I 90 anni di Duilio Sina, il re delle auto: «Sogno di mantenere sempre passione ed entusiasmo»

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«Ho dovuto aspettare i 90 anni per lasciarmi crescere la barba». Mentre sorseggia un caffè, fa chiudere il portone della concessionaria, «perché devo stare attento anche ai colpi d’aria». Duilio Sina venerdì 31 gennaio compie 90 anni. È tuttora saldamente alla guida dell’omonimo Gruppo. Riavvolge la pellicola, raccontandosi e raccontando una gloriosa storia che comincia negli anni Cinquanta in Val Tramontina.

L’intervista a Duilio Sina: “Quella volta a Torino per comprare le prime Fiat…”

Duilio Sina nasce, infatti, a Tramonti di Sotto il 31 gennaio 1935. Sposato con Ines Baratta, hanno tre figli: Giorgio, Cinzia e Samantha. «Sono il primo di cinque fratelli. Mamma, Sabatina Avon, era molto rigorosa. Il mio trampolino di lancio? Quando rimase incinta di due gemelle. Nacquero Livia e Leda. Vennero poste su due cuscini. Mamma disse a noi fratelli: “Eccole qua. Io sono molto impegnata, devo badare alle mucche, ai maiali e alla casa. Adesso da tre siete in cinque, non potete contare esclusivamente su di me”».

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«Mamma aggiunse: “Duilio, sei il più grande, scegli per primo la sorellina che prenderai in cura”. Scelsi Livia. A mio fratello Michele, di conseguenza, toccò Leda. Nives, la terzogenita, affiancava la mamma. Ce le portavamo dappertutto. Un giorno il medico le vide con la bocca sporca di terra: assaggiavano erba e grilli. Disse che se avessero continuato così sarebbero rimaste piccoline».

«Lavorava per lunghi periodi all’estero come muratore con suo fratello».

Con la mamma, il fratello e le tre sorelle

Come se le passava da bambino?

«Occupandomi delle sorelle, tagliando il fieno per le mucche. Si partiva all’alba, poi arrivava mamma con la colazione: latte appena munto e polenta della sera prima. La prima venditrice fu lei, che ci spacciava tutto per meraviglioso!».

«Imparai a fare il meccanico all’officina De Fanti di Spilimbergo».

Importante fu zio Leonardo Avon detto Nardin.

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«Gli dissi che avrei voluto lavorare in un’officina più grande e così parlò con la Masotti di Tolmezzo, dove si riparavano auto e camion. Partivo il lunedì, con la Vespa, tornavo a casa il venerdì».

Si faceva strada il suo spirito imprenditoriale…

«Proposi al prete di Tramonti di Sopra di fare una società per il cinema itinerante. Lui aveva una macchina da proiezione Ducati, fissa. Io acquistai una Bell e Howell, mobile. Così nacque il cinema nelle nostre valli».

«Arrivai a Tolmezzo e trovai la Masotti distrutta da un incendio. Occorreva trovare un altro lavoro. Mi convinsi che dovevo comprare un’auto: garantì per me zio Nardin. Andammo insieme a prenderla a Trieste: una Fiat 1.100/103 famigliare blu».

Bisognava metterla a reddito.

«Andavo in piazza a Tramonti e mi mettevo davanti alla corriera: caricavo i passeggeri allo stesso costo del biglietto e li portavo a Spilimbergo. Il sabato dalle 17 alle 2 di domenica facevo la spola sino a Meduno per portare i giovani “Al Giardinetto”. In seguito rinforzai le balestre per caricare più peso e ci misi il portapacchi per i bagagli. Così potevo portare gli emigranti nelle stazioni di Venezia e Milano».

«Decisi di aprire un’officinetta di riparazione di biciclette, gomme e persino stivali nell’ex forno di zio Nardin e di mia nonna, a Tramonti. Era il 1953. L’aiutante era mio cugino Sergio Facchin. Andai da Burra, a Udine, e acquistai qualche bicicletta da mettere in vetrina. Così, alle riparazioni affiancai la vendita. A mio fratello Michele, che nel frattempo aiutava lo zio nel commercio della carne, proposi di fare qualcosa insieme».

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Avviaste una pompa di benzina a Spilimbergo.

«La rilevammo in affitto da Guerrino Menegazzi, così come i locali da Marina Pielli. Zio Nardin anche stavolta garantì per noi. Le nostre morose, Ines e Celestina, vendevano la benzina, occupandosi anche dell’impianto di autolavaggio».

Siamo al business delle auto. Lei ha 19 anni, suo fratello Michele 18.

