Il suicidio tra gli insegnanti italiani (2014-2024): un fenomeno internazionale ignorato

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Già nel 2005, nel 2009 e nel 2012 Francia e Regno Unito avevano dimostrato, dati alla mano, che la categoria professionale maggiormente esposta al rischio suicidario era quella dei docenti. Un dato sorprendente se si pensa ai contestuali stereotipi che gravano sugli insegnanti e di cui si nutre l’opinione pubblica (“lavorano mezza giornata e fruiscono di tre mesi di vacanza all’anno”). L’usura psicofisica tra gli insegnanti, come dimostra la letteratura scientifica, è una questione universale che prescinde dal livello di insegnamento (Infanzia, Primaria e Secondaria) e non è legata al diverso sistema scolastico adottato dai Paesi. Tuttavia, questo grave allarme non suscita particolari reazioni nelle istituzioni e tra gli stessi docenti. Purtroppo, in Italia, non sono disponibili dati nazionali sui suicidi stratificati per professione. Tuttavia, è possibile raccogliere elementi utili a fornire una dimensione del fenomeno suicidario italiano tra i docenti, ricorrendo agli articoli di cronaca dei quotidiani locali e nazionali. 

Prima di analizzare i risultati, occorre fornire qualche avvertenza per l’interpretazione corretta degli stessi. Per precise ragioni evidenziate nel rapporto dell’Istat (“non tutti i suicidi vengono alla luce perché spesso la famiglia del defunto vuole evitare di divulgare il fatto alla comunità”), i dati ufficiali relativi ai suicidi risultano essere ampiamente sottostimati. Altri spunti di lettura interessanti ci vengono dalla letteratura scientifica nazionale e internazionale (soprattutto USA) ove si rileva che l’uomo si suicida quattro volte più della donna, mentre la donna tenta il suicidio quattro volte più dell’uomo. Quest’ultimo elemento statistico assume particolare significato in una categoria costituita – in Italia – per l’83% da donne. La presente ricerca non si è invece occupata del conteggio dei “tentati suicidi” perché, quasi sempre, non sono ritenuti “notiziabili” dagli organi di stampa, né meritevoli di un articolo di giornale. Pertanto, il presente metodo di ricerca qui adottato risulterebbe del tutto inadatto. 

Per effettuare la ricerca sul web nel nostro Paese – nel periodo 2014/2024 – ci si è avvalsi delle seguenti parole chiave: 1) suicidio; 2) insegnante; 3) anno in cui la ricerca è svolta. Per ciascun evento occorso, sono stati raccolti specifici dati: luogo di residenza (Nord, Centro, Sud e Isole); genere; età; fase di attività o quiescenza del lavoratore; livello di insegnamento (infanziaprimariasuperiore di I e II grado). 

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Risultati dell’indagine

Nel 2024 si sono registrati 10 suicidi in perfetta linea con i dieci anni precedenti. Se consideriamo l’intero periodo 2014-2024 sono stati osservati un totale di 110 suicidi con una media esatta di 10 suicidi all’anno (uno al mese se escludiamo il periodo estivo di luglio e agosto). Un picco anomalo (circa un quarto del totale degli eventi) è stato registrato nel 2017, senza alcuna spiegazione apparente, mentre negli altri anni si sono avuti dai 5 agli 11 suicidi per anno. 

La ripartizione geografica degli eventi vede in prima posizione il Sud e Isole (64), seguita dal Nord (24) e, in terza battuta, dal Centro (22).

La suddivisione in base al genere vede 45 uomini e 65 donne nonostante le seconde costituiscano l’83% del totale corpo docente. I docenti, stratificati in base alla attività lavorativa in essere (92), sovrastano quelli oramai in pensione (18). L’età media dei casi osservati è di 51 anni, ma questa scende sensibilmente (48 anni) se viene calcolata tra i soli docenti ancora in attività.

Per quanto concerne il livello d’insegnamento, i casi di suicidio si dividono con la seguente frequenza: 14 Infanzia; 231 Primaria; 27 Secondaria I grado; 38 Secondaria II grado.

