Mancano medici e infermieri, una carenza cronica soprattutto al Pronto Soccorso. Ma quali sono le cause di queste carenze?
Legnano – Tra la fine del 2024 e i primi giorni del 2025 la nostra redazione ha ricevuto numerose segnalazioni di disservizi in ambito sanitario, con particolari criticità riscontrate al Pronto Soccorso cittadino e l’hospice di Cuggiono.
Qualcuno è tornato a definire “eroi” i medici e gli infermieri del Pronto Soccorso: “Forse è a medici e infermieri, questi eroi giornalieri, a cui dovrebbe essere aumentato lo stipendio. Non mi spiego come medici e infermieri possano accettare queste situazioni di caos. Dato che solo a loro è dovuto il funzionamento, anche anomalo, della macchina PS”. Al di là dei ringraziamenti e del coinvolgimento emotivo, però, è il caso di fare il punto della situazione guardando numeri e fatti.
Dove è finito il personale sanitario?
La cronica carenza di personale sanitario sta bloccando la sanità pubblica, ma davvero mancano medici e infermieri? Si e no. Da un lato c’è un dato demografico dove i nuovi inserimenti lavorativi non riescono a coprire i pensionamenti, ma dall’altro c’è un preoccupante abbandono dell’attività a chi si aggiunge l’esodo verso il privato e l’estero.
“Nei primi 9 mesi dell’anno passato, secondo gli ultimi dati disponibili nella banca dati dell’Inps si sono registrate ben 1 milione 566 mila dimissioni volontarie. A fine 2024 si arriverà ben sopra quota 2 milioni di dimissioni, un dato in linea con i 2 milioni e 182 del 2022 e di 2 milioni e 152 mila del 2023” si legge nel dossier pubblicato da La Stampa nei giorni scorsi.
Le principali cause che portano alla difficile decisione di abbandonare il proprio lavoro sono riconducibili a stress, eccessivi carichi di lavoro, salari troppo bassi, scarsa valorizzazione della professionalità e la ricerca di una prospettiva migliore.
Come a dire che il “work-life balance” è sempre più una realtà perseguita e non più solo una teoria che propone orari di lavoro flessibili nel rispetto del tempo libero della persona, un’attenzione alla qualità della vita e la richiesta di benefit inseriti in un’ottica di welfare aziendale che possono portare a un equilibro tra vita lavorativa e vita privata.
L’esodo ha riguardato anche e soprattutto i dipendenti pubblici a partire da medici e infermieri (ma anche agenti di polizia locale, autisti di autobus, insegnanti e poliziotti): secondo i dati forniti da Anaao-Assomed nel 2024, 7 mila medici hanno lasciato le corsie degli ospedali . Inoltre 23 mila infermieri si sono dimessi negli ultimi 4 anni, di questi il 20% ha abbandonato in toto l’attività, gli altri sono confluiti nel settore privato o sono andati all’estero,
Colpa del calo demografico?
Anche Milena Gabanelli, ha analizzato il fenomeno nella sua DataRoom: “Mancano 60 mila infermieri. Gli attuali 20mila posti del corso triennale di laurea infermieristica sono il doppio rispetto a 24 anni fa, ma su 100 messi a bando alla fine si laureano in 70, sia perché non tutti i posti vengono coperti durante le iscrizioni, sia perché troppi studenti lasciano tra il primo e il secondo anno”. Difficile quindi che le nuove leve possano arrivare unicamente dal percorso scolastico ed è in questo scenario che si apre la possibilità di collaborazioni con personale sanitario straniero, come era accaduto durante la pandemia.
Manca anche un ricambio generazionale perché ogni anno i pensionamenti sono circa 13mila, e non bastano i 10mila laureati del 2023 e i 12mila del 2024 a coprire le posizioni rimaste scoperte.
“C’è un’aggravante, cioè il fatto che i professionisti sanitari non medici, che sono quelli che sono più coinvolti per diciamo per per la cura del paziente anziano, sono sempre meno – ha spiegato Giovanni Guizzetti, direttore socio sanitario dell’Asst Ovest Milanese, durante la conferenza “Curare a Casa” dello scorso 17 gennaio – Alla base C’è un problema demografico perché gli infermieri che vanno in pensione più o meno sono nati dove c’era il picco della curva delle nascite in Italia, quindi un milione circa di nuovi nati nella prima metà degli anni 60, e vengono sostituiti da nuovi professionisti che però sono nati in un momento in cui le nascite erano meno della metà di allora. Non è un problema solo per le professioni infermieristico sanitarie, è un problema demografico che abbiamo in Italia, ma questo ovviamente ha una ricaduta molto pesante sulla possibilità di cura e soprattutto in prospettiva futura, in cui saranno sempre di più le persone che avranno queste necessità. Dobbiamo senz’altro immaginarci nuovi modelli, cioè non possiamo pensare di rimanere con l’assetto attuale e affrontare quello che sarà nei prossimi 20 anni”.
Nel cambio di assetto attuale possono attutire l’impatto la tecnologia (come la telemedicina) e il cambio del paradigma di cura che porterà, entro il 2026, a curare il 10% dei pazienti over 65 direttamente al loro domicilio (come spiegato nell’intervista dal Dott. Guizzetti). Eventualità che però richiedono in ogni caso l’intervento di personale sanitario preparato.
A conclusione di questa panoramica non si può ignorare un altro dato fondamentale: “tra il 2017 e il 2023 si contano 7.708 liberi professionisti in più, nel 2023 altri 3mila sono “scappati” all’estero”, scrive la Gabanelli, dati che confermano la mancanza di attrattività del Servizio Sanitario nazionale pubblico, che presenta la prospettiva di “turni massacranti, rischio aggressioni, possibilità di carriera vicine allo zero e la busta paga è misera” ed è su questo che il Paese deve trovare soluzioni concrete.
Laura Defendi
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