Roma, 1 feb. (askanews) – L’annuncio di un possibile nuovo sistema armonizzato europeo di sussidi all’acquisto di veicoli elettrici, fatto dalla vicepresidente esecutiva della Commissione Teresa Ribera in una intervista al Financial Times dal Forum di Davos, il 23 gennaio, potrebbe far cambiare senso all’attuale controversia sulla crisi del settore dell’automotive e sulla sua elettrificazione a tappe forzate, prevista dal Green Deal con l’obiettivo delle auto nuove a zero emissioni entro il 2035. E in questa nuova direzione sembra andare il ‘dialogo strategico’ sul futuro dell’industria automotive europea che la Commissione ha avviato giovedì 30 gennaio a Bruxelles, e che sarà alla base di un ‘action plan’ industriale per il settore, che Ursula von der Leyen ha annunciato sarà pronto per il 5 marzo prossimo.
Finora, la controversia è stata focalizzata soprattutto sull’obiettivo normativo per il 2035, che tutte le forze politiche di centro-destra (incluso il Ppe, partito di von der Leyen) volevano rimettere in discussione. Ma la nuova Commissione non ha mai preso seriamente in considerazione la revisione di questo traguardo finale; così come, d’altra parte, una richiesta tanto radicale non è mai stato avanzata in modo esplicito neanche dall’industria dell’automotive e dall’organizzazione che la rappresenta nell’Ue, l’Acea. Anche perché non c’era una identità di vedute tra le diverse case automobilistiche, che comunque in gran parte si sono già impegnate nella conversione graduale all’elettrico.
I costruttori europei chiedono invece da mesi che si trovi una soluzione per ritardare, ridurre o annullare le multe che dovranno pagare nel caso (molto probabile) in cui non riescano a rispettare gli obiettivi intermedi di riduzione delle emissioni di CO2 dalle auto, da conseguire già a partire dalla fine di quest’anno (il 20% in meno rispetto al 2021).
In una lettera inviata il 16 gennaio dall’Acea alla presidenza della Commissione e a quella del Parlamento europeo, questa richiesta è molto chiara: per il 2025 e gli anni immediatamente seguenti, si chiede di rivedere la tabella di marcia per la decarbonizzazione con ‘un percorso realistico’, che sia ‘guidato dal mercato e non dalle multe’; ma non viene mai messa in questione la fine del percorso, al 2035.
Una posizione non diversa da quella espressa, il 10 gennaio, da Jean-Philippe Imparato, Chief Operating Officer per l’Europa del gruppo Stellantis, al ‘Motor Show’, di Bruxelles. ‘Il 2035 – aveva sottolineato Imparato parlando con alcuni giornalisti – non è un problema per me oggi. La questione per noi non è il 2035, ma sono i prossimi tre o cinque anni’.
Si è giunti così a una situazione piuttosto paradossale, in cui i rappresentanti politici del centro destra chiedono, a nome dell’industria, di cancellare l’obiettivo 2035, che è molto più di quanto chieda l’industria stessa. Come appare evidente dalle dichiarazioni di un importante esponente di Fratelli d’Italia, il co-presidente del gruppo dei Conservatori europei all’Europarlamento (Ecr), Nicola Procaccini, il 14 gennaio, a margine dell’elezione dell’ex premier polacco Mateusz Morawiecki come nuovo presidente del Partito europeo Ecr, al posto di Giorgia Meloni. Parlando ai giornalisti, Procaccini ha ribadito che bisogna tornare indietro sull’obiettivo 2035 per le auto a zero emissioni, nonostante quanto affermato pochi giorni prima da Imparato, e nonostante il fatto che tutta l’industria europea stia già lavorando per quell’obiettivo.
‘Ritengo – ha detto il co-presidente del gruppo Ecr – che ci sia una non comprensione di quanto detto da Stellantis, e in generale da tutte le case automobilistiche europee, o quantomeno quelle che hanno una presenza in Europa. Il bando dei motori termici al 2035, e in particolare le multe che dovranno scattare già da quest’anno, sono una iattura per tutti’. ‘Ma – ha continuato Procaccini – sgombriamo il campo da ogni dubbio: che ci sia una azienda che produce automobili in Europa che sia favorevole a quanto stabilito nella scorsa legislatura, relativamente al bando dei motori termici, è falso. Non ne esiste una. Questa è una vulgata che si continua a perpetrare a danno della verità’, ha assicurato. Le imprese dell’automotive, ha aggiunto, ‘noi le abbiamo incontrate, le abbiamo audite ufficialmente all’interno del Parlamento europeo, e tutte dicono la stessa cosa: per noi andrebbe rivista questa’ scadenza, ‘tutto andrebbe rivisto, a cominciare dalle multe, naturalmente’.
