimangono anche dopo la nostra morte”. I genitori non devono dare ai figli dei contentini affinché stiano zitti, non diano fastidio, non facciano capricci, non abbiano poi nulla da rinfacciare, ma dare ai figli dei contenuti affinché nel crescere abbiano voce nella vita, possano dire la loro e non essere alla mercé degli altri o di altro. I genitori non devono contentare i figli ma contenere i figli per orientarli nella vita, come si addestra un cavallo entro la staccionata per prepararlo al seguito. I figli non devono essere la contentezza dei genitori, ma avere contentezza della loro vita. I figli non devono essere contenitori di cose (vestiti, giocattoli o altro di materiale ed effimero), ma avere contezza del valore della vita.
I genitori si preoccupano tanto della salute fisica dei figli e si alleano e si battono in caso di malattie oncologiche o invalidanti dei figli, ma non fanno altrettanto per il “cancro” o le invalidità che causano dentro i figli in caso di rapporti conflittuali o altre scelte egoistiche o deleterie. L’infanzia negata diventa, poi, età adulta “legata” o “segata”.
Lo psichiatra tedesco Manfred Spitzer scrive: “L’esperienza dell’abbandono da parte dei genitori nella prima infanzia ha conseguenze notevoli per lo sviluppo del cervello” (in “Connessi e isolati. Un’epidemia silenziosa”, 2018). I genitori devono fare attenzione ad ogni forma di “abbandono”, tra cui la violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 cod. pen.).
Un bambino di pochissimi anni d’età, poco distante dai genitori, con un ombrello più grande di lui: un’immagine simbolica di quei bambini che devono pararsi da tempeste, familiari e non, ed anche metafora del doversi preparare ad affrontare autonomamente le intemperie o intemperanze della vita.
Dalla parola “genitori” si ricava “torni” (plurale di “tornio”), perché insieme, con l’educazione coerente e corale con altri soggetti educativi, plasmano la massa della personalità del bambino che prenderà forma nel tempo. Solo, però, dalla parola al plurale “genitori” si ricava “origine”: questo è significativo per i genitori (attuali e potenziali) e per tutti.
Genitori, geni-tori: devono essere abili come geni e forti come tori e possibilmente in due, né di più né di meno. I genitori non devono, peraltro, fare i sindacalisti dei figli ma, piuttosto, i sindaci dei figli: dare orientamento all’amministrazione della loro vita, farsi aiutare da altri in questo compito, applicare la democrazia nelle relazioni, rispettare diritti e doveri di ognuno. E i figli sono e restano cittadini della loro vita.
“Il figlio è una cosa importante. – Non si finisce mai di imparare quanto!” (da una fiction). La prima cosa che devono imparare i genitori per essere genitori è che il figlio è altro da sé.
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