Mozambico: Eni cerca finanziatori per far proseguire la “maledizione” del gas

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Una 50ina di istituzioni potrebbero decidere di sostenere economicamente il progetto nonostante le criticità

Mozambico: Eni cerca finanziatori per far proseguire la “maledizione” del gas

Forti dubbi sui vantaggi per Maputo. Gli svantaggi per l’ecosistema di Cabo Delgado sono certi invece

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05 Febbraio 2025

Articolo di Susanna De Guio – ReCommon

Tempo di lettura 6 minuti

Sono una cinquantina le istituzioni finanziarie in tutto il mondo che potrebbero decidere di supportare finanziariamente la costruzione di una nuova piattaforma per l’estrazione e liquefazione del gas al largo delle coste del Mozambico, chiamata Coral North Floating LNG (piattaforma di gas naturale liquefatto, nell’acronimo inglese LNG e in italiano GLN).

La multinazionale italiana Eni, a capo del progetto, sta cercando di chiudere al più presto gli accordi sul finanziamento di un’infrastruttura che sarebbe devastante per l’ambiente marino e per le emissioni climalteranti, oltre che dannosa per l’economia mozambicana. Questo perché il progetto della piattaforma è soggetto a un contratto che beneficia soprattutto le imprese proponenti. L’infrastruttura è poi da considerarsi inutile perché andrebbe ad aumentare la disponibilità di gas liquefatto su un mercato mondiale ormai saturo.

Say no! al gas 

Sono queste le principali ragioni che dovrebbero spingere banche e agenzie di credito all’esportazione a tirarsi indietro da un progetto che, inoltre, andrebbe a gravare su un paese che sta affrontando un momento di forte instabilità politica e nello specifico in una provincia, Cabo Delgado, che negli ultimi anni è stata teatro di un sanguinoso conflitto armato.

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Lo hanno segnalato organizzazioni della società civile di tutto il mondo raccolte nella coalizione Say No! To Gas in Mozambique con una lettera inviata lo scorso dicembre a tutte le istituzioni finanziarie che possono ancora decidere di non investire su Coral North.
 
Il progetto verrebbe realizzato a 10 chilometri di distanza dall’impianto gemello, Coral South, già costruito da Eni nel 2022 e l’unico finora operativo negli immensi giacimenti di gas fossile del bacino di Rovuma, in gran parte scoperti da Eni, presente in Mozambico fin dal 2006.

Chi si sfila e chi potrebbe starci 

Tra le banche che avevano sostenuto la realizzazione della prima piattaforma c’era anche UniCredit, che questa volta non sarà della partita grazie a regole proprie che lo impediscono. Le agenzie di credito all’esportazione inglese, danese e statunitense, che hanno partecipato al terminal Mozambique LNG, nella stessa provincia, non sono interessate a finanziare Coral North. Anche la banca commerciale francese BNP Paribas e la olandese ABN Amro hanno dichiarato che non finanzieranno il progetto, in risposta alla lettera che le interpellava.

Sono però molte di più le istituzioni finanziarie che non hanno ancora assunto sufficienti impegni per evitare di promuovere progetti altamente climalteranti e dannosi per il pianeta, come l’estrazione e liquefazione di gas fossile. È questo il caso di Intesa Sanpaolo, che non ha risposto alla sollecitazione delle organizzazioni nemmeno per presa visione, e che al contrario ha scommesso con forza sulla produzione di gas liquefatto negli ultimi anni, per esempio puntando sui nuovi hub di stoccaggio ed export sulle coste del Texas.

Sebbene il neo presidente Usa Donald Trump abbia già assicurato che darà nuovo impulso all’esportazione di gas statunitense, i suoi annunci vanno contromano rispetto alle analisi del mercato energetico: da almeno tre anni istituzioni come l’Agenzia internazionale per l’energia (IEA) avvertono dei rischi legati a un eccesso di offerta di gas naturale liquefatto su scala mondiale.

