respinto il ricorso, il Tar conferma lo scioglimento

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Ecco la sentenza dei giudici amministrativi con la quale viene rigettato il ricorso dell’ex sindaco Giovanni Macrì e di altri amministratori ritenuto «infondato nel merito». Ricorrenti condannati anche al pagamento delle spese legali

Nulla da fare per l’ex sindaco di Tropea Giovanni Macrì ed altri ex amministratori. Il Tar del Lazio ha infatti confermato lo scioglimento degli organi elettivi del Comune di Tropea per infiltrazioni mafiose deciso il 24 aprile dello scorso anno con decreto firmato dal presidente della Repubblica. Il ricorso è stato rigettato in quanto (al pari dei motivi aggiunti dei ricorrenti) ritenuto “infondato nel merito”. Per il Tar è confermata “l’esistenza di collegamenti e condizionamenti degli amministratori locali da parte della criminalità organizzata di stampo mafioso”, così come una “serie di anomalie e irregolarità nell’azione amministrativa dell’ente locale che dimostrano, in modo plausibile, come tali collegamenti abbiano effettivamente determinato un’alterazione del procedimento di formazione della volontà dell’ente locale, piegandolo agli interessi della criminalità organizzata”.

Più nel dettaglio, per i giudici amministrativi sono provati: “il sostegno prestato dalla cosca di ‘ndrangheta storicamente egemone sul territorio di Tropea”, ovvero il clan La Rosa, “al sindaco, avvocato Giovanni Macrì, e alla sua lista in occasione del turno elettorale straordinario del 21 ottobre 2018; l’esistenza di “rapporti parentali tra esponenti delle locali consorterie e gli amministratori del Comune, a cui si aggiungono comprovate e plurime frequentazioni conviviali tra i parenti più stretti dei predetti amministratori ed esponenti delle locali consorterie, interessati anche da reati associativi”; l’avvenuto acquisto nel 2007 “da parte dell’avvocato Macrì, quando era già attivo in politica, in quanto consigliere di maggioranza eletto nelle amministrative del 2006, di un’autovettura formalmente intestata alla suocera di due esponenti apicali della locale criminalità organizzata, pochi giorni prima che l’autovettura stessa fosse attinta da un provvedimento di sequestro da parte dell’autorità giudiziaria”; l’esistenza di “analoghi rapporti e frequentazioni anche nei confronti di alcuni dipendenti comunali”; la presenza di “alterazioni e irregolarità dell’azione amministrativa rispetto a svariati settori di intervento – tra cui affidamenti di lavori e servizi, edilizia, servizi esterni -, che hanno portato vantaggi ed agevolazioni a soggetti collegati, a vario titolo, con i sodalizi criminali egemoni nell’area di Tropea”.

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Gli appalti irregolari

Il Tar spiega quindi in sentenza che nel settore degli appalti e degli affidamenti diretti di lavori e di servizi di interesse pubblico “sono emerse gravi irregolarità, contraddistinte da affidamenti di servizi, artificiosamente frazionati, anche in violazione dei principi di rotazione e di concorrenza, che hanno favorito continuativamente soggetti e imprese riconducibili alle cosche ‘ndranghetiste”.

In tale settore vi è stato quindi “un deciso intervento del vertice politico con una sorta di «sovrintendenza» sui lavori e sulle opere eseguite che attesta, oltre alla conoscenza da parte dello stesso primo cittadino delle dinamiche sottese a tale strategico ambito di attività, anche un’illegittima ingerenza dell’organo politico nelle attività di competenza dell’apparato burocratico”. I giudici si soffermano poi sulla “carenza di controlli in relazione alle segnalazioni di inizio attività extra alberghiere che hanno favorito svariate strutture riconducibili a soggetti pregiudicati”, oltre ad “anomali ritardi da parte degli uffici comunali nella repressione delle irregolarità urbanistiche ascrivibili a soggetti riconducibili alle consorterie criminali e, in un caso, legati da stretti rapporti di parentela con uno degli assessori comunali”.

Pesa anche la vicenda dell’arresto del dipendente comunale, Francesco Trecate, per il “cimitero degli orrori” e i giudici amministrativi non mancano di ricordare come lo stesso abbia ricevuto dal sindaco, Giovanni Macrì, una “benemerenza per abnegazione al lavoro sebbene fosse stato deferito alla Procura di Vibo per i reati di truffa e peculato”. Nelle estumulazioni non autorizzate nel cimitero, inoltre, i loculi venivano destinati a “defunti riconducibili a soggetti appartenenti alla locale cosca, nonché agli stessi amministratori comunali”.

