Il minor fabbisogno energetico di DeepSeek non è per forza una buona notizia

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Lunedì scorso il Nasdaq, l’indice azionario tecnologico di riferimento negli Stati Uniti, ha assistito a un crollo complessivo superiore al tre per cento, con le perdite più significative che hanno interessato Nvidia e diversi titoli tech legati al settore dei chip e dell’intelligenza artificiale (come Broadcom e la taiwanese Tsmc). 

Il roboante successo di DeepSeek, la startup di IA cinese responsabile del panico registrato nei mercati azionari a stelle e strisce, non si è limitata a provocare un rogo finanziario di centinaia di miliardi di dollari in un solo giorno: la “balenottera blu” ha anche scalato le classifiche dell’App Store, superando il rivale ChatGPT e rappresentando una sorta di test di Rorschach per gli analisti e gli investitori della Silicon Valley.

Gli scettici sull’IA, certi fino a ieri che i costi delle intelligenze artificiali fossero troppo alti per risultare economicamente sostenibili (al di là dei round di investimento e della presunta speculazione finanziaria del settore), hanno visto in DeepSeek-R1 il rovesciamento delle loro convinzioni. Gli altri, i colossi della San Francisco Area Bay, hanno individuato nel nuovo chatbot made in China – sviluppato a basso costo e con un approccio open source – il profilo di un nuovo, pericoloso, competitor.

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Ma c’è dell’altro. La startup fondata da Liang Wenfeng non si è limitata a colpire – là dove fa più male – solo i grandi produttori di chip e le Big Tech coinvolte nella rincorsa al sacro graal tecnologico di quest’epoca. Nel lunedì nero delle borse, anche Constellation Energy, il più grande operatore di centrali nucleari negli Usa, ha perso un quinto del valore di mercato, mentre Cameco, la più grande società di uranio al mondo, ha assistito a un crollo del tredici per cento. Lontano dal settore dell’energia nucleare, persino LandBridge (che possiede oltre duecentomila acri di superficie nel prolifico bacino del Permiano, ricco di idrocarburi) ha perso il diciassette per cento del proprio valore. 

Un modello più “leggero”
Il perché di questa forsennata contrazione è presto detto. DeepSeek-R1 – capace di competere realmente, in termini di prestazioni, con mostri come GPT-4o di OpenAI e Gemini 2.0 di Google – consuma molta meno energia di tutti i suoi diretti concorrenti. Si tratta di un dettaglio non da poco, in grado di «mettere significativamente in discussione le proiezioni sulla domanda di energia elettrica negli Stati Uniti», come scritto in una nota dagli analisti della banca d’investimento Jefferies Group.

L’intelligenza artificiale, del resto, è stata fin qui una storia di eccessi. Il fabbisogno energetico dei suoi data center ha portato le multinazionali della Silicon Valley a cercare nuove fonti di energia, intravedendo la soluzione a molti dei loro problemi nelle centrali nucleari chiuse. Tra gli esempi più significativi, come già scritto in quest’articolo, figurano l’accordo siglato tra Microsoft e Constellation per riavviare l’impianto di Three Mile Island, in Pennsylvania, e l’annuncio da parte di Meta di voler acquistare fino a quattro gigawatt di energia nucleare per l’alimentazione dei propri hub.

DeepSeek, diversamente dagli altri chatbot di punta, si basa invece su un modello molto più leggero. Uno dei fattori chiave del suo successo in termini energetici è l’architettura Mixture of Experts (MoE), attraverso la quale, pur disponendo di centinaia di miliardi di parametri, il modello ne attiva solo una parte per qualsiasi compito. Questa attivazione selettiva, combinata con altre innovazioni architettoniche, porta a una migliore efficienza.

Game changer?
Diversi analisti e ricercatori ritenevano le proiezioni sulla domanda di energia nell’ambito dell’intelligenza artificiale decisamente esagerate, ben prima che DeepSeek lo rendesse evidente a livello globale. Come spiegato da Stephen Jarvis, professore di economia ambientale alla London School of Economics, le stime «gargantuesche» riflettevano più il «desiderio delle utility di aumentare gli investimenti nelle infrastrutture di rete piuttosto che la realtà». 

Le previsioni del fabbisogno di data center risultano complesse, con stime che variano molto tra loro. Un rapporto del dipartimento dell’Energia pubblicato a fine 2024, tuttavia, prevede che i centri di elaborazione dati rappresenteranno dal 6,7 per cento al dodici per cento dell’elettricità statunitense entro il 2028, rispetto al 4,4 per cento del 2023. Sono numeri che, anche se edulcorati, testimoniano una curva evidente.

La sensazione di molti, ora, è che DeepSeek possa mandare in frantumi questa tendenza. Diversi osservatori, in preda all’entusiasmo, hanno sottolineato come il modello cinese possa aprire le porte di una nuova era, risolvendo il problema di un’IA rovinosa per l’ambiente. Purtroppo, la questione non è così semplice. 

«Se gli Stati Uniti vogliono essere leader nell’IA in futuro, dobbiamo assicurarci di essere in grado di alimentare tutti quei data center», ha dichiarato immediatamente Benton Arnett, direttore senior per le politiche e i mercati di Nuclear energy institute, l’associazione di categoria dell’industria nucleare americana. Secondo Arnett, è improbabile che le aziende che stanno sviluppando progetti nucleari li cancellino a causa delle recenti notizie su DeepSeek. Al di là dell’evidente interesse personale, è probabile che abbia ragione.

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La corsa agli armamenti dell’IA potrebbe aumentare i consumi su questo fronte. Gli Stati Uniti temono la concorrenza cinese, con il presidente Trump che la scorsa settimana ha parlato di investimenti per cinquecento miliardi di dollari nell’ambito del colossale progetto Stargate. La comparsa di DeepSeek potrebbe raddoppiare questi sforzi, senza contare che l’exploit della startup di Wenfeng stimolerà ulteriormente le realtà più piccole attive nel settore dell’IA generativa (con un profluvio di modelli “pesanti”). Esiste una teoria economica risalente al diciannovesimo secolo che descrive perfettamente questo fenomeno, si chiama paradosso di Jevons: «L’aumento di efficienza si traduce in una diminuzione di costi e, quindi, in un aumento dei consumi».

L’unica cosa veramente importante che può insegnarci DeepSeek è che il denaro, da solo, non basta a porre un’azienda di questo settore al vertice della catena alimentare. Oltre al fatto che, naturalmente, trovare prove concrete di “distillazione” o “plagio” tra intelligenze artificiali è un’impresa a dir poco ardua. Per quanto riguarda tutto il resto, non è il caso di farsi troppe illusioni. Almeno nel breve periodo.



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