«Gli proposi: andiamo a Torino, compriamo qualche auto dei dipendenti Fiat e le vendiamo. Saremo fortunati. Avevo sentito parlare del mercato delle auto in piazza Bodoni. Partimmo in treno alle 20.30 da Casarsa e arrivammo a Torino alle 8.30».

Da sinistra, Michele, Duilio e Livia Sina

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In prossimità della piazza incontraste tale signor Oreste.

«Notò che eravamo spaesati. Gli raccontammo il nostro proposito, ma temeva fossimo immaturi per un simile business. Gli dissi: “Siamo gente umile, ma concreta”. Ci portò a Mirafiori, dove c’erano le auto dei dipendenti in scadenza. Io e Michele tornammo a Spilimbergo rispettivamente alla guida di una 600 con porte che si aprivano controvento e di una 128. La volta dopo portammo anche le mogli e tornammo con quattro auto. Le mettemmo nel salone e cominciammo a spargere la voce».

Lei si occupò della vendita, Michele faceva la spola tra Torino e Spilimbergo.

«Si, e Michele, a Torino, si appassionava anche al mondo dei camion e intesseva relazioni che permisero, qualche anno dopo, di ottenere anche il marchio Iveco. Nel frattempo a Spilimbergo arrivavano le auto con le bisarche: una doveva restare nel piazzale per mezza giornata, affinché i clienti potessero vedere da sotto la marmitta di scarico. Più risultava lucente più l’auto era desiderata. Nel 1973 la Fiat ci propose il mandato di concessionaria. Al distributore assumemmo la prima impiegata, prendemmo in affitto uno stabile vicino alla stazione».

Si poneva il problema di avere a disposizione i ricambi.

«Mia sorella Livia andò per un anno da Sacchi e Modotti, a Udine, per imparare a gestire il magazzino ricambi e così è diventata negli anni il punto di riferimento nella gestione dei ricambi di tutti i brand del Gruppo, di cui è tuttora il vicepresidente. Costruimmo il grande parco di via Ponte Roitero a Spilimbergo».

Poi l’arrivo a Pordenone.

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«Se il cuore è sempre rimasto a Spilimbergo, a Pordenone si è aperto a seguito dell’espansione del mercato, nel 1981. Poi, a Sacile nel 1985, a Portogruaro nel 2002 e a Venezia nel 2010».

Qual è un segreto di così lungo successo?

«Evitare i conflitti con i clienti. Mamma ci diceva: lavorate, abbiate buoni rapporti con tutti. Ma sono convinto che il vero segreto sia stata l’alchimia creata tra Livia, Michele e me. Una unione che ci ha permesso di trasformare ogni sfida in un piccolo grande successo, grazie anche al supporto prezioso di tutti i nostri collaboratori, che hanno creduto e tuttora credono nel nostro progetto».

«Dietro di noi ci sono state grandi mogli, protagoniste nella crescita dell’azienda. Abbiamo la fortuna di essere stati e di essere una famiglia unita. Mio figlio Giorgio ha poi preso la stessa strada, a Udine: ha saputo espandersi col Gruppo Ferri che oggi ha presidi da Udine a Trieste, da Treviso a Padova mentre il Gruppo Sina opera in provincia di Pordenone e in tutto il Veneto orientale. Mia figlia Cinzia e Luca, figlio di Livia, in qualità di amministratori delegati, si occupano della gestione del Gruppo, Samantha dell’immobiliare».

«I tempi sono più difficili. Siamo partiti con Fiat: è stato ed è un grande amore. Poi i veicoli commerciali, Lancia, Alfa, Nissan, Volvo, Abarth, Jeep e Dr. Da cinque anni abbiamo acquisito i marchi del Gruppo Volkswagen da Peressini e con soddisfazione possiamo dire che siamo stati premiati più volte tra le migliori concessionarie italiane».

La differenza tra passato e presente?

«Una volta i clienti ti cercavano, pieni di entusiasmo. Oggi la concorrenza è molta di più e attraverso tanti canali. Noi abbiamo sempre cercato di dare il meglio con la massima professionalità e serietà. Oggi il Gruppo Sina spa conta oltre 200 dipendenti e mantiene risultati soddisfacenti».

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A 90 anni sogna qualcos’altro?

«Credo di avere trasferito la cultura del lavoro ai collaboratori, cercando di farli restare per piacere e non per dovere. La più bella soddisfazione è di avere visto entrare dipendenti giovani e uscire solo al momento della pensione. Ecco, sogno di restare qui, in azienda, con la stessa costanza, passione ed entusiasmo dell’inizio». —



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