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Gigio Alberti è Giulio. In “Vicini di casa”, la commedia che tratta con ironia il tabù dell’erotismo attraverso l’incontro tra una coppia in crisi e una in forma e disinibita, invitata per un aperitivo dalla prima per dare una scossa al rapporto, l’attore milanese, premio Oscar nel 1992 con “Mediterraneo” di Salvatores, è l’uomo della coppia in crisi.
“Un personaggio molto divertente, caustico, che per tipo di umorismo sento abbastanza vicino, e che mi piace, perché risponde ad alcune strettoie mentali che ho anch’io”, svela Alberti, che ha chiuso ieri a Carbonia la tournée sarda di “Vicini di casa” (venerdì era a Lanusei e sabato a Oristano). Uno spettacolo in cui condivide la scena con Amanda Sandrelli, che interpreta Anna, la compagna di Giulio, e Alessandra Acciai e Alberto Giusta nei panni di Laura e Toni, i “vicini di casa” disinibiti. “Il tema è l’apertura mentale, è un po’ più aperti di Giulio bisognerebbe esserlo, ma credo onestamente”, aggiunge Alberti, diretto al cinema da (tra gli altri) Grimaldi, Virzì, Comencini, Muccino, Bellocchio e Brizzi, “che l’apertura tout court a tutto diventi conformismo”.
Avrebbe preferito la parte di Toni?
“Quando è iniziato lo spettacolo l’ipotesi era di distribuire i ruoli diversamente e io pensavo di fare lui, e devo dire che la cosa mi divertiva, anche perché dista molto dal mio modo di pensare. Fare cose distanti da sé libera di ciò che nella vita non puoi liberarti, ti viene meglio e ti diverti”.
Mai capitata una situazione simile?
“Ancora no, anche se in alcuni casi mi ha sfiorato il pensiero: “Non è che questi?!”. Ma non con i vicini di casa! La verità è che Laura e Toni irrompono nella vita di Anna e Giulio quasi con un eccesso di felicità, insinuando il dubbio, “Ma se è tutto così semplice, allora io sono uno stupido”, quando nella realtà una strada per arrivare a dei rapporti sani bisogna farla, e non sempre è facile”.
Più a suo agio a teatro o sul set cinematografico?
“Essendo tendenzialmente non proprio sicurissimo, avere il riscontro immediato del pubblico mi fa preferire il primo. Ci sono arrivato in maniera molto casuale con un corso per mimi di Paolo Rossi: alla fine abbiamo fatto uno spettacolo con dei monologhi scritti da lui, e lì ho cominciato. La maggior parte degli attori sono degli insicuri cronici, e interpretare diverse personalità in qualche modo ti libera della tua. È una cosa che vale parecchie sedute di psicanalisi”.
Il personaggio cinematografico a cui è più legato?
“Il mio primo film da protagonista è stato “Marrakech Express”, per cui mi fa piacere se mi identificano con Cedro. Rappresenta una voglia di fuga, viaggio e avventura che era di una stagione, e che adesso forse è meno possibile. Per una generazione è stato come svestirsi un po’. È stato liberatorio”.
Un ricordo della Sardegna?
“Un viaggio in canotto ai tempi del servizio militare: eravamo in cinque, giravamo per spiagge e quando arrivavano i turisti andavamo in un altro posto. Un giro selvaggio”.
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