Evidenze emerse

  1. La collocazione geografica degli eventi osservati vede una netta prevalenza al Sud e Isole (58% vs 23% del Nord e 19% del Centro) senza un’apparente spiegazione. Questo dato è confutato dalla letteratura internazionale che considera a maggior rischio di usura psicofisica le helping profession che operano nelle grandi realtà urbane rispetto a quelle di provincia e rurali. Non si può assolutamente escludere l’influenza del posto di lavoro assai lontano dalla regione/paese di appartenenza. Il fenomeno potrebbe semplicemente spiegarsi col diverso rilievo che i media locali danno al suicidio di una persona in una realtà di provincia, rispetto a un grosso centro urbano che garantisce l’anonimato anche in caso di suicidio.
  2. Mentre gli uomini – questi i dati della letteratura scientifica internazionale – tendono a suicidarsi circa 4 volte più delle donne e in proporzione all’invecchiamento (13,2 x 100.000 abitanti nella fascia di età 45-64 anni e 20,1 oltre i 64 anni), le donne presentano oggi una inversione di tendenza in cui la fascia oltre i 64 anni viene superata per la prima volta da quella 45-64 (4,2 vs. 3,8). In altre parole, la donna tende a suicidarsi, rispetto a ieri, soprattutto in fase di attività lavorativa. Sono forse gli effetti di una riforma previdenziale frettolosa, fatta “al buio” (cioè senza aver prima valutato la salute/malattie professionali della categoria) ed entrata in vigore nel 2012 ma, ancora oggi, in discussione e rivisitazione?
  3. Francia (2005) e Regno Unito (2009 e 2012) sono i due soli Paesi che hanno valutato il rischio suicidario degli insegnanti rilevando i livelli più alti rispetto a tutte le altre categorie professionali e alla popolazione generale. L’Italia si è finora addirittura rifiutata (attraverso l’Ufficio III del Ministero Economie e Finanze) di fornire a università e sindacati o, in alternativa, di processare in proprio i dati relativi ai 20 anni di attività delle CMV regionali del MEF (2004-2024) per riconoscere ufficialmente le malattie che causano le inidoneità/inabilità all’insegnamento. Queste ultime, secondo le ricerche oggi disponibili, presentano diagnosi psichiatriche nell’80% dei casi e potrebbero spiegare, almeno in parte, l’alto tasso suicidario contro cui occorre attuare la prevenzione di legge (DL 81 art.28) ancora oggi inapplicata, se non addirittura ignorata.
  4. Non vi è pertanto dubbio che, anche in Italia, vi possano essere dati analoghi a Francia e Regno Unito proprio perché l’alta usura psicofisica è da attribuirsi alla peculiarità della professione (particolare ed esclusiva tipologia di rapporto con l’utenza) e non al diverso sistema scolastico adottato dal Paese in esame o al differente livello scolastico in cui il docente esercita. I dati a disposizione sulle inidoneità all’insegnamento per motivi di salutefanno inoltre rilevare che le diagnosi psichiatriche sono cinque volte più frequenti delle disfonie. Ciò premesso, e in attesa di conoscere la situazione reale, possiamo affermare che l’alta percentuale (83%) di presenza femminile tra i docenti è di per sé un elemento limitante i suicidi. Qualora avessimo infatti un corpo docente tutto maschile, avremmo la maggiorazione del dato (addirittura la quadruplicazione secondo gli americani).
  5. Nel 2008 in Italia esce il DL 81 che, all’art. 28, prevede la tutela della salute per le helping profession (prima fra tutte quella dei docenti) con il monitoraggio e la prevenzione dello Stress Lavoro Correlato valutando obbligatoriamente anche genere ed età del lavoratore. Sembra scritto apposta per il corpo docente di cui l’età media è oggi 50,4 anni e il genere è, come detto, femminile all’83%. Lo stesso decreto, mai finanziato, resta inapplicato fino a oggi e, nonostante tutti i proclami, viene applicata la riforma previdenziale (Monti-Fornero) elaborata completamente “al buio”, cioè – ripetiamo – senza valutazione alcuna della salute professionale della categoria, dell’invecchiamento anagrafico, dell’anzianità di servizio e delle malattie professionali diagnosticate, ma non ancora riconosciute ufficialmente dalle istituzioni, né statisticamente studiate ai fini del loro impatto sociale sui lavoratori della scuola.
  6. Particolare attenzione va posta su due elementi che – come detto – interagiscono strettamente tra loro: genere ed età della categoria professionale. Tra i docenti sono molto significativi poiché l’83% dei docenti è donna e l’età media raggiunge i 50,4 anni di età. L’età media dello studio inoltre (51 anni se considerati anche gli insegnanti in quiescenza e 48 se inclusi solamente quelli in fase lavorativa) coincide tra l’altro con l’età media della categoria (50,4 anni). Nella donna, tale età viene a coincidere con un periodo delicato e la sua esposizione al rischio depressivo – rispetto alla fase fertile – si quintuplica per tutto il periodo perimenopausale. Tale periodo di massima esposizione della donna ad ansia/depressione aumenta il divario con l’uomo portandolo a 12,5:1. Questa asimmetria tra i due generi non è mai stata considerata, né valutata, neanche in sede di riforma previdenziale proprio a dispetto dell’art 28 del DL 81/08.
  7. Episodi suicidari si verificano in tutti i livelli d’insegnamento anche se con diversa distribuzione. Nella Primaria, Secondaria di I e II grado si notano differenze, anche se non statisticamente significative. Una percentuale sensibilmente inferiore si rileva nella Scuola dell’Infanzia (12%) che però è imputabile al minor numero di insegnanti a questo livello e all’età media più ridotta rispetto alle colleghe dei livelli superiori. Se ne trae il messaggio che nessuna categoria è risparmiata dal fenomeno, come d’altronde hanno già dimostrato studi nazionali, che rilevano la stessa incidenza di patologie psichiatriche in tutti i livelli d’insegnamento. La responsabilità di queste conseguenze è – lo ribadiamo – dovuta alla professione e non al sistema scolastico o al livello di insegnamento in cui si esercita

