Non c’è stato nessun tentativo di depistare le indagini da parte dell’ex poliziotto Antonio Federico. Per questo motivo il procuratore capo di Caltanissetta, Salvatore de Luca, l’aggiunto Pasquale Pacifico e la sostituta Nadia Caruso hanno chiesto e ottenuto l’archiviazione per l’ex sovrintendente di polizia in servizio al commissariato di Alcamo, ormai in quiescenza. Inizialmente indagato per depistaggio , accusa poi derubricata in false dichiarazioni al pm, Federico è stato scagionato da tutte le contestazioni.
La fonte, le perquisizioni e la foto – La vicenda del poliziotto di Alcamo, assistito dagli avvocati Vito Galbo e Maurizio Miceli, incrocia il filone investigativo condotto dagli inquirenti nisseni per cercare riscontri alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Armando Palmieri, poi deceduto all’improvviso nel 2023. Il pentito aveva raccontato gli incontri tra l’uomo d’onore alcamese Vincenzo Milazzo ed altri esponenti, “mai identificati con certezza”, che sarebbero “appartenenti ad apparati deviati dello Stato”. Incontri che sarebbero stati “mediati dalla presenza del medico e politico alcamese Lauria Baldassarre”. Vicenda giudiziaria già conclusa con l’archiviazione per Lauria, ex senatore di Forza Italia. In questo contesto, Federico è stato nuovamente ascoltato a Caltanissetta, visto che nel corso degli anni ha raccontato a diverse procure di aver avuto “contatti di un certo rilevo con una sua fonte confidenziale, appartenente ad ambienti istituzionali”. Grazie a questa fonte ha compiuto la perquisizione a “due agenti dell’Arma dei carabinieri in servizio ad Alcamo”, in cui è stato trovato un “cospicuo arsenale illegalmente detenuto”. La “fonte confidenziale” aveva informato l’ex poliziotto che avrebbe trovato anche “una fotografia di una donna”, che avrebbe anche lei fatto parte “a non meglio definiti apparati di sicurezza dello Stato”, e che avrebbe dovuto mostrare lo scatto a chi era presente alle perquisizioni, perché “avrebbero capito”. Un elemento per i magistrati nisseni rilevante, considerato che continuano ad indagare sulle stragi e proprio in quella Capaci è stato ritrovato “un guanto in lattice contenente anche un profilo di Dna femminile di cui non è stata, ad oggi, mai chiarita la provenienza”.
Rosa Belotti e le stragi – Nella richiesta di archiviazione, i magistrati di Caltanissetta scrivono che in seguito alle indagini delle Dda di Firenze “è emerso con certezza che l’effige fotografica rinvenuta da Federico ritraesse Rosa Belotti”, ma che la figura della donna non è “mai emersa in relazioni alle attività di indagine svolte” e “non risulta avere alcun legame con ambienti istituzionali ricollegabili ai servizi di sicurezza”. Inoltre, il Dna recuperato a Capaci e comparato con quello di Belotti “ha dato esito negativo”. La donna è indagata dalla Dda di Firenze con l’accusa di essere “l’esecutrice materiale che ha guidato la Fiat Uno grigia imbottita di esplosivo sottratta alla proprietaria (…) condotta in via Palestro per colpire il PAC (Padiglione d’Arte Contemporanea, ndr.) nell’ambito della strage a Milano del 27 luglio 1993”. Belotti ha però sempre negato il suo coinvolgimento.
Versioni discordanti – Il 21 novembre 2022, Federico è ascoltato dai magistrati nisseni proprio per avere “informazioni sulla fonte istituzionale”, di cui “mai aveva fornito elementi utili all’individuazione”. Federico è già intercettato, quindi i magistrati – si legge nella richiesta di archiviazione – hanno individuato “con elevata probabilità” che la fonte è “Nunzio Purpura, all’epoca dei fatti in servizio presso i Sisde a Palermo”. Come emerso in altre indagini aveva “la disponibilità di un appartamento in via Ughetti a Palermo, nello stesso stabile in cui fu individuata” la casa in cui si trovavano “diversi soggetti coinvolti nella strage di Capaci, tra cui Gioacchino La Barbera e Antonino Gioè”. In quattro diversi interrogatori, tra il 1997 e il 2022, con i magistrati di Trapani, Reggio Calabria, Catania e Firenze, Federico non ha mai detto il nome del suo informatore, e quando si trova davanti ai pm di Caltanissetta nega “che la sua fonte potesse identificarsi in Purpura”. Una “dichiarazione falsa”, scrivono i magistrati, “per non coinvolgere in alcun modo nelle indagini” l’ex 007. A gennaio dell’anno successivo, Federico è interrogato dai magistrati fiorentini e questa volta svela l’identità di Purpura. Ma visto il coordinamento tra le varie procure quando si tratta di indagini sulle stragi, i pm toscani condividono le informazioni con Caltanissetta: ecco perché Federico finisce sotto indagine in Sicilia per depistaggio.
