Mps vuole Mediobanca. Bisignani: dietro il nuovo Palio tra Siena e Parigi

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In Medio(banca) stat Mps. È partito il Palio del potere finanziario tra le contrade incappucciate di Parigi contro quelle di Siena per bloccare l’Ops del Monte dei Paschi su Mediobanca. Alberto Nagel, gran ciambellano di Piazzetta Cuccia e il sodale Philippe Donnet, ad di Generali, stanno mobilitando i loro fidati «compagni di merende» d’Oltralpe e una pattuglia di fondi amici per lanciare una «contro-Opa» più allettante. Per il duo Maione-Lovaglio è una fortuna che oggi non siano più in sella i dominus di un tempo della Procura di Milano, Francesco Saverio Borrelli, Francesco Greco e il loro braccio armato Guido Rossi. Altrimenti Rocca Salimbeni avrebbe probabilmente già ricevuto avvisi e visite sgradite e certo ai due non avrebbero più permesso non solo di tentare la scalata a Mediobanca, ma neppure di assistere al Palio. A rendere la questione ancora più teatrale è il coinvolgimento di Francesco Giavazzi, chiamato in soccorso di Mediobanca. Dopo le sue «amate» gesta a Palazzo Chigi,

In Medio(banca) stat Mps. È partito il Palio del potere finanziario tra le contrade incappucciate di Parigi contro quelle di Siena per bloccare l’Ops del Monte dei Paschi su Mediobanca. Alberto Nagel, gran ciambellano di Piazzetta Cuccia e il sodale Philippe Donnet, ad di Generali, stanno mobilitando i loro fidati «compagni di merende» d’Oltralpe e una pattuglia di fondi amici per lanciare una «contro-Opa» più allettante. Per il duo Maione-Lovaglio è una fortuna che oggi non siano più in sella i dominus di un tempo della Procura di Milano, Francesco Saverio Borrelli, Francesco Greco e il loro braccio armato Guido Rossi. Altrimenti Rocca Salimbeni avrebbe probabilmente già ricevuto avvisi e visite sgradite e certo ai due non avrebbero più permesso non solo di tentare la scalata a Mediobanca, ma neppure di assistere al Palio. A rendere la questione ancora più teatrale è il coinvolgimento di Francesco Giavazzi, chiamato in soccorso di Mediobanca. Dopo le sue «amate» gesta a Palazzo Chigi, dove è riuscito nell’impresa impossibile di far perdere lucidità perfino ad un fuoriclasse come Mario Draghi, ora è pronto ad una nuova «mission impossible».

Il colpo di scena francese, studiato in gran segreto, richiama alla memoria un altro tentativo transalpino di conquista: l’assalto a Generali di ventidue anni fa. All’epoca intervennero Capitalia, UniCredit e Mps con Geronzi, Profumo e De Bustis – per difendere il fortino assicurativo, con il sostegno del governo Berlusconi, della Banca d’Italia e della politica economica guidata da Gianni Letta. Le tre banche acquisirono quote di Generali per un miliardo ciascuna e siglarono un «patto di consultazione», preservando così il risparmio degli italiani.

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Oggi la partita si gioca su Mediobanca, ma lo schema è simile: la Francia avanza, l’Italia resiste a suon di Opa e le immancabili manovre sotto traccia. In questo contesto, l’Ops su Mediobanca, con la benedizione del tenace e concreto ingegner Caltagirone per il quale «comunque vada, sarà un successo», per dirla alla Chiambretti, non è solo un’operazione di mercato. Con questa operazione dopo i fasti del duplex Capaldo-Geronzi, Mps si candida a diventare la nuova banca di sistema della Capitale dal momento che Roma è l’unica capitale europea a non avere una banca. Per evitare l’Opa, forse anche c’era persino qualche studio legale milanese che, per prendere tempo, su indicazione di Piazzetta Cuccia sta cercando di insinuare alla Consob che ci sarebbe un immaginifico concerto tra gli azionisti.