Riflessioni e contromisure

Seppure questa ricerca attesti una verità sconvolgente (poiché scalza, fino a ribaltarli, falsi stereotipi ben radicati nell’opinione pubblica) e al contempo preoccupante, non possiamo affermare con certezza che i motivi dei gesti estremi siano da attribuire a una causa professionale piuttosto che a un’altra dimensione come l’anamnesi familiare positiva per disturbi psichiatrici oppure a eventi maggiori come lutti, separazioni, malattie (life event). Dovremmo infatti disporre di molti più dati, rispetto a quei pochi in nostro possesso e, soprattutto, di studi di confronto e controllo con altre categorie professionali appartenenti, preferibilmente, alle helping profession. In Italia non abbiamo nulla di tutto ciò, ma vengono in nostro aiuto gli studi francesi e inglesi (punto 3) nonché sud-Coreani che non lasciano dubbi di sorta: Tra il 2018 e giugno 2022 sono 100 gli insegnanti che hanno scelto di togliersi la vita; Un sondaggio congiunto realizzato ad Agosto dal KTU e il Green Hospital di Seoul, mostra che un insegnante su sei sperimenta pensieri suicidi; sono le insegnanti donne a riportare sintomi più elevati nel 40,1% rispetto al 28,9% dei loro colleghi uomini”. Lo stesso dicasi dei pochi studi italiani a disposizione (Milano, Torino, Verona) circa le diagnosi – oggi all’80% psichiatriche – poste dai Collegi Medici di Verifica nelle inidoneità all’insegnamento che determinano un secondo importante campanello d’allarme. Non è un caso se dal 2005 a oggi, il tema è stato oggetto di numerose interrogazioni parlamentari di maggioranza e opposizione (Pepe 2005, Sbrollini 2009, Valditara 2011, Vacciano 2016) che, però, non hanno sortito alcun effetto. Già nel 2011 l’attuale titolare del MIM, chiedeva infatti “che venissero attivate ricerche epidemiologiche al fine di accertare urgentemente l’incidenza delle patologie psichiatriche, il consumo di psicofarmaci, il tasso suicidario della categoria come avviene in Francia”. L’importanza della questione è dovuta anche all’imminente rivisitazione della riforma previdenziale che non può prescindere dalla valutazione della salute professionale della categoria docente. Gli insegnanti confidano che l’allarme lanciato nel 2011 da Valditara, e oggi decisamente amplificato, venga dallo stesso raccolto, considerato il ruolo strategico che ricopre. 

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Si riportano di seguito le proposte d’intervento, urgenti, a tutela della salute professionale degli insegnanti, già sottoposte al ministro del MIM nel 2024.

  1. Ricerca nazionale attraverso uno studio epidemiologico retrospettivo (ventennale) sulla base dei dati delle visite di inidoneità/inabilità nei Collegi Medici di Verifica (CMV). I suddetti dati sono in possesso dell’Ufficio III del Ministero Economia e Finanze (MEF) cui andranno richiesti. L’obiettivo è anche quello di abbattere gli stereotipi dell’Opinione Pubblica sulla categoria attraverso la diffusione annuale delle statistiche rilevate sulla salute professionale.
  2. Formazione docenti e DS, sui rischi professionali per la salute, sulla prevenzione (in modo da favorire anche l’uniformità dei DVR tra le scuole), sugli strumenti a tutela dei docenti (es. ricorso all’accertamento medico in CMV).
  3. Formazione dirigenti scolastici (DS): oltre alla formazione rivolta ai docenti, i DS saranno appositamente formati circa le loro incombenze medico-legali con particolare riguardo all’accertamento medico d’ufficio, la stesura della relazione ex art.15 DPR 461/01 e il ricorso alla sospensione cautelare ex art.6 DPR 171/11.
  4. Creazione di uno “Sportello medico-legale” di supporto (USR o MIM) ai DS per affrontare le tante incombenze medico-legali.
  5. Restituire ai DS la piena responsabilità nella tutela dell’utenza evitando il problematico ingresso/interferenza della Autorità Giudiziaria nella scuola (nido, infanzia, primaria) nei casi di Presunti Maltrattamenti a Scuola (30; 31).
  6. Rivisitazione politiche previdenziali in base a condizione di salute professionale docenti.

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