10 Febbraio – Giorno del Ricordo, in memoria delle vittime delle foibe e dell’esodo istriano, fiumano e dalmata. – Ambasciata d’Italia ad Ankara

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Intervento del Vice Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione International, On. Antonio Tajani, in occasione del Giorno Ricordo, in memoria delle vittime delle foibe e dell’esodo istriano, fiumano e dalmata.

Il Comunicato della Farnesina: Partecipazione del Ministro Antonio Tajani alle celebrazioni per il Giorno del Ricordo – Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale

(Check Against Delivery) Discorso del Vice Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Antonio Tajani

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Signor Presidente della Repubblica,

Autorità,

Signore e Signori,

la celebrazione del Giorno del Ricordo, in questa solenne sede del Palazzo del Quirinale, è un evento importante, denso di emozioni e di significati per l’intera collettività nazionale.

Il Giorno del Ricordo, voluto e istituito dal Governo Berlusconi, nel 2004, ci pone a confronto con una pagina tragica nella storia nazionale. Una pagina fatta del martirio di tanti innocenti, ma anche dell’esodo forzato dalle loro case e dalle loro terre di centinaia di migliaia di esseri umani colpevoli solo di essere italiani.

Oggi è un giorno consacrato al ricordo di queste vite spezzate e di questi eventi traumatici: ricordo, voglio ribadire questo termine, che significa raccoglimento, omaggio alla memoria, riflessione su un passato che non può essere dimenticato affinché non accada mai più.

“Ricordo” non vuol dire dunque né recriminazione né tantomeno revanscismo. I nostri vicini dell’Est, i Paesi nati dalla dissoluzione dello Stato Jugoslavo, non hanno evidentemente nessuna responsabilità dell’accaduto, sia perché per la nostra civiltà giuridica e morale la responsabilità è sempre personale e non si tramanda attraverso le generazioni, sia soprattutto perché quei Paesi non sono in alcun modo continuatori del regime comunista di Tito e dei suoi successori.

Al contrario, la Slovenia e la Croazia sono nostri partner e amici nella nuova Europa che stiamo faticosamente costruendo, condividono i nostri principi di libertà, di democrazia, di stato di diritto; sono nostri preziosi partner, nella politica di speciale attenzione che l’Italia rivolge ai Balcani, auspicando l’adesione all’Unione Europea e all’Alleanza Atlantica dei Paesi di quell’area che ancora non ne fanno parte.

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Proprio oggi ospiterò a Villa Madama una riunione dei Ministri degli Esteri del Gruppo degli Amici dei Balcani, che abbiamo contribuito a creare proprio per accompagnare i Paesi della regione nel percorso di riunificazione con la famiglia europea.

In questa fase iniziale del nuovo ciclo istituzionale europeo, abbiamo voluto con forza una importante presenza delle Istituzioni europee proprio per confermare questo messaggio di abbraccio fraterno alla regione. Sono personalmente lieto che l’Alto Rappresentante Kallas e la Commissario all’Allargamento Kos abbiano accolto subito con entusiasmo il mio invito.

Del resto la storica stretta di mano con il Presidente sloveno Pahor, che Lei, Signor Presidente della Repubblica, nel ha voluto incontrare proprio alla foiba di Basovizza, luogo simbolo di quella grande tragedia, ha sancito nel modo più solenne la ritrovata fratellanza dei due popoli.

Il fanatismo ideologico e la brutalità della guerra avevano lacerato l’unità di un territorio nel quale popolazioni italiane, slave e germaniche sono convissute pacificamente ed hanno prosperato per tanti secoli.

Questo fa riflettere sulla gravità di un gesto scriteriato, che offende la memoria delle vittime. Mi riferisco naturalmente all’atto di un singolo provocatore che nei giorni scorsi ha profanato il sito della Foiba di Basovizza, un gesto che non soltanto oltraggia i caduti ma riapre dolorose ferite nei viventi.

Per questo voglio ribadire la più severa condanna per un atto intollerabile e ingiustificabile.

