Emanuele Iula, “La pazienza del vasaio. La riparazione a confronto con la modernità” |

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È possibile, utilizzando la stessa creta del vaso che si è rotto, dare alla luce un nuovo vaso? Il senso della riparazione, a detta dell’A., è contenuto in questa domanda fondamentale. Un’approfondita esperienza nella pratica della mediazione dei conflitti, unitamente a un’osservazione attenta rivolta ad alcuni fenomeni caratterizzanti della modernità, hanno consentito all’A., il padre gesuita Emanuele Iula, di portare a compimento un corposo volume sul tema del conflitto e della riparazione che eventualmente ne consegue. Il quadro generale entro cui si svolge l’intera riflessione è quello della giustizia riparativa, prassi nata in Canada verso la metà degli anni Settanta, ma che nel frattempo ha conosciuto numerose evoluzioni, sia teoriche sia rispetto al metodo.

Il titolo del testo offre già la linea di pensiero che accompagnerà il lettore nella riscoperta della delicata arte della riparazione. Howard Zehr, che è il padre dell’approccio teorico noto con il nome di Restorative justice, ha caratterizzato la sua prospettiva facendo riferimento allo shalom biblico. La ricezione italiana della riparazione, ispirata dai lavori del gesuita p. Pietro Bovati, si è invece mossa sul binomio mishpat e rîb, che riproducono la stessa differenza che c’è tra un processo che darà luogo a una sentenza e un incontro faccia a faccia tra aggressore e vittima, teso alla riconciliazione.

Il lavoro di p. Iula, pur ponendosi in continuità diretta rispetto alle vedute precedenti, non si tira indietro di fronte alla possibilità di proporre un’ulteriore soluzione. Dopo essersi confrontato con differenti paradigmi filosofici e sociologici del conflitto, necessari a orientarsi nell’intricato mondo della sofferenza umana, l’A. giunge all’apice della sua proposta facendo ricorso alla nota immagine biblica del vasaio intento a riparare vasi (cfr Ger 18). La lettura simbolica del testo, ispirata dall’ermeneutica di Paul Ricœur, consente di pensare il lavoro di riparazione in analogia alla discesa del profeta in questa bottega, situata sotto terra. L’esperienza riparativa non è possibile senza una previa presa di distanza da tutto ciò che accade in superficie: resistenze, stress, impegni ecc. Al contrario, tutto ciò che favorisce l’ascolto, la concentrazione e la voglia di ripartire con slancio reca grande beneficio.

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Su questa considerazione converge anche la linea di approfondimento sul tema della modernità, anch’essa menzionata nel titolo. C’è una modernità insensibile all’altro. Si è soliti darle il nome di «individualismo», «culto dell’Io», «consumismo». Ma c’è anche un altro versante, più sfuggente e non meno velenoso. Tutto ciò che appaga l’uomo ha un potenziale valore polemogeno, a cominciare dalla convinzione di avere ragione, per concludere con l’accontentarsi della propria piccola vita. Dall’altro lato, troviamo quella modernità in cui spicca un’alta considerazione per l’alterità. Tutto ciò che solleva dubbi, che suscita curiosità e che alimenta l’insoddisfazione, soprattutto davanti alla sofferenza altrui, è capace di alimentare i legami fondamentali di una società. Il conflitto porta rigidità, e la rigidità porta al conflitto. L’ascolto porta invece al riconoscimento, che conduce a sua volta alla riconciliazione. Nel primo, c’è una circolarità viziata. Nel secondo, c’è una spirale virtuosa, che riporta alla vita in superficie. La riparazione è esigente. Essa chiede virtù indipendentemente dal lato del tavolo in cui si è seduti. Dal lato di chi ripara, essa chiede pazienza e delicatezza. Dal lato di chi è riparato, essa chiede fiducia e disponibilità.

Se c’è un rilievo critico che può essere fatto all’A., questo potrebbe consistere nella pressoché totale assenza di riferimenti ai temi del perdono e della riconciliazione che, per come viene presentato il lavoro di riparazione, troverebbero comodamente spazio nel medesimo discorso. Inoltre, l’A. affronta il tema di sua competenza con una certa finezza concettuale non sempre facile da seguire, anche se non mancano, all’inizio e alla fine di ogni transizione, brevi raccordi testuali che consentono comunque al lettore di non perdere mai il filo.

Il testo è consigliabile non solo a un pubblico di esperti, ma a chiunque si ponga domande su questioni come il conflitto, il dolore, la vulnerabilità, e su come poterne venire a capo.





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