quando l’eleganza è made in Sud

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Quando, nel 2017, il MoMa di New York ospita la mostra sui 111 oggetti di moda più iconici del secolo, in mezzo a Ray-Ban, Jeans Levi’s, Chanel n.5 e Nike Air Force, spunta anche un prodotto italiano: la cravatta di E. Marinella. In oltre cent’anni di storia, la bottega napoletana – un negozio di appena 20 metri quadrati sull’elegante Riviera di Chiaia – ha vestito attori, politici italiani, reali inglesi e i grandi presidenti americani, diventando un simbolo indiscusso della sartoria improntata al gusto e alla raffinatezza.

“Nel 1914 mio nonno Eugenio apre l’attività con l’obiettivo di ricreare un piccolo angolo d’Inghilterra a Napoli: a quei tempi l’uomo elegante vestiva all’inglese”, racconta Maurizio Marinella, terza generazione della famiglia e memoria storica del negozio. Dalla Gran Bretagna Eugenio importa i tessuti pregiati, come la seta stampata a mano e i prodotti inglesi più ricercati dell’epoca: profumi Floris, ombrelli Brics, impermeabili Aquascutum e cappelli Lock & Co. Nei primi anni ’40, accanto alla bottega sorgono due laboratori sartoriali per la produzione di camicie e cravatte su misura.

Nasce così un metodo di lavoro artigianale che si mantiene intatto dopo 110 anni di attività. “L’80% delle sete viene stampato ancora a mano in Inghilterra, perché noi napoletani siamo scaramantici e tradizionalisti”, confessa Maurizio con un sorriso. “Le sete vengono poi lavorate in laboratorio dalle nostre sarte. Ogni due settimane proponiamo nuovi tessuti, fantasie e disegni. Il nostro rapporto col cliente non si esaurisce con la vendita. Se dopo alcuni anni la cravatta si è consumata, ce la riprendiamo, cambiamo gli interni, la rimettiamo a nuovo”.

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Maurizio aveva otto anni quando ha varcato la soglia del negozio per la prima volta; il campionario degli aneddoti è pressoché infinito. Da Totò che “insegnava a fare il nodo del papillon”, a Luchino Visconti che si faceva arrivare dall’India foulard dai colori sgargianti che regalava agli attori. Fino a Donald Trump, che trent’anni fa offrì ai Marinella la possibilità di aprire gratuitamente un negozio a New York, nella Trump Tower. “Mio padre era già anziano e non se la sentì – ricorda – così gli scrivemmo una lettera di ringraziamento, chiarendo che saremmo rimasti a Napoli”.

Sono i presidenti italiani, a partire dagli anni ’70, a consacrare il brand al di fuori dei confini nazionali. “Cossiga è stato uno dei primi testimonial del marchio. Poi siamo arrivati alla famiglia Kennedy. Ma abbiamo confezionato le cravatte anche per Gorbachev, Mitterand, Chirac, re Juan Carlos e la famiglia reale inglese”.

Proprio a quest’ultima è legato uno dei ricordi più preziosi di Marinella. “Nel 2017 l’allora principessa Camilla venne a Napoli per scegliere le cravatte per Carlo. Voleva quelle coi disegni originali del 1948, l’anno di nascita dell’attuale re. Chiese di visitare il laboratorio e nel tragitto fu travolta dall’affetto spontaneo della gente. Per lei, che era venuta dopo Diana e non era mai stata amata allo stesso modo, fu un’emozione incredibile”. Anche Berlusconi è stato un cliente affezionatissimo della maison. “Un cliente devastante – ricorda divertito Maurizio – Per quasi tre anni ha ordinato 400 cravatte al mese”.

Nonostante il successo e la notorietà, che potrebbero consentirgli di lavorare meno e di ricoprire un ruolo manageriale, Maurizio non ha mai smesso i panni del commerciante: è quello che più gli piace fare ed è proprio nel rapporto umano – oltre che nel fare sartoriale – che si annida il grande segreto di Marinella. “La relazione col cliente va oltre la vendita. Nascono dei rapporti stupendi. A volte viene il ragazzo che si deve laureare ed è emozionato e allora io gli regalo la cravatta. A me non cambia tanto, ma lui quel gesto se lo ricorderà per tutta la vita”.

Le giornate di Maurizio sono lunghissime. La serranda non si alza mai più tardi delle sei e mezza. È così da più di un secolo. “Mio nonno iniziò ad aprire molto presto perché di fronte alla bottega, nella Villa Comunale, le famiglie nobili venivano a passeggiare a cavallo. Poi passavano da noi per riposarsi, chiacchierare, prendere il caffè e la sfogliatella. Marinella diventò presto un punto di incontro. Matilde Serao in un articolo definì il negozio ‘una farmacia di paese’, che in passato era il posto dove si stabilivano le sorti della città”.

È quello, per Maurizio, il momento più bello della giornata. Quando la città si risveglia e quelli che la vivono lo fanno con placida lentezza, lontani dal frastuono e dai ritmi convulsi dell’ora di punta. “Vivo due tipi di commercio diversi: alle sei non c’è la fretta del lavoro, la macchina lasciata in doppia fila. Si prende il caffè, si parla di calcio, magari non si compra niente. Dalle otto in poi l’attività si fa più frenetica”.

Oggi ad affiancare Maurizio c’è il figlio Alessandro, che rappresenta la quarta generazione dei Marinella. Laureato in Economia aziendale, ricopre il ruolo di general manager. È entrato in azienda con una missione precisa: dare impulso allo sviluppo digitale, razionalizzare i processi e consolidare il brand senza mai tradire i principi di qualità sartoriale e attenzione al cliente che hanno fatto la fortuna del marchio.

“Mi sono reso conto di un paradosso: avevamo una fortissima brand awareness a livello nazionale e anche internazionale, ma la struttura di un semplice negozio”. Approfittando della pausa imposta dalla pandemia, Alessandro dota l’azienda di una struttura organizzativa solida, introduce l’e-commerce, implementa una comunicazione digitale rivolta alle nuove generazioni. E diversifica l’offerta, in un’epoca in cui l’eleganza cede sempre più spesso il passo al casual. “Se la cravatta nel 2019 incideva sul fatturato per l’80%, oggi incide per il 60%. Al contempo però i ricavi sono cresciuti del 50%. Abbiamo chiuso il 2024 con 17,7 milioni di fatturato. Il nostro obiettivo è crescere in modo sostenibile, senza fare mai il passo più lungo della gamba”.

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Oggi Marinella conta otto negozi tra Napoli, Roma, Milano, Torino, Londra e Tokyo. Non sono mancate, negli anni, proposte multimilionarie per acquisire il marchio, ma i Marinella le hanno sempre rispedite al mittente. “Vogliamo preservare la nostra identità – conclude Alessandro – E dimostrare che le aziende meridionali a conduzione familiare possono fare grandi cose anche a livello internazionale. Restando al Sud”.



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