Fortunatamente un gesto isolato giacché, voglio ribadirlo, lo spirito che impronta i rapporti non solo tra gli Stati ma tra i popoli è grazie al Cielo profondamente diverso. È uno spirito che si ritrova nell’emozione e nella commozione con cui possiamo attraversare la Piazza della Transalpina a Gorizia, per tanto tempo emblema di divisione e oggi al contrario simbolo di apertura e unità. Laddove correva il filo spinato di uno dei confini più presidiati e laceranti d’Europa, oggi solo una riga sul terreno ricorda il dolore della separazione.

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Il fatto che Gorizia e Nova Gorica siano state scelte insieme a svolgere per quest’anno il ruolo di Capitale europea della Cultura, rende il giusto onore ad un luogo di grande prestigio culturale e nel quale tante espressioni letterarie e artistiche sono nate o si sono sviluppate al tempo stesso valorizza la comune identità di una città che la duplice appartenenza italiana e slovena definisce luogo di incontro, di scambio, di felice sintesi di popoli, di commerci, di idee, di fede e di valori condivisi.

La sua presenza, signor Presidente, alla cerimonia di inaugurazione insieme alla Presidente slovena Musar, rende il più alto omaggio a questa importantissima iniziativa.

 

Signor Presidente, Signore e Signori,

le vittime stimate del dramma delle foibe sono oltre quattromila, i profughi giuliano-dalmati esuli dalle loro terre, dalle terre dei loro padri, sono stati oltre trecentocinquantamila.

Sono i numeri di una pulizia etnica, perpetrata in nome di due aberrazioni tipiche del XX secolo, il nazionalismo esasperato e il comunismo.

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Pulizia etnica perché si è trattato di vittime innocenti, o colpevoli solo di avere un cognome italiano, di parlare la lingua italiana, di sentirsi italiani. Una popolazione civile laboriosa che aveva convissuto pacificamente per secoli con i loro vicini slavi. Una popolazione della quale rimangono pochissimi eredi, una tradizione millenaria che merita di essere tutelata. Anche in questo senso il cordiale rapporto che ci lega alla Slovenia garantisce finalmente un giusto rispetto alle residue minoranza italiane in Slovenia, come delle minoranze slovene in Italia, anch’esse, non vogliamo affatto negarlo, vittime di persecuzioni e di angherie nella stagione del totalitarismo fascista.

Abbiamo ricordato i numeri di questo dramma, che non riguarda, voglio ricordarlo ancora una volta, i combattenti di un conflitto che ha visto crudeltà ed efferatezze, ma piuttosto – nella stragrande maggioranza dei casi – civili inermi e innocenti, molti dei quali di sentimenti antifascisti. Ma anche qualora fra le vittime vi fosse stato sia qualche caso isolato di persone macchiate da comportamenti condannabili – parleremmo comunque di una minoranza esigua – non per questo diventerebbero accettabili forme di giustizia sommaria e di esecuzione atroce e crudele.

Ricordare il numero delle vittime serve a comprendere la portata del dramma, ma i numeri rappresentano comunque una definizione astratta. Sono le storie, le vicende umane che ci restituiscono l’identità dei protagonisti, a darci il senso più vivo e più profondo di quanto è avvenuto. Le storie di donne e uomini, con i loro affetti, i loro sogni, le loro speranze, i loro valori.

Del resto è proprio quello che i criminali autori degli atti di genocidio e di pulizia etnica vogliono fare in ogni parte del mondo e in ogni momento della storia: far scomparire non soltanto un popolo, ma anche il ricordo delle persone, delle singole individualità che ne facevano parte.

Per questo vale la pena ricordare almeno qualcuna delle figure che sono state vittime del massacro delle foibe. Negli anni passati ci siamo soffermati sulle storie di militari uccisi senza altra colpa di aver fatto il proprio dovere e di sacerdoti che hanno subito il martirio in nome delle proprie convinzioni religiose e della propria appartenenza alla comunità italiana. Vittime dell’ideologia, vittime dell’odio etnico, vittime spesso anche di vendette private, travestite da gesto politico.