“Avevo paura”- In un successivo interrogatorio congiunto, a settembre 2024, con i pm di Firenze e Caltanissetta, Federico conferma che la fonte “Max era effettivamente Purpura”, di non averlo riferito in passato perché “nutriva timori per la sua incolumità considerato il ruolo” dello 007, timori che non si sono “dissipati neppure dopo la morte” dell’ex agente, perché anche la moglie fa parte dei servizi segreti. Precisa di aver “instaurato negli anni un rapporto molto stretto” con Purpura e di essersi recato a prenderlo nel suo “appartamento in via Ughetti” che condivideva con la moglie, di averla vista una volta al bar ma di non saperla riconoscere. Racconta che è stato Purpura ad indicargli che durante la perquisizione avrebbe trovato “una foto all’interno di un libro”, e di essersi “limitato a consegnarla ai suoi superiore dell’epoca e solo dopo qualche tempo gli fu restituita senza alcuna spiegazione”. L’ex soprintendente “non redasse – scrivono i pm – alcun verbale di sequestro”. Infine Federico spiega di “non aver mai avuto intenzione di ostacolare o depistare le indagini”, ma di “non aver riferito” le informazioni “unicamente per paura”, anche dopo la morte di Purpura.
“Purpura soggetto ambiguo”- I magistrati nisseni nella loro richiesta ritengono sia emersa “una evidente progressione dichiarativa” da parte di Federico “che desta certamente qualche dubbio in ordine alla complessiva attendibilità” dell’ex poliziotto. Se in prima istanza, nell’interrogatorio di gennaio 2023, Federico ha “affermato di essere stato lui a fare un collegamento tra la foto rinvenuta ad Alcamo e l’identikit di una donna coinvolta nelle stragi nel 1993 apparso sui media”, nel secondo interrogatorio di settembre 2024, ha “affermato che è Purpura a parlargli espressamente di un collegamento della ‘donna effigiata nella foto’ nelle stragi”. Resta il fatto, scrivono i pm, che si tratta di “una fonte de relato e che tutti gli aspetti di rilevo hanno come fonte primaria Purpura, soggetto certamente ambiguo per come emerso nelle indagini”, ma ormai scomparso. Per l’accusa, Federico non ha fornito informazioni false ai magistrati di Caltanissetta con la “specifica finalità di depistare le indagini in corso”, perché a quel punto di tratterebbe “di una singolare ipotesi di depistaggio selettivo”, avendo poi confermato tre mesi dopo a Firenze chi era la sua fonte. Quindi “appare poco probabile che un soggetto qualificato come Federico, se avesse voluto realmente depistare le indagini, non si rendesse conto che le successive dichiarazioni avrebbero senza dubbio reso palese” la falsità della precedente versione. Visto e considerato che le indagini sulle stragi del 1992 e del 1993 si svolgono in costante coordinamento tra gli uffici competenti sotto la Procura Nazionale Antimafia” e che Federico è stato “ascoltato pure dalla commissione parlamentare antimafia”. “Seppur la spiegazione alle dichiarazioni false” che Federico “ha fornito nell’ultimo interrogatorio, legata ad un non meglio specificato timore per la propria incolumità, – scrivono i magistrati – non appare convincente, anche perché nel lasso cronologico tra i due” interrogatori di Caltanissetta e Firenze, “nulla è cambiato che potesse determinate il dissipare di tale timore, non si ritiene tuttavia raggiunta la prova all’elemento psicologico” del depistaggio. Quindi l’accusa è derubricata in false dichiarazioni ai pm, contestazione per la quale Federico non è punibile ai sensi dell’articolo 376 del Codice Penale: ha infatti ritrattato le dichiarazioni non veritiere.
“Federico ha chiarito”- “Il decreto, nel fare proprie le ragioni del pubblico ministero scolpite nella richiesta di archiviazione, riconosce come il Federico nonostante abbia tenuto riserbo per tanto tempo per ragioni comprensibili, legate anche alla tutela dell’incolumità propria e dei propri cari e alla custodia delle proprie fonti, rivelandole soltanto innanzi alla Procura di Firenze, a distanza di anni, condividendo il proprio ingombrante sapere – spiega l’avvocato Galbo -. Federico ha cercato di chiarire alcuni aspetti, oggi è un uomo libero, tanto da censure penali quanto dal peso di alcuni segreti su vicende così rilevanti della parte più tragica della storia nazionale”.
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