Donald Trump © Ok!News24
Protezionista e conquistatore al tempo stesso, il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America è pronto a usare la forza pur di fare gli interessi del suo paese. Il superpotere di Donald Trump consiste nello charme, dote che non può regalare nessuno, e nel suo caso è alimentato da un’altra qualità, ottenuta dalla commistione di eredità paterna – suo padre era un celebre imprenditore del settore immobiliare – e mente brillante votata agli affari; il presidente degli Stati Uniti d’America, subentrato a Joe Biden, è ricco, e ciò gli ha consentito di farsi conoscere dal mondo intero per il suo ego spropositato e la sua sfacciataggine e, di conseguenza, di vincere per la seconda volta la corsa alla Casa Bianca – la prima avvenne nel 2017.
Ricorda l’eroe della Marvel creato da Stan Lee e Larry Lieber nel 1963, Tony Stark: sono entrambi famosi, capitalisti, amanti del potere, figli di padri facoltosi e profondamente americani. La differenza è che Stark – almeno finora – non si è mai candidato a presidente, e Trump non salva il mondo dai malvagi indossando armature indistruttibili che permettono di volare e di lanciare onde esplosive di energia – chissà, magari Elon Musk un giorno gliene fornirà una, e il gap con Iron Man diminuirà ulteriormente.
Ma la differenza più abissale è che Tony Stark non ha mai avuto in mente la conquista di territori stranieri, come invece ha fatto intendere di voler fare Trump. Nelle sue ultime dichiarazioni il tycoon ha infatti affermato: “Voglio annettere agli USA il Canada – con cui confiniamo a nord – la Groenlandia, nazione costitutiva della Danimarca, e il canale di Panama, importante sbocco del commercio mondiale.”
La sua strategia politica è di rendere ancora più grande l’America, a discapito però degli altri paesi più deboli. Per Trump, governare equivale a gestire un’azienda.
L’obiettivo primario dei grandi capitalisti – perlomeno di quelli spregiudicati – è far lievitare i guadagni, anche a costo di inimicarsi il mondo intero e compiere azioni spropositate, se non illegali – come sovente accade nell’industria tessile cinese, che obbliga i dipendenti a turni di lavoro infiniti e a paghe misere, o come successe nel 2015 a proposito del Dieselgate in casa Volkswagen, dove i produttori delle auto fecero in modo che i motori diesel attivassero i sistemi di controllo delle emissioni soltanto durante i controlli, violando di proposito la normativa statunitense sul limite degli ossidi di azoto.
Trump mira a rendere gli Stati Uniti sempre più ricchi e potenti, e per farlo si basa su un semplice principio: spendere il meno possibile incassando il più possibile.
“Stati Uniti e Canada investono ingente denaro per la sicurezza dei propri confini? Ebbene, facciamo sì che il Canada diventi il 51esimo paese USA e problema risolto.” – queste sono state le dichiarazioni di Trump – con buona pace dell’opinione dei cittadini canadesi, nient’altro che pedine sacrificabili.
Il canale di Panama, che divide in due lo stato omonimo dell’America Latina e che unisce l’Oceano Atlantico e l’Oceano Pacifico, fondamentale quindi per il commercio mondiale, è necessario per gli affari statunitensi? Il neo presidente ha minacciato di sanzionare il paese e addirittura di usare la forza militare pur di assumerne il controllo, e scalzare così la Cina, accusata, a sua volta, di gestirlo.
La Groenlandia, l’immensa isola nell’Artico, si trova in una posizione strategica ed è ricchissima di materie prime, che farebbero lievitare le casse dello stato statunitense? Anche in questo caso, Trump ha minacciato la Danimarca – nel caso rifiutasse la sua proposta di acquisto – di usare la forza pur di prendersela.
Com’era prevedibile, tutti e tre i paesi in questione hanno dichiarato che non hanno alcuna intenzione di cedere la propria sovranità territoriale.
Se è vero che ogni governatore è tenuto a fare gli interessi del proprio paese, è anche vero che ciò non significa fare la guerra a tutti gli altri per ottenere ogni vantaggio possibile.
