Il futuro di Milano si gioca soprattutto sugli stipendi. Da come affrontiamo oggi lo squilibrio nel rapporto tra costo della vita e salari dipendono le prospettive della città. Che è stata a lungo la metropoli delle opportunità diffuse, capace di attrarre persone che la sceglievano per studiare o lavorare e poi finivano per diventarne a tutti gli effetti cittadini. È la storia recente del capoluogo lombardo, ma rischia di essere ormai una narrazione inattuale.
Il problema degli stipendi troppo bassi rispetto al costo della vita è ormai evidente anche a chi non ha mai messo piede in città. Dalle pagine di approfondimento dei quotidiani, il tema è rimbalzato sui social network. Fino a diventare un dato acquisito, oggetto di denunce, ironie, analisi e accorati appelli.
La politica cittadina reagisce a parole, raramente nei fatti. Un atteggiamento che ricorda una bella canzone di Fabrizio De André: «Si costerna, si indigna, si impegna, poi getta la spugna con gran dignità».
Certo, c’è la questione casa, evidente e drammatica. Gli affitti segnano un +70 per cento sulla media nazionale. Il prezzo al metro quadro dal 2016 ha segnato un +50,9 per cento, un bilocale oggi costa circa il 55 per cento in più di allora.
Sulla casa si mettono in campo interventi potenzialmente positivi, ma che arriveranno nel tempo, con le rilevanti incognite del «quando» e del «per quanti».
Nel frattempo, serve una soluzione immediata. Perché il costo della vita galoppa, mentre gli stipendi sono sempre gli stessi o quasi.
Un dato su tutti: al 2015 al 2023, il costo della vita ha segnato un +20 per cento, mentre gli stipendi hanno registrato, in media, appena un +5,6 per cento. Ed è una media, che dice purtroppo poco sugli andamenti effettivi delle buste paga. Va infatti un po’ peggio per gli impiegati (+5,4 per cento) e decisamente peggio per gli operai (+3,2 per cento). E resta da capire se e in che misura gli aumenti, per quanto inadeguati, abbiano coinvolto la fascia di lavoratori con stipendi più bassi.
La retribuzione oraria minima nella città metropolitana, per essere al di sopra della soglia di povertà, calcolata su dati Istat da uno studio Adesso! e del Tortuga Think Tank, è di 10 euro all’ora. La media degli stipendi più bassi a Milano non arriva a 8,5 euro all’ora, appena qualche centesimo al di sopra della media nazionale degli stipendi più bassi. E anche in quel caso è una media. A Milano c’è chi lavora per 5-6-7 euro l’ora. Come del resto è emerso anche nelle recenti indagini della Procura cittadina.
Nel frattempo, nel pubblico e non solo, è iniziata un’emorragia di lavoratori che hanno scelto di andare altrove: si sono registrate seimila dimissioni tra gennaio 2023 e giugno 2024. Se si somma a turnover e pensionamenti, il saldo è di 32mila lavoratori in meno, una voragine non semplice da riempire se si considera che il 30 per cento di chi vince un concorso poi sceglie una diversa sede, spesso in ragione proprio dei costi della città.
Non esiste un’unica misura per risolvere il problema, ma certo esiste uno strumento per intervenire in modo efficace e in tempi rapidi.
È la contrattazione territoriale, a integrazione della contrattazione nazionale. È la proposta che Adesso! fa alla città, alle parti sociali e alle istituzioni milanesi. È uno strumento che esiste già, che non necessita di un intervento normativo, sul quale si sono pronunciati in modo favorevole i sindacati. Certo, con sensibilità e priorità diverse. Se Cisl e Uil si sono schierate a sostegno della proposta ed Enrico Vizza, segretario regionale Uil Lombardia, questa settimana è tornato a insistere per «una contrattazione di secondo livello per affrontare il lavoro povero», va letta con interesse l’apertura di Luca Stanzione, segretario della Cgil milanese, che propone di intervenire attraverso la contrattazione territoriale sul rapporto vita/lavoro, tema strettamente collegato a quello degli stipendi (e del resto: in quanti integrano con gli straordinari uno stipendio insufficiente?).
È tempo di risposte. Ne parleremo il 1 febbraio alle 11 da Slow Mill in via Volturno 32, a Milano, in un dibattito/assemblea organizzato da Adesso! dal titolo esplicativo: “Basta lavoro povero”. Tra gli interventi le giornaliste Lidia Baratta e Silvia Boccardi, il professore di Diritto del Lavoro Maurizio Del Conte, Stefano Maiolica autore di “Un terrone a Milano” che da anni sensibilizza sulle condizioni dei fuorisede, l’attivista e cooperatore Enrico Pedrelli, il ricercatore Francesco Armillei, molte e molti milanesi che hanno già chiesto la parola per il dibattito aperto.
Un consiglio non richiesto al primo cittadino: si faccia promotore della contrattazione territoriale, valuti con la sua amministrazione quali incentivi in materia di welfare e non solo sono nella sua disponibilità per facilitarla, sfidi il governo nazionale a sostenere la contrattazione integrativa – ovunque, non solo a Milano – detassandola.
Facciamo di questo 2025, centesimo anniversario dalla morte di Anna Kuliscioff, la “dottora dei poveri” che si batteva per salari dignitosi e contro lo sfruttamento del lavoro femminile sottopagato, l’anno in cui si affronta in modo deciso e determinato la questione stipendi a Milano.
*Tomaso Greco è editore e co-fondatore di Adesso!
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