Oggi vorrei ricordare il tragico destino di alcune donne, mogli, madri, figli, insegnanti, lavoratrici, nella maggior parte dei casi vittime di atti persecutori per presunte colpe dei loro congiunti maschi. Donne che hanno subito l’onta e la ferita profonda della violazione della propria intimità prima ancora di essere vittime di un brutale assassinio.

Il nome forse più noto, al quale si rende onore per tutte le altre, è quello di Norma Cossetto, studentessa universitaria, innocente di tutto, ma fiera di essere italiana. Fu seviziata in modo orribile e poi uccisa, non per sue colpe ma per punire l’adesione del padre al fascismo. Ma il dramma di quella sfortunata ragazza, che il Presidente Ciampi volle insignire della Medaglia d’oro al Valor Civile, non è certo un caso isolato.

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Il suo tragico destino la accomuna per esempio a alle tre sorelle Radecchi, Fosca, Caterina e Albina, quest’ultima in stato di avanzata gravidanza.  Le tre ragazze, operaie di una fabbrica di Pola, avevano l’abitudine, finito il turno di lavoro, di trattenersi a conversare con i militari di una vicina caserma della Regia Aeronautica.

Per questa sola colpa vennero rapite, ripetutamente abusate, e poi gettate nella foiba di Terli. Due di loro presumibilmente ancora vive.

Non meno commovente il destino di Amalia Ardossi, 45 anni, che pur non essendo ricercata dai partigiani, chiese lei stessa di seguire il marito in prigionia. I corpi dei due sventurati vennero ritrovati in una foiba legati l’un altro.

E che dire di Giuseppina e Alice Abbà, rispettivamente moglie e figlia di un vigile urbano ucciso nelle foibe nel 1943, e loro volta assassinate per aver tentato di far aprire un’inchiesta sulla morte del congiunto?

E forse alla triste pagina della violenza sulle donne si può ascrivere anche la morte in foiba di Pietro Gonan, commerciante, noto antifascista. Anni prima aveva ottenuto la condanna di tre criminali che avevano violentato e ucciso una sua figlia minorenne. Questi stessi criminali, liberati e aggregatisi ai partigiani comunisti, consumarono così la loro vendetta sull’infelice padre.

Questi racconti potrebbero continuare a lungo, schiudendo nuove pagine d’orrore. Le donne innocenti assassinate nelle foibe sono state 453, diverse di loro erano insegnanti e maestre. La ferocia dei partigiani titini non si fermò neppure di fronte a loro.

 

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Signor Presidente della Repubblica,

queste dolorose storie parlano per coloro che non possono parlare: donne, uomini, anziani, bambini, strappati alle loro case, ai loro affetti, al calore del focolare domestico.

Il loro ricordo è un dovere verso vittime a lungo tempo dimenticate, verso una tragedia minimizzata in passato per un pregiudizio ideologico. Ma il loro ricordo è soprattutto un monito verso la crudeltà della guerra, verso la follia dell’odio interetnico, verso la pericolosità delle ideologie totalizzanti in nome delle quali, nel secolo scorso, sono stati commessi i più efferati delitti che la storia ricordi, e in nome dei quali anche la nostra Patria ebbe a subire tanti lutti e tante sofferenze.

La memoria delle foibe può essere accostata, nonostante i numeri diversi, a quella dei lager e dei gulag, per richiamare ogni giorno le nostre coscienze al dovere di custodire la pace, la libertà, la democrazia, la fratellanza tra i popoli, il fecondo scambio tra le culture. Tutto questo non è mai acquisito definitivamente. È un dono che ci hanno fatto, almeno in Europa, in Occidente, le generazioni passate, noi abbiamo il dovere di custodirlo con coraggio e con fermezza nel nostro Paese e in ogni luogo del mondo, dall’Ucraina al Medio Oriente, in cui questi valori sono messi in discussione dalla crudeltà nei conflitti.

Solo così onoreremo come merita la memoria di questi nostri connazionali innocenti.



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