La retorica della sicurezza energetica 
 
In Italia la narrativa della sicurezza energetica ha sostenuto la ricerca di nuovi approvvigionamenti di gas fin dalle prime sanzioni alla Russia per la guerra in Ucraina nel 2022. Dopo il contratto firmato dall’Europa per ricevere GNL dalla task force statunitense, anche gli accordi tra l’Italia e diversi paesi africani di cui parla il Piano Mattei vanno nella stessa direzione. Nella cabina di regia del Piano c’è Eni, il secondo produttore di petrolio e gas in Africa, continente dove genera più di metà dei suoi profitti.

Tuttavia il gas estratto da Coral South è venduto nella sua totalità alla società fossile inglese BP, che lo trasporta via nave principalmente verso i mercati asiatici e solo in minima parte arriva in Italia. Non ci sono quindi precedenti per pensare che la nuova piattaforma Coral North sarebbe invece destinata a rifornire di gas l’Italia o l’Europa, o a garantirne la sicurezza energetica.
 
D’altro canto, il nuovo progetto non sarebbe vantaggioso nemmeno per il Mozambico: lo scorso dicembre il Centro de Integridade Publica (CIP) ha denunciato la pressione che Eni avrebbe esercitato sul governo uscente di Felipe Nyusi per chiudere un nuovo contratto per lo sfruttamento di gas di Coral North eliminando due clausole rilevanti per l’economia mozambicana. Una versione questa, respinta da ENI. 
 
L’esperienza di Coral South FLNG permette inoltre di valutare già, concretamente, le perdite e i rischi economici affrontati dal Mozambico, che si ripeterebbero con un progetto gemello: in sostanza, a causa delle regole contrattuali a favore della compagnia, lo Stato non raccoglierà ancora per diversi anni le imposte e ingressi fiscali derivanti dal progetto, ma se proponesse modifiche normative o fiscali, Eni avrebbe diritto a chiedere compensazioni.

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Mare (e pescatori) in pericolo 
 
L’installazione di infrastrutture per lo sfruttamento del gas al largo della costa significa anche, per la popolazione della zona, la perdita della propria fonte di reddito primaria, legata alla pesca. La Valutazione di impatto ambientale (VIA) del nuovo progetto Coral North mostra numerose lacune, secondo quanto segnalato a giugno dello scorso anno dalle ONG mozambicane e sudafricane Justiça Ambiental e Natural Justice nelle osservazioni alla VIA.

Nel rapporto non sarebbero stati considerati adeguatamente gli impatti sulla fauna e flora marina, mancherebbero le corrette valutazioni degli effetti delle perforazioni e le necessarie misure di mitigazione, la previsione di perdite di petrolio e dei condensati di gas durante l’estrazione, così come gli effetti cumulativi che produrrebbe un secondo impianto in aggiunta a quello già esistente in un’area marina ancora relativamente incontaminata.

In sostanza la VIA non sarebbe conforme né con le regole della Costituzione del Mozambico né con direttive internazionali come la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS), la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) e l’Accordo di Parigi.

Il fallimento mozambicano 
 
Dal 2010, lo sfruttamento della terza maggiore riserva di gas in Africa – 2,8mila miliardi di metri cubi – ha attratto nel Paese le maggiori compagnie fossili, ma questo non ha portato crescita economica né industrializzazione. Al contrario, il debito del Paese è cresciuto, il tasso di povertà e di disuguaglianza sono aumentati. Inoltre, nella regione di Cabo Delgado dal 2017 si è scatenato un violento conflitto che è ancora attivo, e che si somma alle proteste in corso contro il risultato elettorale delle consultazioni dello scorso 9 ottobre.
 
Se Coral North dovesse essere approvato, la “maledizione delle risorse” tornerebbe ad abbattersi sul Mozambico: non esistono argomentazioni valide per sostenere che un nuovo progetto di sfruttamento del gas in questo territorio possa portare benefici se non, finora, alle casse delle major dell’oil&gas.

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