Aumento pensioni e arretrati a marzo? Fake news o realtà, facciamo il punto della situazione

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Continuano a rincorrersi voci su fantomatici aumenti delle pensioni che i cittadini riceveranno con il prossimo rateo di marzo. Gli aumenti di cui parlano tanti quotidiani e numerosi siti, più o meno attendibili, sono realtà oppure la classica fake news? Come spesso accade, la verità sta nel mezzo. Va però sottolineato che, con il cedolino di marzo – cioè tra poco più di 20 giorni – gli importi delle pensioni percepiti a gennaio e febbraio dai contribuenti rimarranno identici.

Questo non significa che non ci siano motivi per sperare di ricevere qualcosa in più con i prossimi ratei pensionistici. In effetti, esistono due diversi aspetti che potrebbero portare a risvolti positivi per alcuni pensionati, sebbene non per tutti.

Approfondiamo, dunque, la questione riguardante l’aumento delle pensioni e gli arretrati a marzo, facendo il punto della situazione.

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Aumento pensioni e arretrati a marzo? Fake news o realtà, facciamo il punto della situazione

Se davvero esiste qualcuno che, come sostengono molti siti, riceverà un aumento della pensione con il rateo di marzo, si tratta di chi, per qualche motivo, non ha ottenuto gli incrementi derivanti dalla perequazione nei primi due mesi del 2025. In tal caso, è chiaro che si vedrà riconoscere sia l’aumento sia gli arretrati di gennaio e febbraio. Ma quante sono le persone che non hanno ricevuto nemmeno il minimo aumento nei primi due mesi del 2025?

Sicuramente poche, probabilmente solo coloro a cui, per un raro errore dell’INPS, non è stato corrisposto il dovuto.

Ricordiamo che l’aumento delle pensioni è stato introdotto a gennaio in misura pari allo 0,8%, corrispondente al tasso di inflazione di previsione (basato sui primi 9 mesi del 2024, senza considerare gli ultimi 3), con il seguente meccanismo:

  • 100% di aumento per le pensioni fino a 4 volte il trattamento minimo;
  • 90% di aumento sulla parte di pensione sopra 4 volte il trattamento minimo e fino a 5 volte;
  • 75% di aumento sulla parte di pensione sopra 5 volte il trattamento minimo.

Taglio dell’IRPEF in arrivo? Ecco perché salirebbero le pensioni, ma sicuri che si faccia a marzo?

Un eventuale aumento della pensione (da verificare se con arretrati), potrebbe derivare anche da un ipotetico taglio del secondo scaglione IRPEF, che il governo promette di attuare da tempo.

In altre parole, se davvero si arrivasse (ipotesi in realtà poco verosimile in tempi brevi, soprattutto entro marzo) al taglio dell’aliquota IRPEF dal 35% al 33% per i contribuenti del ceto medio, questi – pensionati compresi – risparmierebbero sull’Imposta sul reddito delle persone fisiche, vedendosi così aumentare l’importo netto della pensione.

Parliamo dei pensionati con redditi superiori a 28.000 euro, perché le attuali aliquote IRPEF sono:

  • 23% sui redditi fino a 28.000 euro;
  • 35% sui redditi sopra 28.000 euro e fino a 50.000 euro;
  • 43% sui redditi sopra 50.000 euro.

Il meccanismo è a scaglioni progressivi, e le aliquote più alte si applicano solo alla parte di reddito che supera lo scaglione precedente. L’idea del governo è portare il secondo scaglione al 33%, innalzando anche il limite massimo di reddito nello stesso scaglione da 50.000 a 60.000 euro.

Ipotizzando, per assurdo, che questa novità entri in vigore da subito (quindi già dal primo marzo), le pensioni aumenterebbero solo per chi percepisce un importo lordo superiore a circa 2.150 euro al mese, cioè i pensionati appartenenti al ceto medio.

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La Consulta, l’incostituzionalità della perequazione 2024 e gli aumenti con arretrati sulle pensioni

Un altro aspetto che potrebbe rafforzare l’ipotesi di un aumento a marzo e di arretrati è il ricorso presentato da un contribuente contro la perequazione 2024 stabilita dal governo, ricorso ora all’esame della Corte Costituzionale.

Saranno i giudici della Consulta a stabilire se esistono gli estremi per dichiarare incostituzionale un meccanismo che ha ridotto la rivalutazione in misura maggiore rispetto a quello attuale o a quelli precedenti.

Il meccanismo finito sotto accusa era il seguente:

  • 100% di rivalutazione per i trattamenti fino a 4 volte il minimo;
  • 85% di rivalutazione per i trattamenti sopra 4 e fino a 5 volte il minimo;
  • 53% di rivalutazione per i trattamenti sopra 5 e fino a 6 volte il minimo;
  • 47% di rivalutazione per i trattamenti sopra 6 e fino a 8 volte il minimo;
  • 37% di rivalutazione per i trattamenti sopra 8 e fino a 10 volte il minimo;
  • 22% di rivalutazione per i trattamenti sopra 10 volte il minimo.

Un meccanismo non progressivo, poiché la percentuale di incremento sul tasso di inflazione si applica all’intero importo della pensione percepita. Considerando che nel 2024 le pensioni sono cresciute sulla base di un’inflazione (previsionale e definitiva) del 5,4%, è evidente che i contribuenti con trattamenti superiori a 4 volte il minimo hanno perso una notevole somma.

Ipotesi rimborsi?

Anche in questo caso, se ipotizziamo che la Consulta emetta una sentenza a breve e che il governo, immediatamente, recepisca le indicazioni dei giudici costituzionali con un decreto che preveda rimborsi per la perequazione non riconosciuta, allora sì, potrebbe arrivare un aumento sulla pensione di marzo. Con relativi arretrati o magari un bonus una tantum sullo stile del vecchio bonus Poletti post-riforma Fornero.

Tuttavia, si tratta di ipotesi estreme e praticamente impossibili nell’immediato. E riguarderebbero solo quei pensionati che percepiscono una pensione superiore a 4 volte il trattamento minimo. Cioè un trattamento lordo superiore a 2.400 euro.

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