Un buon politico sa che è importante mantenere ottime relazioni con i propri omonimi, e che in nome della pace è necessario evitare, se non in casi estremi, la minaccia militare.
Trump si trova al polo opposto di tale regola, logica per chiunque abbia una minima infarinatura politica. Le sue uscite comiche sul social network Truth, una su tutte l’immagine degli Stati Uniti e del Canada colorate dello stesso bianco opaco e attraversati in largo dalla scritta “United States”, farebbero sorridere se non fossero opera sua. Il problema è che tutto quel che esce dalla sua bocca è letterale: nessuna parodia, nessun copione per divertire gli americani con la promessa di realizzare opere impossibili e ai limiti della follia. L’impressione che ne scaturisce è che per lui annettere il Canada equivale a far costruire un grattacielo o un casinò, o meglio, a concludere un affare vantaggioso.
La sacrosanta sovranità territoriale, garantita dal diritto internazionale, non può essere violata, pena una inevitabile guerra. Ma Trump ragiona in base alla legge del più forte, dove chi ha risorse maggiori può permettersi il lusso di prevaricare sui più deboli. Non lo sfiora il pensiero che è per puro caso che sia nato in una famiglia benestante che gli ha garantito la possibilità di studiare e di fare impresa, per giunta nel paese più ricco al mondo, e che sempre per caso non sia nato in una famiglia povera del Kenya. Non dovrebbe, solo per questo, abbassare i toni e tentare di essere più umile, trattando i presidenti delle altre nazioni alla pari, e non ponendosi sempre come il padrone dell’universo? Il tycoon è convinto che per battere i nemici storici come Russia e Cina gli USA hanno bisogno di allargarsi.
La sua visione del mondo si può riassumere in: “Tutto è concesso per rendere l’America di nuovo grande”, da cui il suo motto Make America Great Again, dove ogni decisione è intesa come un affare conveniente o non conveniente. Sull’Ucraina, ad esempio, ha dichiarato che gli USA spendono troppo per la sua difesa dall’aggressione russa, e ha ammonito il governo dell’isola democratica di Taiwan che se vuole continuare a avere l’appoggio militare statunitense, deve cominciare a sborsare quattrini. Insomma, Trump non compie mai azioni che non gli garantiscono un tornaconto personale, neanche davanti a ingiustizie come in Ucraina. Prima viene il denaro, poi il resto. Il problema è che è interessato soltanto al presente, e mai al futuro, mancando di lungimiranza.
Per la seconda volta da presidente ha firmato un ordine esecutivo che ritirano gli USA dagli Accordi di Parigi, i quali impegnano i paesi firmati a diminuire i tassi di inquinamento, così da limitare il riscaldamento globale. Uscendo da tali accordi gli Stati Uniti sono legittimati a inquinare maggiormente, e tutto in nome del profitto. Si tratta ovviamente di un profitto immediato, nel qui e ora, tralasciando di considerare i danni causati all’ambiente che si ripercuoteranno in futuro.
Trump è visto dalla gran parte degli americani come un supereroe che li farà prosperare. I supereroi dei fumetti però si occupano di far cessare i conflitti, non di scatenarli. Durante la campagna elettorale ha dichiarato che se negli scorsi quattro anni ci fosse stato lui presidente molti dei conflitti a cui abbiamo assistito – primo su tutti la guerra russo-ucraina – non sarebbero mai scoppiati.
Ma non è forse caduto in contraddizione dopo aver rilasciato le frasi incendiarie sul Canada, il Canale di Panama e la Groenlandia? Potrebbero l’Europa e molti paesi del resto del mondo permettere che Trump invada la Groenlandia senza muovere un dito? Sono domande fondamentali che dovrebbero spingere tutti noi, ma soprattutto gli elettori repubblicani, a riflettere sul valore del presidente, e a considerare il fatto che un paese non dev’essere valutato soltanto per la sua ricchezza, ma anche per tanti altri fattori, quali la capacità di capire i limiti entro i quali non è possibile spingersi e l’attenzione all’ambiente.
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