Quali effetti per l’ASEAN? –

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Contributi e agevolazioni

per le imprese

 


Il secondo mandato del Presidente statunitense Donald Trump è foriero di opportunità, ma anche di rischi, per gli Stati del Sud-est asiatico.

Dopo il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, in diverse parti del mondo sono sorti interrogativi su cosa aspettarsi dalla sua seconda presidenza, che potrebbe rivelarsi ancor più imprevedibile della prima. In questo senso, anche le cancellerie dei membri dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (ASEAN) non hanno fatto eccezione, dal momento che nei precedenti quattro anni al potere, Trump aveva inviato segnali contrastanti in merito alla sua politica verso la regione.

Se, da un lato, il Presidente statunitense aveva manifestato il proprio scarso interesse nei confronti del multilateralismo, non avendo pressoché mai partecipato ai Summit ASEAN, preferendo invece un approccio di natura bilaterale, dall’altro, Trump non aveva potuto ignorare il ruolo strategico del Sud-est asiatico nel contesto della crescente competizione globale con la Cina; anche quest’ultimo aspetto, tuttavia, non è esente da vulnerabilità.

Prestito personale

Delibera veloce

 

Risulta indubbio che gli Stati membri dell’ASEAN abbiano in certa misura beneficiato dalle tensioni tra Washington e Pechino. Al fine di sfuggire alle sanzioni che vennero imposte da Trump alla Cina, numerose aziende decisero di ridirezionare i propri investimenti e delocalizzare la produzione dal gigante asiatico verso i vicini sudorientali; ciononostante, non è passato inosservato il fenomeno per cui molti prodotti realizzati nel Sud-est asiatico ed esportati negli Stati Uniti siano in realtà formati da componentistica molto spesso proveniente proprio dalla Cina.

Se già l’amministrazione Biden aveva iniziato a indagare su questo fenomeno, appare prevedibile che quella di Trump vi presterà ancor più attenzione. Laddove, infatti, venisse alla luce che Pechino cerca di aggirare le sanzioni USA esportando beni solo in teoria “made in ASEAN”, ma sostanzialmente “made in China”, servendosi dei paesi della regione, questi potrebbero essere a loro volta soggetti a sanzioni, che danneggerebbero gravemente le relazioni commerciali con gli Stati Uniti.

A questa possibile eventualità va ad aggiungersi, poi, quella molto più concreta per la quale Trump potrebbe decidere di adottare dazi più pesanti sulle importazioni dal Sud-est asiatico al fine di sanare il significativo disavanzo di cui gli Stati Uniti soffrono rispetto agli Stati della regione. Quasi tutti i membri dell’ASEAN, infatti, godono di un grande surplus nella bilancia commerciale, come più volte denunciato dal nuovo inquilino della Casa Bianca. 

Dalla prospettiva degli Stati della regione suddetto scenario è sicuramente preoccupante, poiché una guerra commerciale con Washington non solo avrebbe delle nefaste ripercussioni sulla crescita delle loro economie, ma li spingerebbe ulteriormente tra le braccia di Pechino, ipotesi assolutamente non auspicabile, soprattutto per gli Stati che vorrebbero cercare di mantenere un’equidistanza dalle due superpotenze. 

Proprio quest’ultimo elemento, ossia il rischio di un eccessivo avvicinamento della Cina ai membri dell’ASEAN, potrebbe convincere Trump a adottare una maggiore cautela. Il Presidente, infatti, è ben consapevole dell’importanza strategica della regione nella competizione con l’avversario asiatico; da più di un decennio a questa parte, gli Stati Uniti hanno progressivamente concentrato i propri sforzi sul consolidamento del loro ruolo nell’Indo-Pacifico e, in particolare, nel Sud-est asiatico, lungamente considerato da Pechino come il proprio “cortile di casa”.

Come menzionato in apertura, un altro pericolo che incombe sull’ASEAN è quello che l’insofferenza di Trump per il multilateralismo e l’adozione di un approccio prettamente bilaterale possa aumentare le divisioni all’interno del blocco regionale. A differenza di quanto fatto da Biden, che aveva dato vita ad una nuova piattaforma di cooperazione multilaterale, l’Indo-Pacific Economic Framework (IPEF), Trump potrebbe mettere fine a tutto questo, scegliendo invece di stringere accordi bilaterali con quegli Stati reputati più vicini a Washington, come ad esempio le Filippine o Singapore.

Una simile evenienza non farebbe altro che polarizzare gli Stati della regione tra coloro che tendono maggiormente agli Stati Uniti e chi, invece, guarda di più in direzione della Cina. L’ASEAN presenta al suo interno già molteplici attriti, che hanno finora impedito di trovare delle soluzioni alle crisi che attanagliano la regione, quali il conflitto in Myanmar e le tensioni nel Mar cinese meridionale. Se le divisioni si acuissero ulteriormente, l’Associazione potrebbe arrivare a un punto di rottura insanabile, che avrebbe conseguenze gravi per la stabilità del Sud-est asiatico.

