Legge di Bilancio 2025: le pensioni tra propaganda e realtà

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La recente Legge di Bilancio 2025 conferma quanto la questione previdenziale resti tuttora una delle più delicate e controverse per il nostro Paese.

Nonostante le promesse di superamento della legge Monti-Fornero, la realtà è che si andrà in pensione sempre più tardi e con assegni sempre più bassi, penalizzando giovani, donne e lavoratori impiegati in mansioni gravose o usuranti. A dimostrarlo sono non solo le proiezioni della Ragioneria generale dello Stato, ma anche l’analisi delle misure contenute nella Manovra, che certificano un ulteriore restringimento delle possibilità di accesso anticipato alla pensione e una mancata valorizzazione del lavoro di cura e delle condizioni di lavoro particolarmente usuranti.

Le misure di flessibilità, come Quota 103,(62+41 anni di contributi) confermate per il 2025, risultano del tutto inefficaci. Il ricalcolo contributivo e le finestre di accesso previste hanno drasticamente ridotto la platea dei beneficiari, come dimostrano le sole 1.541 domande presentate nel 2024. Opzione Donna, destinata alle lavoratrici, ha subito un ulteriore restringimento dei requisiti, con una riduzione della platea interessata del 70% rispetto al 2023 e un taglio ancora maggiore nel 2025. Anche l’Ape Sociale, pensata per le categorie più fragili, prorogata con l’incremento dell’età da 63 anni a 63 anni e 5 mesi, costituisce una risposta insufficiente e incapace di rispondere ai bisogni di chi svolge lavori gravosi o è in condizioni di difficoltà.

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Parallelamente, l’introduzione del “bonus Maroni” crea una profonda disuguaglianza all’interno del sistema previdenziale, incentivando chi decide di rimanere al lavoro con l’importo netto dei contributi in busta paga. Questa misura altera i principi di solidarietà che dovrebbero guidare il sistema pensionistico, penalizzando non solo i futuri pensionati, ma anche la sostenibilità complessiva del sistema. 

La situazione è particolarmente grave per i giovani. L’assenza di una pensione di garanzia nel sistema contributivo, combinata con requisiti sempre più severi per il pensionamento anticipato, esclude una generazione intera dalla possibilità di una pensione dignitosa. In un contesto di bassi salari e carriere discontinue, i requisiti previsti rappresentano uno scoglio insormontabile per la maggior parte dei lavoratori.

Anche i pensionati attuali non vedono miglioramenti significativi, anzi. L’aumento delle pensioni minime di 1,8 euro al mese rappresenta una misura simbolica, che non tiene conto delle reali difficoltà economiche che molte persone anziane si trovano ad affrontare. Il ripristino poi della perequazione piena per il 2025 non compensa le perdite subite negli ultimi due anni, aggravando ulteriormente la loro condizione.
La Legge di Bilancio 2025 conferma ancora una volta l’assenza di una visione di lungo periodo sul tema previdenziale, limitandosi a prorogare alcune misure senza introdurre riforme strutturali – dichiara Roberto Panico, coordinatore regionale dell’Inca Cgil Umbria Se da un lato vengono confermate alcune possibilità di pensionamento in deroga alla Legge Fornero, dall’altro non si registra alcun reale cambiamento: il sistema continua a basarsi su interventi temporanei e frammentari, senza affrontare il problema alla radice.

Nonostante gli annunci politici, nulla è stato fatto per superare le criticità esistenti. Il Governo – rincara Panico – continua a trattare la previdenza come un bacino da cui attingere risorse per sanare i bilanci dello Stato. Mentre si parla di flessibilità, la realtà è che le possibilità di accesso anticipato alla pensione sono state ridotte al minimo, lasciando lavoratori e lavoratrici in balìa di requisiti sempre più stringenti. Si continua con Bonus e misure spot che penalizzano le situazioni economiche più fragili. Dal 2025 cambiano ad esempio anche i requisiti per l’accesso alla NASPI: per ottenere l’indennità di disoccupazione, sarà necessario aver maturato almeno 13 settimane di contribuzione nei 12 mesi antecedenti la richiesta. Questa modifica impatta soprattutto i lavoratori che si dimettono volontariamente e successivamente intraprendono un nuovo impiego, rendendo più difficile l’accesso al sussidio in caso di perdita involontaria del lavoro successivo. Per carenza di controlli si interviene sui requisiti – spiega Panico – non tenendo conto delle reali dinamiche del mercato del lavoro”.

In questo contesto il referendum sul lavoro promosso dalla Cgil si inserisce come elemento di contrasto alle politiche economiche portate avanti dal Governo e costituisce un’occasione democratica di ribadire la necessità di stabilizzare il lavoro tutelando i diritti e la sicurezza di tutte e tutti.





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