Niente presunzione sugli utili extra-contabili per il socio non operativo

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La presunzione nel caso di accertamento relativo agli utili extra-contabili della società, nei riguardi del singolo socio, può essere superata se il contribuente dimostra assoluta estraneità alla gestione societaria. Ecco in quali casi

In caso di società a ristretta base societaria, l’accertamento relativo agli utili extracontabili della società è presupposto dell’accertamento presuntivo nei riguardi del singolo socio, in ragione della sua quota di partecipazione agli utili sociali.

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Tale presunzione può essere superata non solo se il socio dimostra che i maggiori ricavi accertati siano stati accantonati o reinvestiti dalla società, ma anche se il contribuente dimostra la sua assoluta estraneità alla gestione e conduzione societaria.

Una volta dimostrata, a dispetto della ristretta base sociale, l’assoluta estraneità del socio alla gestione e alla vita stessa della società, la massima di esperienza per cui dalla ristrettezza della base sociale inferisce un elevato grado di compartecipazione dei soci alla gestione della società e di reciproco controllo tra i soci medesimi, perde il suo rilievo probatorio e non consente più di ritenere legittima la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili in favore di tutti i soci.

Questo l’importante principio contenuto nell’Ordinanza della Corte di cassazione n. 2464 del 2 febbraio 2025.

Presunzione sugli utili extra-contabili: i chiarimenti della Cassazione

A seguito di una verifica fiscale, la Guardia di Finanza notificava alla società di capitali un processo verbale di constatazione, cui faceva seguito la notifica di quattro avvisi di accertamento con i quali ne veniva rideterminato il maggior reddito per il quadriennio 2014-2017.

Gli avvisi di accertamento non venivano impugnati dalla società, divenendo così definitivi.

L’Ufficio notificava pertanto ai due soci, titolari ciascuno del 50 per cento delle quote sociali, due distinti avvisi di accertamento con cui venivano ripresi a tassazione i maggiori redditi di capitale e corrispondenti, ciascuno per la propria quota, ai maggiori ricavi accertati in capo alla società e costituenti tutti distribuzione di utili extrabilancio in considerazione della ristretta base azionaria della società.

I due contribuenti promuovevano separati ricorsi lamentando la violazione del divieto di doppia presunzione.

Replicava l’Ufficio rilevando che gli atti impositivi diretti alla società erano divenuti definitivi.

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Competeva pertanto ai soci fornire la prova contraria di mancata distribuzione di detti utili perché accantonati dalla società oppure perché reinvestiti. La CTP, previa riunione dei gravami, li rigettava per non aver i contribuenti fornito la prova contraria a loro spettante.

Il ricorso è giunto sin dinanzi alla CTR, che riformava la sentenza di prime cure per non aver l’Amministrazione finanziaria fornito una prova rafforzata a supporto della presunta distribuzione degli utili extra-bilancio.

L’Amministrazione finanziaria ha impugnato la decisione d’appello perché nel caso di specie il contribuente non aveva fornito la prova contraria alla presunzione di distribuzione di utili extra bilancio dimostrando che gli utili erano stati accantonati dalla società oppure reinvestiti.

Dando ragione alla Parte Pubblica, la Corte di cassazione ha ribadito che, in presenza di società di capitali a ristretta base azionaria, in caso di accertamento di utili non contabilizzati opera la presunzione di attribuzione pro-quota ai soci degli utili stessi, salva la prova contraria che i maggiori ricavi sono stati accantonati o reinvestiti.

Resta salva la facoltà del contribuente di offrire la prova contraria del fatto che i maggiori redditi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti, giacché la ristrettezza della compagine societaria implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, che fa ritenere plausibile in tutti la conoscenza degli affari sociali e la consapevolezza della esistenza di utili extra-bilancio, alla cui distribuzione è ragionevole ritenere che tutti i soci abbiano partecipato in misura conforme al loro apporto sociale, fatta salva l’anzidetta possibilità riconosciuta al contribuente di fornire la prova contraria. Fin qui la Corte ha ribadito un principio oramai consolidato in termini di onere probatorio.

Tuttavia, nel prosieguo della decisione la Corte ha richiamato recentissima giurisprudenza (Sez. 5, Ordinanza n. 18764 del 09/07/2024) che ammette, come prova contraria alla presunzione di distribuzione degli utili extra bilancio, anche la dimostrazione dell’assoluta estraneità del socio alla gestione e conduzione societaria.

Ciò, infatti, non collide affatto con la ragione dell’operatività della presunzione in parola, che si fonda appunto sulla massima di comune esperienza che, dalla ristrettezza della base sociale, inferisce un elevato grado di compartecipazione dei soci alla gestione della società e di reciproco controllo tra i soci medesimi.

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Una volta dimostrata, a dispetto della ristretta base sociale, l’assoluta estraneità del socio alla gestione e alla vita stessa della società, la suddetta massima di esperienza perde il suo rilievo probatorio e non consente più di ritenere legittima la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili in favore di tutti i soci.

Il problema, dunque, si sposta sul piano della prova dell’estraneità assoluta del socio alla gestione e alla vita della società, che deve essere precisa e rigorosa.

Sulla base di tali argomentazioni il ricorso dell’Agenzia delle entrate è stato accolto.



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