I voti alle elezioni

Per quanto riguarda le elezioni amministrative del 2018, il sostegno del clan La Rosa alla lista del sindaco Giovanni Macrì viene provato anche da un’intercettazione del boss Antonio La Rosa (vertice storico del clan) nella quale lo stesso afferma “che le persone a lui vicine avrebbero votato per l’avvocato Macrì” e che la moglie del boss – ovvero Tomasina Certo (attualmente sotto processo nell’operazione “Olimpo”) – avrebbe votato anche per un’altra candidata della stessa lista, “poi divenuta assessore”, per via “delle relazioni di amicizia che la legavano” alla madre dell’assessore. Rilievi anche sui sottoscrittori per la presentazione alle elezioni della lista di Giovanni Macrì dove il Tar sottolinea che “figurano anche le sorelle di due soggetti affiliati alla ‘ndrina”.

L’importanza delle foto e del lavoro giornalistico

Il Tar sottolinea, in ogni caso, che la relazione del ministro dell’Interno “non si è affatto limitata a descrivere le relazioni parentali esistenti tra gli amministratori locali e soggetti vicini alle cosche mafiose, ma ha anche evidenziato la sussistenza di comprovati rapporti di frequentazione fra i parenti stretti dell’avvocato Macrì e di un assessore con i parenti di noti esponenti della locale criminalità organizzata”. Agli atti vi sono infatti “varie immagini fotografiche, le quali ritraggono la moglie dell’esponente apicale della cosca dei La Rosa, la moglie dell’avvocato Macrì e la madre di un assessore (amica della moglie del maggiorente della cosca), mentre festeggiano assieme il compleanno e cenano ad un ristorante”. Sono immagini importanti per i giudici amministrativi perché dimostrano “la frequentazione e la convivialità di rapporti fra i parenti stretti dell’avvocato Macrì e dell’assessore con i parenti di noti esponenti della locale criminalità organizzata” anche dopo le elezioni del 2018 in quanto almeno due delle foto risultano scattate nel 2019 e nel 2020”.

I giudici amministrativi rispediscono al mittente anche i tentativi di macchiare l’operato della testata Il Vibonese.it e dei suoi giornalisti (sempre prosciolti dal gip da tutte le querele del sindaco). L’ex primo cittadino, Giovanni Macrì, nel suo ricorso ha infatti affermato che tali foto “provengono da un dossier confezionato ad arte da un giornalista del Vibonese, già più volte denunciato”, ma per il Tar tale circostanza non assume “alcun rilievo, anche perché le foto sono state pubblicate sui social network dalle medesime persone in esse immortalate”. Resta in ogni caso “incontestato – rimarca il Tar – che un consigliere di maggioranza è cugino dell’esponente apicale della ‘ndrina dei la Rosa, ossia del soggetto che, nella conversazione, aveva espresso il proprio appoggio alla lista elettorale del sindaco”. E resta pure incontestato che “un altro consigliere è coniugato, oggi separato, con un soggetto ritenuto affiliato alla medesima ‘ndrina – e che annovera precedenti di polizia per associazione di tipo mafioso, già sottoposto a misura di sorveglianza speciale”. Si tratta di rapporti parentali con la ‘ndrina dei La Rosa che per il Tar assumono nel caso di specie “valenza sintomatica se letti unitamente alla riscontrata frequentazione dei parenti degli amministratori locali con parenti di esponenti apicali della medesima ‘ndrina”.

Cene istituzionali e addebiti

Un peso specifico il Tar del Lazio ha dato in sentenza anche all’affidamento diretto da parte del Comune ad un ristorante in occasione di diverse “cene istituzionali”. L’esercizio commerciale è risultato essere “un luogo noto quale abituale ritrovo di soggetti appartenenti alla locale cosca, utilizzato anche come luogo di incontri per meeting criminali e il Comune, nonostante ciò, ha ritenuto ugualmente di affidare ad esso l’esecuzione di cene istituzionali”. I giudici amministrativi smentiscono poi il sindaco Macrì “laddove nei propri atti afferma di essere stato sempre particolarmente attento al settore dei pubblici appalti” poiché in realtà – sottolinea il Tar – non ha posto in essere alcun intervento volto ad evitare che si procedesse sempre agli affidamenti diretti mediante contrattazione con un unico operatore economico”. Rilievi, infine, anche nel settore urbanistico con “irregolarità edilizie che hanno favorito soggetti riconducibili alle organizzazioni criminali laddove particolare pregnanza assume l’inadempienza da parte dell’amministrazione nel dare effettiva esecutività ad un’ordinanza di demolizione per abusi edilizi emessa nei confronti del padre del soggetto che ha effettuato la più citata conversazione intercettata in occasione delle elezioni”, ovvero Domenico La Rosa, padre del boss Antonio La Rosa. Gli ex amministratori di Tropea erano assistiti nel loro ricorso dagli avvocati Fabio Fiorellino, Marco De Seta e Giovanni Nigro. Per resistere al ricorso si sono costituiti in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Presidenza della Repubblica, il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Vibo, tutti assistiti dall’Avvocatura Generale dello Stato, mentre la Commissione straordinaria del Comune di Tropea era assistita dall’avvocato Gaetano Callipo.



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