PERUGIA – Ha quasi 68 anni, una malattia progressiva, è senza fissa dimora e seppur cittadino comunitario – di origini romene – non aveva diritto a ottenere cure mediche e l’assistenza di un medico di base per l’Umbria è una delle poche Regioni italiane a non aver ancora dato attuazione all’Accordo Stato Regioni del 2012 relativo all’attuazione delle prestazioni sanitarie alla popolazione straniera. Ma grazie allo sportello di Avvocato di strada di Perugia ha ottenuto dal tribunale civile la possibilità di accedere finalmente ai servizi territoriali e a proseguire le terapie necessarie a salvargli la vita. Così un clochard ha battuto la Asl Umbria 1, in un caso definito di «discriminazione sanitaria» destinato a diventare un precedente.
Questa la storia di Manuel (nome di fantasia), da anni affetto da una patologia irreversibile e, vista la sua situazione di completa indigenza, accolto dal Cabs come ospite del dormitorio di via del Favarone. Le sue condizioni di salute, con il tempo e la mancanza di cure, si sono sempre più aggravate e aveva davanti solo due possibilità: arrivare in Toscana o nelle Marche per farsi curare o addirittura tornare in Romania a un costo (considerando l’ambulanza e i medici necessari per il suo trasferimento) di 86 centesimi al chilometro, per un totale di quasi 5mila euro di costo. Una cifra impossibile da sostenere. E tutto perché, come spiega Nunzia Parra (studio Brusco) volontaria dell’associazione Avvocato di strada, perché in Umbria manca «l’attivazione del cosiddetto codice Eni, che costituisce un’indubbia discriminazione per i cittadini comunitari indigenti presenti nella nostra regione, a cui le istituzioni locali negano il diritto all’accesso alle cure mediche e ai servizi sanitari regionali, garantendo loro solo ed esclusivamente l’accesso al pronto soccorso. Costringendoli a varcare i confini regionali per recarsi nella vicina Toscana al fine di ottenere una tutela piena del proprio diritto alla salute». Un fenomeno di “turismo sanitario regionale”, legato – insiste Parra – a «mere ragioni di contenimento della spesa pubblica: inaccettabile. Così facendo, si calpestano i valori fondanti del nostro Stato di diritto». Abbastanza – dopo un confronto con il personale medico del reparto di Medicina interna dell’ospedale di Perugia e i servizi sociali del Comune, per richiedere una tutela d’urgenza e per fare ricorso contro l’Asl, per la «necessità di terapie e di servizi sanitari (ivi incluso il ricovero in Rsa) non differibili e urgenti», visto l’aggravarsi del suo quadro clinico. Richiesta a cui ha risposto il giudice Giampaolo Cervelli (sezione Lavoro) che ha appena disposto che la «Usl Umbria 1 preso in carico il paziente nelle competenti strutture territoriali eroghi allo stesso le cure per la prosecuzione della terapia farmacologica di cui al certificato dell’azienda ospedaliera di Perugia». Fissando anche l’udienza per il prossimo 27 febbraio per la comparizione delle parti, ma intanto assicurando le cure a Manuel, vittima di un paradosso. «La presa in carico da parte del Ssn – spiega Parra – garantirebbe non solo la piena tutela del diritto alla salute del singolo ma anche un risparmio di spesa per l’ente, considerando i maggiori costi previsti per i ricoveri ospedalieri. Il paradosso della vicenda è che tali cittadini sono discriminati in quanto cittadini comunitari. È noto che agli stranieri extracomunitari è riconosciuto tale diritto per legge proprio in virtù dei principi fondamentali del nostro ordinamento, fra cui, il divieto di discriminazione e il dovere di solidarietà». «Il tempestivo intervento della magistratura del lavoro perugina costituisce una conquista di civiltà – chiude l’avvocato Parra -. Auspichiamo un impegno concreto
delle istituzioni per evitare il ripetersi di tali casi. Come associazione ci duole constatare che non è la prima volta, che siamo costretti a richiedere una tutela d’urgenza. Non si può continuare a negare tale diritto fondamentale ai più fragili, lasciandoli nell’invisibilità della strada».
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