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Guerra alla droga, ma i militari bastano? |
Militari messicani alla frontiera (foto di Luis Torres/Epa)
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di
sara gandolfi
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Guerra alla droga. Sembra essere questo uno dei pilastri della nuova amministrazione statunitense. Dopo le minacce dirette a Canada e Messico, che hanno spinto entrambi i Paesi vicini a organizzare in fretta e furia operazioni militari per contrastare il traffico di fentanyl (vedi foto-reportage più sotto), e la decisione di equiparare i cartelli alle organizzazioni terroristiche, Donald Trump ha scelto un super-falco, con decenni di esperienza, per guidare l’agenzia anti-droga degli Stati Uniti (Dea). Terrance Terry Cole ha svolto missioni sul campo in Afghanistan, Colombia e Città del Messico. In passato, ha ripetutamente accusato il governo messicano di agire in combutta con gruppi criminali: «I cartelli lavorano a stretto contatto con funzionari messicani corrotti ai massimi livelli», ha affermato in un’intervista al sito web ultraconservatore Breitbart News nel 2020. Più di recente, ha affermato che il Messico è diventato «un campo di addestramento per il terrorismo, simile a quanto abbiamo visto in Medio Oriente anni fa». La sua nomina «rischia di mettere ulteriormente a dura prova i turbolenti rapporti tra la DEA e il governo messicano», scrive il quotidiano El Pais. «Negli ultimi anni le autorità messicane hanno limitato la portata delle operazioni degli agenti stranieri e hanno isolato la DEA dalla cooperazione bilaterale in materia di sicurezza», accusando l’agenzia Usa di «destabilizzare» i rapporti fra i due Paesi. La presidente messicana Claudia Sheinbaum ha ribadito la linea del suo predecessore López Obrador: «Coordinamento, collaborazione, informazione, ma senza interferenze», ha affermato mercoledì in sala stampa, commentando la nomina di Cole. Gli statunitensi consumano più droghe illecite pro capite di chiunque altro al mondo: circa il 6% della popolazione le usa regolarmente. Il fentanyl, un oppioide sintetico che è da 50 a 100 volte più potente della morfina, è la principale causa dell’aumento esponenziale di decessi per overdose negli Stati Uniti degli ultimi anni. La minaccia di dazi contro i vicini non funzionerà, secondo Rodney Coates, professore alla Miami University, che invita a guardare alle politiche anti-droga di Francia e Svizzera: «Si sono resi conto che è la domanda ad alimentare il mercato illecito. E come qualsiasi economista può confermare, l’offerta troverà sempre una via se non si limita la domanda. Ecco perché il trattamento funziona e i divieti no», scrive Coates su The Conversation. «La capacità del governo degli Stati Uniti di controllare la produzione di queste droghe è limitata… Il problema è che verranno continuamente prodotti nuovi prodotti chimici. In sostanza, il mancato controllo della domanda non fa che mettere bende su ferite emorragiche. Ciò di cui gli Stati Uniti hanno bisogno è un approccio più sistematico per affrontare la domanda che sta alimentando la crisi della droga». A seguire altre storie dal Global South. Buona lettura.
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Colombia, i dolori (e le escandescenze) di Petro |
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![Handout picture released by Colombian Presidency shows Colombian's President Gustavo Petro (L) speaking to his ministers next to his new Chief of Staff of the Presidency Armando Benedetti at Narino Presidential Palace in Bogota on February 4, 2025. Colombian government is collapsing with the resignation of at least two senior officials following an unusual meeting between President Gustavo Petro and his cabinet broadcasted live. (Photo by Handout / PRESIDENCIA COLOMBIA / AFP) / RESTRICTED TO EDITORIAL USE - MANDATORY CREDIT](data:image/gif;base64,R0lGODlhAQABAIAAAAAAAP///ywAAAAAAQABAAACAUwAOw==)
Il presidente colombiano Gustavo Petro, affiancato dal discusso Armando Benedetti
Crisi senza precedenti in Colombia, frutto di una lotta intergenerazionale fra politicanti navigati e nuove leve del potere ma anche delle intemperanze del presidente. Domenica scorsa, Gustavo Petro ha chiesto le dimissioni formali di tutti i «ministri e direttori dei dipartimenti amministrativi». Pochi giorni prima, in una riunione del governo trasmessa in diretta tv, e diventata subito virale sui social, il leader di sinistra aveva redarguito pesantemente, con rimproveri e “sgridate” degne di un maestro elementare, i suoi collaboratori. La più leggera: «Io sono un rivoluzionario, i miei ministri no». All’indomani sono arrivate le prime dimissioni spontanee, tra cui quella del ministro della Cultura, Juan David Correa, e della popolare ministra dell’Ambiente, Susana Muhamad. Petro ha poi annunciato la Gran purga su X, il suo più amato strumento di comunicazione con l’opinione pubblica: «Ci saranno alcuni cambiamenti nel governo per ottenere una maggiore conformità al programma ordinato dal popolo». La “purga” è culminata domenica pomeriggio con la richiesta di dimissioni formali da parte di Petro. Hanno subito risposto la ministra degli Esteri Laura Sarabia, considerata un “braccio destro” di Petro, e la ministra del Lavoro Gloria Inés Ramírez, responsabile di una ambiziosa riforma ancora in attesa di voto al Congresso. A catena, sono arrivate le dimissioni dei ministri dell’Interno, delle Miniere e dell’Energia, dell’Istruzione e della Difesa. Da quando è diventato presidente, nell’agosto 2022, Petro ha subito o provocato diverse crisi di governo e relativi rimpasti, con un