La teatralità di Alessandro Michele scuote l’alta moda

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Una lista lunghissima: 48 look, uno dietro l’altro, ricchi di citazioni colte, riferimenti all’archivio, e un senso teatrale di vertigine che ti prende e non ti lascia più. Il debutto di Alessandro Michele nell’alta moda alla guida di Valentino ha stregato anche i più scettici, tracciando un solco indelebile alla Bourse di Parigi, dove il creativo, per il suo battesimo nella couture, si è servito dei concetti e delle parole di Umberto Eco per intrecciare il suo racconto immaginario fatto di suggestioni e sogni con ricami, pois, ruches, ricami, e gonne con panier extra large.

Nel testo che accompagna la collezione, Michele ha voluto raccontare come questa couture 2025 nasca dal concetto della lista. Usando le parole di Eco, nel saggio intitolato ‘Vertigine della lista’, lo stilista e couturier sottolinea come il semiologo abbia avuto il merito di aver riportato al centro del dibattito contemporaneo una lettura evocativa di questo topos, analizzando nel dettaglio esempi che attraversano il mondo dell’arte e della letteratura: da Omero a Joyce, da Ezechiele a Gadda, passando per Arcimboldo, Calvino e Moreau. Ogni abito è studiato e realizzato come un archivio narrativo, e infatti in passerella non mancano riferimenti agli anni ’70, 80 e ’90 targati Valentino Garavani.

“Eco parla di vertigine della lista per evocare quella sensazione che si produce nell’atto dell’elencazione tumultuosa, inarrestabile e ossessiva che spesso si interrompe sulla soglia di un eccetera – afferma Michele -. È in quell’eccetera che si produce una sospensione di fronte a qualcosa che potenzialmente può continuare all’infinito, che non può essere contenuto o circoscritto. La vertigine subentra, infatti, nella constatazione dell’incompiutezza di ogni possibile catalogazione. Nella sete di infinito che dimora in ogni cosa finita”.

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Riflessioni, ammette, che gli hanno fatto compagnia durante la preparazione del suo primo show di haute couture. “E mi hanno spinto a immaginare ogni abito, unico, finito ed irripetibile, come un catalogo ininterrotto e potenzialmente infinito di parole: una lista sgrammaticata che procede per accumulo e giustapposizione. Quarantotto abiti: quarantotto liste”. E non è un caso se per catalogare ogni look Michele utilizzi una lunga lista di suggestioni, dettagli, riferimenti, opere d’arte, musica e letteratura che lo hanno ispirato. Le stesse parole che scorrono sullo schermo digitale, mentre in una sala tutta buia le modelle corrono controvento sulle note di cupe di Prokofjev. In prima fila ad applaudire entusiasti Carla Bruni, Elton John, Nick Cave e il suo collega Demna, direttore creativo di Balenciaga.

‘Vertigineux’ l’ha ribattezzata lui, e di certo non è stata una collezione come le altre, va detto, quanto un inno alle mani sapienti delle première e all’artigianalità più innovativa del marchio sinonimo di eleganza nel mondo. Se con il pret-à-porter Michele ci aveva dato un assaggio della sua spiccata verve teatrale, massimalista, debordante, che tanto ci è mancata nella fase post Gucci, con questa sfilata il creativo romano ha dimostrato di saper sfidare sé stesso, annientando, uno a uno, tutti i cliché dell’alta moda. Dalle gonne voluminose e scultoree alle linea più asciutte, fino alle balze di tulle, piume, cristalli e ricami esagerati, eccola la mano di Michele che straborda di decori e sovrapposizioni, come le maschere gioiello dal sapore inquietante che svettano su alcuni dei look più iconici.

In ognuna di queste 48 liste – ci tiene a precisare Michele – coabitano elementi materiali ed immateriali: grandezze misurabili, fili emotivi, riferimenti pittorici, appunti merceologici, trapunte biografiche, trame cinematografiche, geometrie cromatiche, cuciture filosofiche, segni musicali, orditi simbolici, ricami linguistici, pieghe del tempo, frammenti botanici, archetipi visivi, tessuti storici, intarsi narrativi, nodi relazionali, eccetera. È come se ogni abito richiamasse, per associazione, una pluralità di mondi interconnessi. Calvino chiamerebbe questa lista ‘uno zodiaco di fantasmi’, una poetica dell’eccetera in cui ogni filo, ogni cucitura, ogni traccia di colore si trasfigura in una molteplicità di parole che trascendono i confini del visibile”. Ogni abito non è soltanto un oggetto, quindi, “ma il nodo di una rete di significati, una cartografia vivente che conserva traccia di memorie visive e simboliche (…) è il viaggio nella vertigine di una molteplicità incompiuta”. Per Michele la prova tra i giganti del fashion non è un ‘ritorno’ ma la conferma di aver saputo imporre la sua estetica e diventare protagonista dell’haute couture fin dal debutto. (di Federica Mochi)



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