Regime impatriati: anche per gli autonomi residenza estesa a 6 anni

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L’Agenzia delle Entrate, con la Risp. AE 7 febbraio 2025 n. 22, ha fornito chiarimenti in merito al periodo di residenza all’estero necessario per fruire del regime fiscale di favore previsto per i lavoratori impatriati, secondo le regole in vigore dal 2024 contenute nell’art. 5 D.Lgs. 209/2023

Il caso esaminato riguardava una lavoratrice che, dopo aver svolto un’attività di lavoro dipendente all’estero, si trasferisce in Italia per avviare un’attività di lavoro autonomo con lo stesso soggetto per cui era precedentemente impiegata. L’Agenzia, adottando un’interpretazione letterale della norma, ha precisato che, in tale situazione, il beneficio fiscale è riconosciuto solo se la lavoratrice è stata non residente in Italia per almeno sei anni.

La non residenza in Italia per un periodo di sei anni rappresenta un’eccezione rispetto alla regola generale, che richiede un minimo di 3 anni di non residenza. Questo requisito più stringente si applica nei casi in cui il dipendente continui a lavorare in Italia con lo stesso datore di lavoro estero. L’applicazione di un periodo maggiore anche qualora il lavoratore in Italia svolga attività di lavoro autonomo, per lo stesso soggetto per cui lavorava all’estero come dipendente, sembra tuttavia condurre a risultati poco logici nella sistematica della disposizione, lasciando aperti una serie di dubbi e, probabilmente, una asimmetria logico interpretativa.

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Nuovo regime degli impatriati

I lavoratori che trasferiscono la residenza fiscale in Italia possono beneficiare del regime degli impatriati, che prevede la tassazione del 50%, entro un limite annuo di 600.000 euro, del reddito di lavoro prodotto in Italia, secondo quanto disposto dall’art. 5 c. 1 D.Lgs. 209/2023 che, a partire dal 2024, ha riformato il regime in commento. 

Per accedere a questa agevolazione è necessario rispettare le seguenti condizioni:

a) i lavoratori si impegnano a risiedere fiscalmente in Italia per un periodo di 4 anni;

b) i lavoratori non sono stati fiscalmente residenti in Italia nei 3 periodi d’imposta precedenti il loro trasferimento. Se il lavoratore presta l’attività lavorativa in Italia in favore dello stesso soggetto presso il quale è stato impiegato all’estero prima del trasferimento oppure in favore di un soggetto appartenente al suo stesso gruppo, il requisito minimo di permanenza all’estero è di:

  • 6 periodi d’imposta, se il lavoratore non è stato in precedenza impiegato in Italia in favore dello stesso soggetto oppure di un soggetto appartenente al suo stesso gruppo;
  • 7 periodi d’imposta, se il lavoratore, prima del suo trasferimento all’estero, è stato impiegato in Italia in favore dello stesso soggetto oppure di un soggetto appartenente al suo stesso gruppo;

c) l’attività lavorativa è prestata per la maggior parte del periodo d’imposta nel territorio dello Stato;

d) i lavoratori sono in possesso dei requisiti di elevata qualificazione o specializzazione come definiti dal D.Lgs. 108/ 2012 e D.Lgs. 206/2007.

Il nuovo regime, in conformità alle regole appena descritte, affronta la questione della discontinuità con il precedente rapporto di lavoro prima del trasferimento in Italia, risolvendo la problematica mediante l’estensione del periodo di non residenza in Italia. 

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Nel regime precedente, invece, la prassi dell’Agenzia delle Entrate aveva individuato una serie di criteri per determinare la discontinuità con il precedente rapporto di lavoro, al fine di prevenire un uso strumentale dell’agevolazione (Circ. AE 28 dicembre 2020 n. 33). Ciò aveva non poche questioni, oggetto di frequenti interventi giurisprudenziali, specie nelle ipotesi di rientro dopo un distacco all’estero.  Le nuove regole, quindi, affrontano la questione introducendo un criterio oggettivo che permette l’accesso al regime nel caso in cui il lavoratore si trasferisca in Italia per svolgere attività lavorativa per lo stesso soggetto presso cui era impiegato all’estero, o per un soggetto appartenente al medesimo gruppo.

In questa situazione, le regole appena descritte stabiliscono che il periodo minimo di pregressa permanenza all’estero venga esteso da 3 a 6 o 7 anni, a seconda che il lavoratore sia stato impiegato o meno dallo stesso soggetto o gruppo presso cui lavorava in Italia prima del trasferimento all’estero. Nella Risposta in commento, l’Amministrazione, rilevando che la norma non specifica la tipologia di rapporto contrattuale tra i soggetti coinvolti, conferma l’estensione del periodo minimo di pregressa permanenza all’estero a 6 o 7 anni in tutti i casi in cui il contribuente, al rientro in Italia, svolga attività lavorativa per lo stesso soggetto per cui ha lavorato all’estero.

Pertanto, se il contribuente, dopo il rientro, avvia un’attività professionale e fornisce prestazioni anche al suo precedente datore di lavoro estero, il periodo minimo di permanenza all’estero è di 6 periodi d’imposta, che salgono a 7 qualora, prima del trasferimento all’estero, fosse stato impiegato in Italia dallo stesso datore di lavoro.

Dubbi lasciati aperti 

Il caso oggetto di interpello riguardava un’ipotesi di mono-committenza; tuttavia, l’Agenzia non fornisce chiarimenti in merito, lasciando aperti dubbi qualora il lavoratore impatriato abbia tra i propri clienti, anche in misura marginale, il suo ex datore di lavoro estero.

Un’ulteriore criticità riguarda l’asimmetria generata da questa interpretazione, poiché letteralmente la norma si riferisce all’“impiego” estero presso lo stesso soggetto. Il termine “impiego” sembrerebbe escludere il lavoro autonomo, con la conseguenza che un soggetto che abbia svolto attività professionali per un committente estero e successivamente si trasferisca in Italia per avviare un rapporto di lavoro dipendente con lo stesso soggetto non dovrebbe rientrare nell’ambito della proroga a 6 anni di residenza estera.

I dubbi lasciati aperti, a parere di chi scrive, potrebbero trovare soluzione assimilando il caso della mono-committenza a un rapporto di lavoro subordinato, limitando l’applicazione dell’estensione del periodo minimo di residenza all’estero esclusivamente a tali situazioni.  La questione dovrà però essere, auspicabilmente, chiarita da parte dell’Agenzia delle entrate.

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