Amiata, pelletteria in crisi. Futuro incerto per 2000 addetti e 30 aziende

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di Ginevra Fatarella

MONTE AMIATA. Il mercato del lusso sta attraversando un periodo di incertezze, con il settore delle pelletterie particolarmente colpito dalle difficoltà economiche globali e dai cambiamenti nelle abitudini di consumo. Se da un lato molti marchi stanno affrontando una fase di rallentamento, dall’altro ci sono realtà che continuano a registrare risultati positivi. Il comparto economico del monte Amiata vive il momento con apprensione, visto che in una trentina di aziende, in particolare a Piancastagnaio e Abbadia San Salvatore, ma anche a Castel del Piano, Arcidosso e Seggiano, lavorano circa 2000 persone.

E molte, per lavorare, attraversano ogni giorno i due versanti del monte Amiata, quello senese e quello grossetano.

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Dopo la crisi delle miniere, del resto, il territorio si è reinventato puntando sulla pelletteria. E ora il comparto va sostenuto e rilanciato.

Il mondo è in continua evoluzione e con esso anche la tecnologia gioca la sua parte, a volte però, c’è un prezzo da pagare. In questo caso chi ne risente sono le pelletterie con i loro lavoratori.  Se in passato per realizzare una borsa, si impiegavano anche giorni, oggi con l’uso delle tecnologie moderne e dell’automazione, il tempo di produzione di una borsa è drasticamente ridotto. 

E le conseguenze? 

Le fabbriche che prestano manodopera non riescono a sostenere il ritmo imposto dall’innovazione tecnologica, con macchinari che diventano “vecchi” dopo pochi mesi. Questa obsolescenza rapida comporta costi elevati per aggiornamenti continui e rallentamenti nella produzione che pesano economicamente sulle imprese rendendole meno competitive.

Negli ultimi giorni la Filctem Cgil ha ricevuto numerose richieste di aiuto da parte delle aziende amiatine, che cercano supporto per accedere agli ammortizzatori sociali e per gestire questa fase di difficoltà. 

Secondo la Cgil, il mix tra la trasformazione delle modalità di produzione e il calo della domanda globale, accentuato dalla crisi geopolitica e dai dazi commerciali, sta mettendo a rischio la sopravvivenza di molte imprese e posti di lavoro,  già alcune purtroppo non sono riuscite a reggere il colpo costringendo chi ne faceva parte a trovarsi un’altra occupazione.

Contratti di solidarietà e cassa integrazione

Il settore della pelletteria è un pilastro fondamentale per l’occupazione nelle aree come l’Amiata, le fabbriche che collaborano con Gucci e Fendi hanno adottato rispettivamente, contratti di solidarietà per 12 mesi e la cassa integrazione fino ad aprile per parte del personale dove si contano più di 300 dipendenti direttamente coinvolti. La chiusura o la riduzione dell’attività di queste fabbriche rappresenterebbe un duro colpo per il territorio, soprattutto perché spesso in molte aziende lavorano entrambi i coniugi.

A Piancastagnaio, dopo Garpe S.r.l. (che produce per Gucci) e Borgo S.r.l. (fornitore di Fendi), anche Galrand S.r.l., che realizza prodotti per Celine​, è costretta a ricorrere alla cassa integrazione per oltre 100 lavoratori a partire dal prossimo lunedì, con una sospensione che durerà almeno fino ad aprile. I lavoratori verranno informati 48 ore prima se dovranno presentarsi a lavoro o meno. Tuttavia, anticiperà l’importo della cassa integrazione ai suoi dipendenti, cercando di alleviare almeno in parte le difficoltà economiche.

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Le aziende hanno annunciato riduzioni nell’orario di lavoro, con i dipendenti che operano solo alcuni giorni alla settimana, mentre per gli altri giorni sono costretti a restare a casa. Tuttavia, la situazione resta incerta, poiché c’è il rischio che anche le giornate lavorative possano essere ulteriormente ridotte. Ciò genera un clima di ansia tra i lavoratori, che temono che la stabilità delle proprie settimane lavorative possa venire a mancare, alimentando le difficoltà economiche e l’insicurezza per il futuro.

In questo scenario incerto, la paura di rimanere senza un’occupazione stabile sta spingendo sempre più persone a guardarsi intorno. Alcuni lavoratori, hanno già iniziato a inviare curriculum ad aziende fuori dal settore moda, nel tentativo di costruirsi un futuro più sicuro lontano da un comparto che sembra sempre più fragile.

Cgil e Filctem: «Sulla pelle dei lavoratori»

Nei giorni scorsi Cgil e Filctem delle Province di Siena e Grosseto hanno tenuto ad Abbadia San Salvatore un’iniziativa pubblica – “Sulla pelle dei lavoratori” – per fare il punto sulla grave crisi del comparto del cuoio e della pelletteria sui due versanti dell’Amiata. 

