Medici di base divisi sulla riforma. I nodi: territorio e pensioni

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Sono ore di fibrillazione tra i medici di base. Le ipotesi di riforma della professione si accavallano e scontentano tutti o quasi. Nel giro di quarantott’ore, da ambienti vicini al governo sono arrivate due diverse proposte. La prima è un ddl targato Forza Italia secondo cui i medici di medicina generale dovrebbero dedicare venti ore settimanali ai propri assistiti e diciotto alle case di comunità, i mille presidi socio-sanitario in corso di realizzazione grazie ai fondi Pnrr e dedicati alle cure primarie della cittadinanza. Secondo il progetto forzista, i medici manterrebbero l’attuale status di lavoratori autonomi convenzionati con il Ssn. L’altra proposta è filtrata grazie a uno scoop di Milena Gabanelli, che sul Corriere della Sera ha rivelato che il ministro della salute Orazio Schillaci sta pensando a un’analoga distribuzione oraria, ma con i medici dipendenti diretti del Servizio sanitario nazionale al pari degli ospedalieri.

ENTRAMBE APRONO interrogativi di non facile risposta che adesso rimbalzano sugli smartphone. Pina Onotri, segretaria del Sindacato medici italiani, ne menziona alcuni. «Ci stanno chiedendo di contrarre l’attività assistenziale nei confronti dei nostri pazienti? Sul serio si ritiene che il nostro carico assistenziale, soprattutto in era post Covid, possa essere compresso in 20 ore a settimana?». E mostra un sondaggio tra centinaia di iscritti che al 97% dichiarano di non approvare la riforma di FI. «Perché lavorare 38 ore in maniera strutturata con modalità decise da altri, magari timbrare il cartellino e avere un capo e continuare ad accollarsi tutte le spese di gestione dello studio, non avere diritto a ferie, malattia, infortunio?», scrive sul sito Quotidiano Sanità Ornella Mancin, medico di base in provincia di Venezia secondo cui la proposta è «irricevibile». Andrea Filippi, segretario Fp Cgil, parla di «ibridi contrattuali che peggiorano l’attuale organizzazione dell’assistenza territoriale, da sempre inefficace per il rapporto di lavoro libero professionale che isola i professionisti dai servizi».

LA CGIL È FAVOREVOLE al passaggio alla dipendenza pubblica, con l’istituzione di una scuola di specializzazione per i nuovi medici che sostituisca gli attuali corsi regionali. In un periodo di transizione, potrebbe essere un canale obbligato solo per i neoassunti. Secondo le indiscrezioni di stampa è la direzione in cui vorrebbe muoversi il governo. «Ma è un film che abbiamo già visto con quello precedente», spiega Filippi. «Anche il ministro Speranza aveva proposto la dipendenza pubblica e poi gli interessi corporativi avevano avuto la meglio».

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NON È IN GIOCO solo l’inquadramento di una professione. Le Case di comunità devono andare a pieno regime entro il 2026 e la loro gestione sarà affidata ai medici di famiglia. Senza accordo, fallirebbe l’ultima occasione di rilancio per la sanità italiana. Ma il negoziato non è facile: le incognite sono tante e i medici di base hanno il sostegno dell’ordine. L’attuale presidente Filippo Anelli, ex-vicesegretario nazionale del principale sindacato dei medici di famiglia Fimmg, si è già espresso contro la dipendenza. E allora la proposta di Forza Italia – oggi per alcuni «irricevibile» – domani potrebbe diventare il punto di caduta della trattativa, anche per un inconfessabile risvolto finanziario. L’ente previdenziale dei medici di base (Enpam) è la più grande cassa pensionistica privata d’Italia con un patrimonio di quasi 26 miliardi di contributi versati e reinvestiti. Se i medici di base passassero al pubblico «si metterebbe a rischio la sopravvivenza dell’attuale ente previdenziale», dice Silvestro Scotti, segretario nazionale Fimmg. «Sono quasi diecimila i medici di Medicina generale che avrebbero già diritto alla pensione dall’Enpam. Si rischiano dunque dimissioni di massa».

Non tutti i medici però danno la priorità a questi aspetti. «A bloccare la riforma sono interessi di bottega», ammette Laura Viotto, dottoressa di famiglia a Roma. Viotto è autrice di un documento firmato da decine di medici di base favorevoli a passare nel Ssn nonostante le corporazioni. «È chiaro che senza una riforma la sanità territoriale va a sbattere».



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