Scattano i dazi di Trump alla Cina e Pechino risponde, inizia la guerra commerciale mondiale

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L’inasprimento delle tariffe sulle merci cinesi, annunciato dal nuovo inquilino della Casa Bianca, Donald Trump, riapre un duello mai realmente chiuso. Oggi, 10 febbraio, entra in vigore l’ultima raffica di dazi, destinata a colpire una gamma estesa di prodotti provenienti dal gigante asiatico.

Pechino, senza attendere segnali di dialogo, ha risposto con una contromossa: tariffe fino al 15% su 14 miliardi di dollari di importazioni americane. Il braccio di ferro si riaccende senza preamboli, con il rischio di trascinare l’intero scacchiere commerciale globale in un’ennesima escalation.

Scambi commerciali miliardari tra Cina e Usa

L’interscambio commerciale tra Stati Uniti e Cina è una macchina inarrestabile, capace di macinare volumi colossali. Nel 2024 ha superato i 530 miliardi di dollari, confermando Pechino come pilastro dell’approvvigionamento per Washington. Nel 2022 si era già toccata quota 690 miliardi, sfiorando i record del passato.

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Dagli scaffali americani alle catene di montaggio, i prodotti cinesi sono onnipresenti: elettronica, macchinari, tessile e abbigliamento riempiono le spedizioni verso gli Stati Uniti. Ma Pechino, nonostante le tensioni, non smette di rifornirsi di prodotti agricoli americani, in particolare soia, e rimane dipendente dalle sue esportazioni per alimentare la propria economia in un mercato sempre più frammentato.

Strategie industriali e accuse di concorrenza sleale

Il sostegno governativo cinese alle proprie industrie continua a essere uno dei punti più caldi dello scontro con gli Stati Uniti. Washington accusa Pechino di sovvenzionare in modo massiccio i propri colossi industriali, creando un vantaggio competitivo che distorce il mercato globale. Nonostante le misure protezionistiche varate negli anni scorsi, i prodotti cinesi mantengono una presenza dominante, aggirando le barriere e rimanendo essenziali per le filiere produttive occidentali.

Mentre gli Stati Uniti alzano il tiro, Pechino non resta a guardare: la Cina risponde ai dazi. La ritorsione è arrivata con tariffe tra il 10% e il 15% su 14 miliardi di dollari di importazioni americane, colpendo settori strategici. Nel mirino finiscono il gas naturale liquefatto, il carbone, le attrezzature agricole e le automobili di lusso.

La Cina gioca anche la carta delle terre rare (un gruppo di 17 elementi chimici fondamentali per produrre tecnologie avanzate), asset critico per l’industria tecnologica e della difesa statunitense, mandando un segnale inequivocabile: lo scontro è entrato in una nuova fase, e nessuno può permettersi di sottovalutarne le conseguenze.

Tariffe e negoziati: una storia di scontri e tregue

Non facciamo giri di parole, lo scontro è tra due imperi. Il braccio di ferro tra Washington e Pechino è un copione già visto, ma questa volta i protagonisti sembrano ancora più determinati a non cedere terreno. Durante il primo mandato di Trump, l’amministrazione americana decise di giocare la carta delle barriere doganali su centinaia di miliardi di dollari di prodotti cinesi. Pechino rispose colpo su colpo, trascinando le due superpotenze in una guerra commerciale che ha riscritto le dinamiche del commercio globale. La “fase uno” dell’accordo successivo avrebbe dovuto siglare una tregua, con la Cina impegnata ad acquistare beni statunitensi per 200 miliardi di dollari. Ma poi è arrivata la pandemia, e di quegli impegni è rimasta solo l’intenzione.

Ora il clima si surriscalda di nuovo. Donald Trump minaccia un nuovo dazio del 25% su acciaio e alluminio, rispolverando la strategia del 2018. Gli analisti mettono in guardia dal rischio di un effetto domino che potrebbe coinvolgere una gamma ancora più ampia di settori, dalla tecnologia all’agroalimentare.

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Cambi di strategia tra le amministrazioni americane

Con l’arrivo di Joes Biden alla Casa Bianca, le tariffe non furono eliminate, ma la strategia si spostò su un fronte ancora più mirato: il blocco all’export di semiconduttori e tecnologie sensibili verso Pechino. Washington voleva impedire che la Cina sfruttasse componenti strategici per il settore militare e industriale. Intanto, nuove restrizioni colpirono la produzione di veicoli elettrici e batterie, con l’obiettivo di contenere l’ondata di prodotti a basso costo cinesi che stava travolgendo la competitività occidentale.

Poi, il guanto di sfida si fece ancora più pesante. Lo scorso maggio, gli Stati Uniti affondarono un colpo da 18 miliardi di dollari contro le importazioni cinesi, con tariffe più alte su auto elettriche e semiconduttori. Il ritorno di Trump alla Casa Bianca ha riaperto il dossier commerciale con un approccio ancora più spietato: nuovi dazi, meno concessioni, retorica più dura.

Se i prodotti cinesi non trovano più spazio negli Stati Uniti, potrebbero riversarsi in massa su altri mercati, aumentando l’interscambio con economie emergenti come Messico, Vietnam, Indonesia e India.





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