Green, baby, green. Come la Spagna sta rilanciando l’economia puntando tutto sulle rinnovabili

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Come pochi altri Paesi europei, la Spagna ha imparato sulla propria pelle quanto l’inazione climatica sia più costosa della transizione ecologica, quando lo scorso autunno l’alluvione Dana ha devastato l’area di Valencia: finora il Governo ha approvato tre decreti per mobilitare oltre 16,6 miliardi di euro per rimettere in sicurezza i Comuni colpiti, continuando al contempo ad accelerare sul fronte della mitigazione, ovvero sul taglio delle emissioni di gas serra grazie all’impiego delle fonti rinnovabili. Che si stanno dimostrando anche un formidabile investimento sulla competitività economica del Paese.

Intervenendo alla terza edizione dell’Enagás hydrogen day, il presidente Pedro Sánchez ha richiamato i dati pubblicati nei giorni scorsi dall’Instituto nacional de stadística: «Il momento economico che sta vivendo il nostro Paese ci ha permesso di chiudere l’anno 2024 con una crescita trimestrale non inferiore al 3,5% del Pil» in termini tendenziali, ovvero sette volte di più dell’Italia (+0,5%).

Al contempo, il 56% di energia elettrica prodotta in Spagna arriva oggi dalle fonti rinnovabili (l’Italia è al 48,8%, quanto basta a coprire il 41,2% della domanda), il che sta consentendo di «generare migliaia di posti di lavoro e avere un’elettricità più economica del 30% rispetto a quella dei nostri concorrenti europei, superando la più grande debolezza competitiva che il nostro Paese ha avuto per molti decenni». Nel merito, è utile richiamare le stime elaborate dal ricercatore Luigi Moccia: se nell’ultimo quadriennio l’Italia avesse investito sulle rinnovabili quanto la Germania avrebbe risparmiato 49,4 miliardi di euro sui prezzi elettrici, mentre prendendo a riferimento Spagna e Portogallo si arriva a ben 74 miliardi di euro.

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«Cresciamo più di chiunque altro e cresciamo più verdi di chiunque altro – sottolinea Sánchez – E queste due realtà, lungi dall’essere antitetiche, come si era ipotizzato o si sta ipotizzando, sono intimamente legate. Il successo del nostro modello energetico è anche alla base del successo del momento economico che sta vivendo il nostro Paese».

Come ha ricordato il presidente spagnolo, all’ottima performance del Pil si aggiungono quasi mezzo milione di nuovi posti di lavoro creati e il tasso di disoccupazione più basso degli ultimi 16 anni, con «un modello che ci ha trasformato in una potenza esportatrice, che ci sta aiutando a migliorare il potere d’acquisto di milioni di famiglie e ad essere uno dei Paesi al mondo che ha ridotto maggiormente la disuguaglianza salariale tra i suoi lavoratori».

Non c’è infatti sviluppo sostenibile senza unire la sostenibilità ambientale a quella sociale. «La transizione energetica – conclude nel merito Sánchez – è diventata la pietra angolare di un modello di successo guidato dalle tre ‘C’: crescere, condividere e prendersi cura. L’economia sta crescendo, stiamo condividendo meglio la ricchezza e ci stiamo prendendo cura del pianeta come mai prima in Spagna. Il Governo continuerà su questa strada e ribadirà il “Green, baby, green” (facendo eco allo slogan trumpiano di segno opposto “Drill, baby, drill”, ndr) perché il futuro finisce sempre per superare il passato, non importa quanto il passato insista nel bloccarlo».

Nonostante gli ottimi risultati acquisiti sotto il profilo socioeconomico quanto ambientale, paradossalmente, l’Esecutivo Sánchez resta piuttosto traballante. Il partito socialista (Psoe) guidato dal primo ministro è capofila di un Governo di minoranza, in un’alleanza con la sinistra di Sumar, che non è autosufficiente ed è dunque esposto di volta in volta alle pressioni di altri partiti per ottenerne i voti. Un contesto cui si sommano pressanti campagne di disinformazione e sondaggi in calo: secondo l’ultima rilevazione condotta per El Paìs il Psoe raccoglie il 28,4% delle preferenze (-3% rispetto alle elezioni 2023), così come è in calo l’opposizione di centrodestra (il Ppe è al 32,6%), mentre la sinistra di Sumar è in crescita attorno al 6% (ma resta lontana dal 12,4% ottenuto alle elezioni, perché allora si presentò insieme a Podemos che oggi da forza separata si ferma è al 3,4%), così com’è in crescita l’estrema destra di Vox (14,2%, ovvero +2% sul 2023). L’ennesima conferma, se mai ce ne fosse bisogno, di quanto sia difficile soddisfare le aspettative di un elettorato sempre più fluido e spaventato in un mondo segnato da disuguaglianze, disinformazione e complessità crescenti.



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