Secondo Pro Vita è una legge «barbara e disumana», che «spingerà alla morte di Stato migliaia di malati». È pure incostituzionale perché scipperebbe il lavoro al legislatore – che però intanto non lavora (ma non è questo il punto). «È una sconfitta per tutti», secondo il presidente della conferenza episcopale della Toscana. Di cosa parlano? Di una legge regionale di organizzazione dei servizi sanitari che la Regione Toscana ha approvato ieri. Nessun nuovo diritto, ma solo la garanzia di applicazione di due sentenze della Corte costituzionale.
Come ci siamo arrivati? Con una proposta di legge popolare dell’Associazione Luca Coscioni, con migliaia di firme, con alcuni emendamenti che non hanno cambiato significativamente il testo di “Liberi subito”, con la votazione di martedì: 27 a favore, 13 contrari, nessun astenuto e un non espresso. A cosa serve questa legge regionale? Basterebbe leggerla questa legge, ma figuriamoci. “Con questa legge la Regione, nell’esercizio delle proprie competenze in materia di tutela della salute, e in attuazione di una sentenza immediatamente esecutiva, detta norme a carattere organizzativo e procedurale per disciplinare in modo uniforme sul proprio territorio l’esercizio delle funzioni che la giurisprudenza costituzionale attribuisce alle aziende sanitarie nella materia di cui trattasi”.
Le aziende sanitarie istituiranno una commissione per verificare i requisiti di chi chiede il suicidio assistito. Sarà composta da un palliativista, uno psichiatra, un anestesista, uno psicologo, un medico legale e un infermiere. A questi si aggiungerà uno specialista della patologia della persona che ha chiesto la verifica. La partecipazione alla commissione sarà volontaria.
Tra le parti più importanti c’è l’indicazione dei tempi di risposta da parte del servizio sanitario: la verifica deve concludersi entro 20 giorni dalla richiesta (con la possibilità di sospendere per 5 giorni per accertamenti diagnostici); se l’esito è positivo entro 10 giorni andranno indicati il farmaco e le modalità di assunzione; la commissione deve verificare anche che la persona che ha chiesto la verifica abbia avuto tutte le informazioni sui propri diritti, sulla possibilità di accedere alle cure palliative e alla sedazione palliativa. La commissione chiederà un parere al comitato etico che dovrà esprimersi entro 7 giorni, compresi in quei 20 giorni.
Naturalmente, si può cambiare idea fino alla fine. Non è che se hai chiesto la verifica dei requisiti devi poi morire. Perché questa possibilità ha più a che fare con la libertà che con la morte. Come commenta Filomena Gallo, avvocata e segretaria dell’Associazione Coscioni, in Toscana non ci saranno più casi come quello di Gloria, che ha dovuto ripiegare sulla sedazione palliativa – che non voleva perché avrebbe desiderato rimanere lucida e non scivolare in un limbo indeterminato – perché i mesi di attesa le hanno di fatto impedito di godere di un suo diritto: scegliere se, quando e come morire. E quando un diritto rimane impigliato in un tempo indefinito non è più un diritto.
Gloria è solo l’ultimo caso, ma molte altre persone sono rimaste incastrate in questa burocrazia del rimandare, ritardare, ignorare. Questa legge regionale è insomma solo una applicazione delle due sentenze della Corte, la 242 del 2019 e la 135 del 2024. I requisiti per la richiesta di verifica sono quelli che già valgono in tutta l’Italia, ma la Toscana garantirà i tempi di risposta (che, ripeto, è importantissimo perché troppe volte le persone hanno aspettato mesi, anni).
Possiamo essere d’accordo oppure no. Ma ci sono due sentenze della Corte e fare finta di essere morti non è una strategia moralmente ammissibile. Possiamo essere d’accordo oppure no. Ma un diritto non obbliga nessuno a usarlo. Un divieto invece riguarda tutti. Come ha detto Luca Zaia, parlando di un regolamento per la Regione Veneto che dovrebbe solo rispettare la sentenza 242 del 2019: «Ripeto, si tratta di non essere ipocriti. Se qualcuno è contrario, anche se io non condivido l’atteggiamento poco liberale, proponga una legge che vieti il fine vita e non se ne parla più. Ma è inaccettabile il non dare seguito a una sentenza della Corte».
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