Il recente intervento delle autorità israeliane presso la storica Educational Bookshop di Gerusalemme Est ha suscitato un acceso dibattito sulla libertà di espressione e sul ruolo della cultura nei conflitti internazionali. Fondata nel 1984, la libreria ha rappresentato per decenni un punto di riferimento per il dialogo tra culture diverse, ospitando testi in arabo, inglese ed ebraico e promuovendo eventi di carattere letterario e accademico. L’irruzione della polizia, il sequestro di numerosi volumi e l’arresto dei proprietari Mahmoud e Ahmed Muna con l’accusa di «incitamento alla violenza e sostegno al terrorismo» hanno sollevato preoccupazioni internazionali e acceso una mobilitazione in difesa del diritto alla conoscenza.
Il blitz della polizia
Censura sui libri destinati ai bambini, sugli scritti di autori arabi che trattano il tema dell’antisemitismo e su quelli israeliani che promuovono la pace con titoli considerati controversi, come “Shalom Inshallah”, che unisce il termine ebraico “pace” alla nota espressione araba “Se dio vuole”.
L’irruzione di numerosi agenti della polizia israeliana nella Educational Bookshop, storica libreria palestinese situata nella zona est della città e da anni un simbolo di incontro e confronto tra intellettuali palestinesi, israeliani e internazionali, è stata probabilmente effettuata senza un regolare mandato giudiziario.
Le forze dell’ordine hanno perquisito il negozio, considerato un centro culturale di riferimento e simbolo del dialogo tra comunità diverse. In questo spazio, attivo da tre generazioni, si possono trovare libri in arabo e inglese sul conflitto mediorientale, opere di autori israeliani e volumi di storia ebraica.
I testimoni hanno riferito che gli agenti hanno rovesciato libri dagli scaffali e ispezionato attentamente i testi in cerca di «simboli e bandiere palestinesi». Al termine dell’operazione, i proprietari, Mahmoud Muna e suo nipote Ahmed, sono stati arrestati.
Più tardi, la moglie di Mahmoud ha raccontato come i poliziotti, che non erano in grado di comprendere il significato dei titoli dei volumi, siano stati costretti a usare Google Translate per tradurli prima di portarli via in sacchetti di plastica.
I libri sequestrati
Dopo il blitz, la polizia ha pubblicato la foto del presunto “corpo del reato”: un libro da colorare per bambini intitolato “From the River to the Sea”, un’espressione che si riferisce al territorio compreso tra il Giordano e il Mediterraneo.
Lo slogan è spesso utilizzato dai movimenti pro-Palestina e dalle fazioni militanti di Hamas che non riconoscono lo Stato di Israele, ma è stato impiegato anche dal premier Netanyahu per ribadire la necessità di mantenere il controllo su tutta l’area a ovest del Giordano.
Oltre a questo volume, la polizia ha sequestrato un centinaio di libri, mentre altri sono stati posti “sotto esame”, tra cui “Wall and Piece” di Banksy e “Gaza in Crisis” di Noam Chomsky e Ilan Pappé.
Il raid della polizia israeliana è stato giustificato con l’accusa di possesso di materiale ritenuto incitante alla violenza, tra cui appunto il libro per bambini From the River to the Sea, considerato controverso per il suo riferimento allo slogan spesso associato ai movimenti pro-palestinesi.
La decisione di confiscare questi materiali ha provocato reazioni critiche da parte di diplomatici europei e di oltre mille intellettuali israeliani, che hanno firmato una petizione per il rilascio dei proprietari.
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La repressione della cultura e il timore del libero pensiero
Il sequestro dei libri e la chiusura forzata della libreria rappresentano un ulteriore esempio di come il controllo dell’accesso alla conoscenza possa diventare uno strumento di potere nei contesti di conflitto.
La Educational Bookshop ha sempre promosso il valore dell’istruzione e del dialogo culturale, ospitando eventi come il Kalimat Literature Festival, che riunisce scrittori e accademici da tutto il mondo.
La chiusura di un luogo di questo tipo solleva interrogativi sul futuro della libertà di espressione nella regione e sulla possibilità di costruire ponti tra comunità in conflitto.
Il legame con il mondo scolastico
Il caso della libreria di Gerusalemme Est offre uno spunto di riflessione anche per il mondo della scuola.
La repressione di spazi culturali dimostra quanto il controllo dell’istruzione e dell’accesso ai libri possa essere determinante nella formazione delle coscienze critiche.
Le scuole, come le librerie indipendenti, rappresentano luoghi in cui si costruisce il pensiero libero e si incoraggia la discussione. Studiare la censura e il ruolo della cultura nei regimi autoritari può aiutare studenti e docenti a comprendere meglio i meccanismi di potere e l’importanza della tutela della conoscenza come diritto fondamentale.
Il caso della Educational Bookshop non è un episodio isolato, ma si inserisce in un contesto ben più ampio di controllo culturale e limitazione delle libertà civili.
La comunità internazionale e il mondo della scuola possono trarre insegnamenti preziosi da questi eventi per riaffermare il valore della lettura, dell’educazione e della libertà di espressione come strumenti indispensabili per la costruzione di una società più giusta e consapevole.
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