Curiosamente, la posizione dell’eurodeputato di Fdi sembra divergere, almeno in parte, anche da quella di un suo collega di partito, membro del governo Meloni: Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy, che mercoledì 29 gennaio ha incontrato a Bruxelles il commissario per la Mobilità sostenibile, Apostolos Tzitzikostas, il commissario per l’Azione per il clima, Wopke Hoekstra, e la vicepresidente esecutiva Teresa Ribera. Incontrando i giornalisti alla fine della giornata, Urso ha negato che il governo italiano sia contrario all’obiettivo del 2035. ‘Assolutamente: in tutti i nostri documenti – ha riferito – riaffermiamo il target del 2035’. Ma, ha aggiunto, ‘vogliamo raggiungerlo con le imprese europee, e quindi con il lavoro europeo in pieno vigore. Noi chiediamo – ha precisato – di rivedere in maniera complessiva, strutturale e strategica le modalità con cui raggiungere questo obiettivo. Per questo ho detto con estrema chiarezza che vogliamo rivedere i meccanismi infernali delle multe alle case automobilistiche’ che non rispetteranno i limiti alle emissioni. Ma questo, ha avvertito il ministro, ‘non è sufficiente: non basta rimuovere questo ostacolo infernale per rendere competitiva l’industria europea’; farlo ‘è necessario ma non sufficiente. Perciò – ha continuato – ho detto che noi siamo favorevoli a un piano di incentivi europeo omogeneo e duraturo nel tempo, per facilitare l’acquisto di auto ecologicamente sostenibili. Noi non vogliamo aggirare la questione: l’elefante è nella stanza già da molto tempo, non possiamo nasconderlo sotto il tappeto’. ‘Abbiamo bisogno di un piano complessivo, strutturale e strategico su tutti i fronti, per rendere sostenibile l’industria e il lavoro europeo rispetto alla grande sfida, titanica, della Cina e degli Stati Uniti’, ha concluso Urso, che queste cose le ha scritte da mesi in un ‘non paper’ sull’automotive, sostenuto da diversi altri Stati membri.
Il nuovo Piano d’azione industriale europeo, che il 5 marzo sarà presentato dal commissario Tzitzikostas, dovrebbe rispondere almeno in parte alle aspettative di Urso e del suo ‘non paper’, e a quelle dell’Acea, con una nuova tabella di marcia, che, non si sa fino a che punto e con quanta ‘flessibilità’ (l’altra parola chiave, accanto a ‘competitività’ di questa nuova fase politica europea), rivedrà le scadenze e gli obblighi previsti in questi primi anni del percorso verso il 2035.
L’aspettativa è che proponga anche qualche soluzione alternativa alle multe, o che ne mitighi l’impatto sull’industria (anche se i portavoce della Commissione hanno puntualizzato che la ‘flessibilità’ promessa da von der Leyen non significa necessariamente eliminare le sanzioni); comunque, nessuno si attende, realisticamente, che sia rimesso in discussione il traguardo finale di questo percorso, al 2035, come invece continuano a chiedere i gruppi europei del centro-destra.
Ma soprattutto, come si diceva all’inizio, il piano conterrà probabilmente delle proposte di ‘stimolo della domanda’, con ‘il potenziamento e l’armonizzazione degli incentivi all’acquisto’ negli Stati membri, come suggerisce una ‘concept note’ che fa parte dei documenti preparatori del ‘dialogo strutturato’ pubblicati dalla Commissione.
Nella sua intervista al ‘Financial Times’, Ribera osservava che ‘ha senso cercare di capire come facilitare le misure (ovvero gli incentivi, ndr) in una prospettiva paneuropea, invece di passare attraverso sussidi nazionali’, che rischierebbero di portare alla competizione di ‘un modello nazionale contro l’altro’; ma avvertiva anche che per definire la portata e le modalità degli incentivi ‘la discussione è ancora in corso’.
Un altro segnale di rilievo è venuto da una dichiarazione recente, piuttosto sibillina, di Olaf Scholz all’agenzia Bloomberg, in cui il cancelliere tedesco si è detto ‘compiaciuto del fatto che la presidente della Commissione abbia ora accettato la mia proposta di incentivi all’acquisto armonizzati a livello europeo per le auto elettriche’.
Infine, oltre agli incentivi all’acquisto, c’è da aspettarsi che il piano d’azione per l’auto contenga delle misure per accelerare la diffusione delle infrastrutture di ricarica, che in molti paesi membri sono ancora troppo poche. Lo aveva detto chiaro Imparato al Motor Show di Bruxelles: visto che stanno ormai scomparendo gli incentivi nazionali all’acquisto di auto elettriche (laddove c’erano, come in Germania e in Francia, ndr), il ‘messaggio inviato’ alle autorità nazionali ed europee, aveva osservato, è che almeno provvedano a completare la diffusione adeguata e capillare delle infrastrutture necessarie per le ricariche, con una ‘accelerazione in termini di regolamentazione’.
I consumatori, aveva rilevato in sostanza il responsabile di Stellantis per l’Europa, non comprano auto elettriche non solo perché costano troppo, ma anche perché sanno che non ci sono abbastanza colonnine, e perché la ricarica dura due ore invece di una ventina di minuti. La ‘Concept Note’ del dialogo strutturato riconosce proprio questo: che, rispetto a quanto sarebbe necessario per il decollo della domanda di auto elettriche, ‘i consumatori si trovano ad affrontare ancora costi iniziali dei veicoli più elevati e una minore rapidità nella diffusione delle infrastrutture di ricarica’.
In realtà una normativa Ue sulle infrastrutture, con obiettivi obbligatori, è già in vigore, e prevede che entro il 31 dicembre di quest’anno siano installate stazioni di ricarica con potenza di uscita minima di 400 kW, almeno ogni 60 chilometri sugli assi stradali più importanti (quelli della rete centrale transeuropea Rte-T), in ciascuna direzione di viaggio. Un’accelerazione della diffusione delle infrastrutture potrebbe venire da una revisione di questa normativa.
Di Lorenzo Consoli e Alberto Ferrarese
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