Se, dunque, dal punto di vista degli Stati della regione, risulta fondamentale conservare una posizione di equilibrio tra Washington e Pechino, allo stesso tempo, ambedue le superpotenze hanno interesse affinché l’armonia e la coesione interna dell’ASEAN vengano salvaguardate, pur con la presenza di esigenze divergenti, dipendenti anche dalle singole priorità nazionali. È innegabile che l’Associazione abbia contribuito in modo determinante alla stabilizzazione del Sud-est asiatico, devastato da decenni di conflitti, ed è cruciale che tutte le parti continuino a lavorare in tal senso.

Finanziamenti e agevolazioni

Agricoltura

 

Sembra proprio che il rischio più significativo derivante dalla seconda presidenza Trump sia legato a quest’ultimo aspetto; il disinteresse del Presidente verso la regione e le sue strutture bilaterali, al di fuori di ciò che concerne i meri interessi economici statunitensi, potrebbe andare a tutto vantaggio di quei membri dell’ASEAN che sempre più si allontanano dalla democrazia e dal rispetto dei diritti umani, cui Trump non ha mai dimostrato di prestare particolare attenzione.

L’arretramento democratico della regione è apparso in modo evidente negli ultimi anni, non soltanto in paesi considerati emblematici come Vietnam e Laos (Stati monopartitici di stampo comunista) o il Brunei (una monarchia assoluta islamica), bensì anche in Cambogia, dove l’opposizione è scomparsa e il potere è detenuto dalla famiglia Hun, in Thailandia, in cui malgrado il ritorno di un governo civile, i militari continuano ad avere un ruolo preponderante, o ancora in Indonesia, che ha di recente eletto Presidente Prabowo Subianto, uomo forte ex generale della dittatura militare di Suharto. 

Benché il quadro delineato non sia roseo, il secondo mandato di Trump potrebbe comunque riservare delle opportunità non trascurabili per il Sud-est asiatico, in quanto, nel caso in cui il Presidente degli Stati Uniti scegliesse di adottare nei confronti della Cina un approccio analogo a quello del suo primo mandato, se non ancor più duro, gli Stati della regione beneficerebbero largamente del fenomeno del dirottamento degli investimenti e della delocalizzazione della produzione.

In aggiunta, è chiaro che Washington sia ben consapevole di quanto sia importante accrescere la sua cooperazione economica con l’ASEAN, di cui gli USA sono il secondo partner commerciale (con un interscambio di quasi 400 miliardi di dollari nel 2023), nonché una delle aree del mondo che ha avuto la maggior dinamicità e il maggior tasso di crescita economica negli ultimi anni. Ciò sarebbe altresì funzionale affinché gli Stati Uniti possano rafforzare la loro posizione di leadership nell’Indo-Pacifico e, in particolare, nel Sud-est asiatico, sottraendo terreno alle mire egemoniche cinesi.

Sarebbe, tuttavia, cruciale fare in modo che le tensioni tra Washington e Pechino non degenerino in un conflitto aperto, ipotesi del tutto catastrofica per l’ASEAN, i cui membri a quel punto sarebbero obbligati a prendere una posizione, cosa che fino a questo momento hanno sempre evitato di fare, per le ragioni che sono state spiegate. Di conseguenza, l’Associazione ha il dovere di non avvantaggiare eccessivamente alcuna delle due parti, mantenendo lo status quoattualmente in vigore. 

Inoltre, l’Associazione potrebbe approfittare del ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca come una occasione per rinsaldare la propria unità. In un’epoca in cui il multilateralismo è sempre più fragile, l’ASEAN potrebbe porsi alla guida di quei paesi che invece sono fermamente schierati in suo favore, rimarcandone l’importanza. Per fare ciò, tuttavia, è fondamentale che i membri del blocco regionale compiano sforzi congiunti allo scopo di superare le divisioni e basarsi su un paradigma quanto mai indispensabile, quello dell’unità nella diversità.

È necessario ribadirlo, il Sud-est asiatico non rientra tra le priorità dell’amministrazione Trump e le aspettative degli Stati regionali a tal riguardo sono piuttosto basse, ma questo non vuol dire che le opportunità esistenti non possano essere colte. La miglior strategia che i paesi membri dell’ASEAN dovrebbero mettere in atto è mostrarsi pragmatici, riconoscendo la ben nota imprevedibilità del nuovo Presidente degli Stati Uniti, la quale caratterizzerà inevitabilmente la sua politica nei confronti della regione e cercando di trarne il massimo possibile, proteggendo la propria unità e centralità.

Microcredito

per le aziende

 



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link