«Ci troviamo davanti a una crisi congiunturale ha detto Luisella Brivio, segretaria Filctem Cgil Siena – che sul piano strategico reclama la creazione di un distretto industriale che sappia aggregare e rilanciare le attività, promovendo anche la nascita di imprese complementari a quelle di pelletteria. Cosa che permetterebbe di incentivare sul mercato la nascita di prodotti originali in grado d’integrarsi col tessile di qualità. Non sarà cosa facile, negli anni 80 dopo la chiusura delle miniere questo territorio si è reinventato puntando sulla pelletteria. Ora dobbiamo puntare sulla ripresa di comparto, ma soprattutto su un’organizzazione flessibile di distretto, evitando di perdere un treno che difficilmente ripasserà». 

Fabrizio Dazzi, segretario Filctem Cgil Grosseto si dice «preoccupato per i cedimenti di un modello produttivo che va salvaguardato perché in grado di generare ricchezza distribuita. In provincia di Grosseto non abbiamo i numeri di quella di Siena. Fra Castel del piano, Arcidosso, Santa Fiora e Cinigiano abbiamo poco più di 150 addetti, ma se il comparto si riprendesse ci sarebbe la possibilità di incrementare questi numeri contribuendo a diversificare l’economia sul versante grossetano, integrando le vocazioni turistiche, agricole e manifatturiere già presenti. In questa fase è determinante garantire la continuità produttiva per non disperdere professionalità che poi è difficile ricostituire nel caso in cui i lavoratori cambino settore produttivo. Gli ammortizzatori sociali sono uno strumento, ma bisogna ragionare su come aggredire la crisi senza aspettarne le conseguenze».

L’assessore regionale alle attività produttive, Leonardo Marras, ricordando che «la Regione ha aperto un tavolo, di confronto e che le risorse arrivate dal governo sono del tutto insufficienti, ha rimarcato che la crisi può travolgere la Toscana, dove si producono una borsa ogni due venduti sui mercati mondiali. E poiché non siamo di fronte solo a una crisi della domanda, considerato che c’è chi pensa la ripresa possa arrivare tra il 2025 e il 2026, bisogna attrezzarsi per superare questa lunga traversata nel deserto con ammortizzatori sociali adeguati».

«Tamponare l’emergenza e affrontare gli elementi strutturali della crisi, compresa anche la carenza di liquidità delle imprese più grandi, è la precondizione per affrontare un complesso processo di ristrutturazione industriale per arrivare a organizzare un moderno ed efficiente di stretto industriale anche nell’area amiatina. Con caratteristiche distintive rispetto a altre realtà già esistenti». 

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Prada va controtendenza, investe sull’Amiata

In un contesto di incertezza, Prada ha deciso di puntare nuovamente sul monte Amiata, annunciando l’apertura di un nuovo stabilimento a Piancastagnaio. La maison, già presente sul territorio, prevede di realizzare un impianto ecosostenibile entro i prossimi due anni, questo contribuirà anche a dare respiro all’occupazione locale.

Prada si distingue dai competitor per il suo approccio unico. A differenza di altre griffe, non si affida a terzisti, ma gestisce direttamente tutta la filiera produttiva, valorizzando la manualità e l’artigianalità italiana, adottando una strategia basata sulla produzione “su misura”, non fa grandi magazzini, né lavora su enormi stock. Ogni sei mesi lancia nuovi modelli, sviluppati con materiali innovativi selezionati con almeno un anno di anticipo.

La crisi del lusso

Le pelletterie che producono beni di lusso sono un ottimo termometro per capire l’andamento del mercato globale. La crisi non riguarda solo le vendite o le maison, ma ha ripercussioni dirette sui lavoratori e sull’intero indotto. Con un calo della domanda e costi di produzione in costante aumento, molte aziende si trovano a dover ridimensionare il personale o ricorrere alla cassa integrazione per sopravvivere.

La flessione del mercato del lusso evidenzia le fragilità di un sistema che deve fare i conti con le trasformazioni globali.

Le due facce del mercato del lusso: il crollo del ceto medio e il benessere dell’élite

Da un lato, troviamo i prodotti “dozzinali”  (le borse che si aggirano intorno ai 1.000-1.900 euro, accessibili al ceto medio-alto). Questo segmento, che rappresentava una fetta importante del mercato, sta subendo un drastico calo. Oggi chi rientra in questa fascia di reddito, anche se si ritrova con un surplus di 1.300 euro a fine mese, difficilmente investirà in una borsa di lusso, scegliendo di destinare quei soldi a spese più essenziali o a risparmi.

Dall’altro lato però, c’è il segmento ultra-lusso, dove i prodotti hanno prezzi che partono da 7.000 euro e possono arrivare facilmente a 30.000 euro o più. In questo caso, il mercato non solo non è in crisi, ma continua a prosperare. I consumatori che possono permettersi una borsa da 30.000 euro appartengono a un’élite economica che non risente minimamente delle turbolenze del mondo esterno. Per questa fascia di acquirenti, fattori come l’inflazione, le crisi geopolitiche o il rallentamento economico globale non incidono sulle loro abitudini di consumo. 

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Un esempio è rappresentato da Hermès, che non sta affrontando alcuna crisi. Grazie alla sua esclusività, all’artigianalità dei suoi prodotti e a un pubblico di riferimento molto selezionato, la maison francese continua a registrare vendite in crescita. Le sue borse iconiche, come la Birkin o la Kelly, non solo mantengono il loro valore nel tempo, ma sono percepite come investimenti da chi le acquista.

 




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