Il governo sembra avere le idee chiare: meglio una Mediobanca che parli italiano con l’aiuto di Mps e di JP Morgan, rappresentata dall’ex ministro Vittorio Grilli, sempre più vicino all’inner circle di Giorgia Meloni e soprattutto al suo capo di gabinetto, Gaetano Caputi. Un’alleanza talmente forte che scoraggerà anche il miglior banchiere italiano, Carlo Messina, ad di Intesa, dal correre in soccorso di Mediobanca.

Un’operazione che, forse, in passato avrebbe pure considerato, Antitrust permettendo. Il «takeover bid» Mps, contrariamente alle dichiarazioni dei vertici di Mediobanca che lo definiscono «distruttivo», contribuirebbe invece a rafforzare il sistema bancario italiano e creerebbe valore per imprese, investitori e risparmiatori. E non può essere considerato ostile. Certamente è ostile a Nagel e Pagliaro ma non a Mediobanca. Al contrario, ben più controverso è l’accordo tra Generali e Natixis, banca d’affari e asset manager francese, che ha sollevato più di un interrogativo sulla strategia di Mediobanca nel favorire l’ingresso di soggetti transalpini nel cuore del sistema finanziario italiano.

 

Mediobanca vive di quattro business: investment banking, partecipazioni (Generali), gestione del risparmio (wealth, private e retail con Mediobanca Premier, ex Che Banca) e credito al consumo (Compass).
Tutti business complementari o agevolmente integrabili con Mps. Le sinergie sulla gestione del risparmio e il credito al consumo sono evidenti. E il mercato lo sa.
Sulle partecipazioni, Generali è tutto. E la storia dimostra che Piazzetta Cuccia l’ha gestita con una logica di «soffocamento», evitando qualsiasi ricorso ad aumenti di capitale per un’ulteriore crescita, pur di non perderne il controllo.

Sul fronte dell’investment banking, e sulla financial advisorship collegata, infine, è chiaro che oggi Mediobanca, dopo aver distrutto in passato gruppi come Ferruzzi e Ligresti, ha perso lo smalto di un tempo. Non ha più alcuna leadership sulle operazioni large, in mano anche in Italia alle grandi banche internazionali. Senza Enrico Cuccia e il suo fascino ipnotico sulle dinastie imprenditoriali, la banca d’affari più blasonata d’Italia avrebbe fatto meglio a concentrarsi sul tessuto delle Pmi italiane, su cui Mps, invece, è senza alcun dubbio ben posizionata. I passaggi generazionali si fanno con finanza e governance. Ma, si sa, i remuneratissimi vertici di Mediobanca amano più le trincee delle sfide. Seguendo i «migliori» principi della cosiddetta Teoria dell’Agenzia secondo la quale gli «agenti» (i manager) spesso perseguono anzitutto i loro interessi personali, a scapito di quelli degli azionisti (i loro «principali») e degli stakeholder- hanno preferito salvaguardare sé stessi piuttosto che il futuro dell’istituto. È anche per questo che va vista con favore l’iniziativa del governo sul cosiddetto Decreto Legge «Capitali» e sul tentativo di correggere lo strapotere delle «liste del CdA», con un meccanismo che cerca di dare una maggiore presenza nei consigli di amministrazione alle liste di minoranza molto qualificate. Il piano industriale di Mps potrebbe far uscire dalla loro aurea elitaria i vertici di Mediobanca, che hanno ridotto Piazzetta Cuccia a gestire un club per pochi eletti.

E a proposito di club esclusivi, la difesa strenua del board di Mediobanca sembra essere più legata alla volontà di conservare un certo lifestyle che a un reale progetto industriale. Il triangolo d’oro delle relazioni sociali dei top manager si sviluppa tra via dei Giardini (il club «The Wilde Club»), Piazzetta Cuccia (la trincea) e via Montenapoleone (Pasticceria Marchesi). E, mentre i soldi veri girano altrove, loro continuano a trincerarsi in un fortino sempre più dorato, autoreferenziale e irrilevante. Se Giorgia Meloni riuscisse a mettere il sigillo su questa operazione, potrebbe persino rivendicarla come una vittoria patriottica. Con l’aiuto di capitalisti con capitali, come ha sottolineato «topolino Tria».

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