totale di ben 50 nomine. Non un bel biglietto da visita per il primo governo di sinistra in Colombia, dopo decenni di guerra civile, violenza e politiche ultraliberiste che hanno creato nel tempo una società profondamente divisa e con un forte gap socio-economico. L’ex guerrigliero Petro aveva promesso una “rivoluzione politica” ma ad oggi ben poche riforme sono state realizzate e la violenza è riesplosa in alcune aree di confine del Paese. I colloqui di pace con l’Esercito di liberazione nazionale, il più grande gruppo di guerriglia ancora attivo in Colombia, sono stati sospesi a causa degli scontri nella regione nord-orientale di Catatumbo, al confine con il Venezuela. Come se non bastasse, forse per sviare l’attenzione dai conflitti interni al suo stesso governo e partito, Petro nei giorni scorsi ha scelto lo scontro diretto anche con Donald Trump, rifiutandosi in un primo momento di accogliere i clandestini colombiani deportati dagli Usa. Una decisione ritirata molto velocemente dopo che il presidente Usa ha minacciato pesanti dazi commerciali contro l’export di Bogotà. Al centro della disputa politica interna c’è Armando Benedetti, protagonista indiscusso della vittoria elettorale a sorpresa di Petro nel 2022. Nominato capo dello staff del presidente, il 4 febbraio scorso, il “veterano” Benedetti, un politico molto trasversale e discusso, implicato in diversi scandali di corruzione e anche accusato di sessismo, è subito entrato in rotta di collisione con le nuove leve del governo. Gli ex ministri della Cultura e dell’Ambiente avevano dichiarato di non poter collaborare con lui. Ma la più dura, nella riunione teletrasmessa del Consiglio dei ministri, è stata la vicepresidente Francia Márquez, che ha accusato apertamente Petro di aver permesso casi di corruzione. «Il Patto Storico, la coalizione di diversi partiti di sinistra promossa da Petro per vincere nel 2022, sembra esausto e ferito», sintetizza BBC Mundo. Petro ha pochi mesi per tentare di trovare una valida alternativa in vista delle elezioni del prossimo anno.
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guido olimpio
Esperto di intelligence
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![This picture taken on February 10, 2025 and released from North Korea's official Korean Central News Agency (KCNA) on February 11, 2025 shows North Korean leader Kim Jong Un attending the inauguration ceremony of the greenhouse farm and vegetable science research base in North Pyongan province. (Photo by KCNA VIA KNS / AFP) / South Korea OUT / ---EDITORS NOTE--- RESTRICTED TO EDITORIAL USE - MANDATORY CREDIT](data:image/gif;base64,R0lGODlhAQABAIAAAAAAAP///ywAAAAAAQABAAACAUwAOw==)
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Kim Jong Un, il dittatore nordcoreano
- Somalia/1. Nei primi giorni di gennaio gli Usa hanno condotto uno strike contro lo Stato Islamico nel Puntland, regione autonoma che si affaccia sull’ingresso del Mar Rosso. Ma dentro questa notizia ve ne è una seconda perché un altro raid è stato condotto dall’aviazione degli Emirati Arabi, paese che ha stretto legami stretti con le autorità locali ed ha creato punti d’appoggio, in particolare nel porto di Berbera. Un asse contrastato dal governo centrale di Mogadiscio, appoggiato non a caso da Qatar e Turchia. Piccoli e grandi giochi in una zona strategica.
- Somalia/ 2. Ancora sul Puntland. Lo Stato Islamico, sotto attacco nel quadrante, ha risposto con alto numero di combattenti suicidi impiegati contro i soldati. Secondo un esperto sono stati una trentina a partire dal 31 dicembre 2024. I kamikaze possono impiegare veicoli imbottiti di esplosivo per ostacolare le mosse avversarie.
- Ci risiamo. La polizia filippina ha arrestato cinque cinesi accusati di attività spionistica. La cellula avrebbe fotografato basi, installazioni e movimenti militari lungo la costa. È il secondo episodio in un arco di tempo ristretto in parallelo al contenzioso marittimo che oppone Manila a Pechino. I fermati sono membri di associazioni culturali, una copertura per la loro missione.
- Rivalità. I servizi segreti indiani seguono con timore l’azione dell’intelligence pachistana in Bangladesh. Una visita di un gruppo di alti ufficiali a Dacca è stata considerata come l’inizio di una nuova fase con l’ISI – questa la denominazione dell’apparato – deciso a trovare spazi e contatti. Siamo in una regione travagliata, con molte tensioni politiche ed etniche.
- Affari. Il regime nord coreano è sempre a caccia di risorse: fonti diplomatiche hanno segnalato l’attività di una società, già colpita da sanzioni, coinvolta nella vendita di armi all’estero. I suoi emissari sono stati “tracciati” in alcuni stati africani mentre userebbero come sponda per le transazioni piazze economiche dell’Estremo Oriente. Pyongyang dispone di numerosi dipartimenti coinvolti nella proliferazione di sistemi bellici, acquisizione di tecnologia ma anche beni di lusso destinati alla gerarchia della monarchia dominata da Kim Jong un.
- Intese. L’Uzbekistan ha consegnato agli Stati Uniti sette elicotteri Black Hawk portati nelle sue basi da piloti afghani fuggiti dopo la vittoria dei talebani. Kabul ne aveva chiesto la restituzione in nome dei “rapporti di buon vicinato”. Sono circa 40 i velivoli (sempre afghani) parcheggiati in diverse installazioni uzbeke.
- Mercati. Indiscrezioni, rilanciate da Le Monde, raccontano che la società turca Baykar ha raggiunto un’intesa per produrre i suoi droni d’attacco TB2 molti richiesti dai clienti africani. I velivoli, dotati di missili, sono già in dotazione di numerosi eserciti: li ritengono affidabili e meno costosi rispetto a modelli concorrenti. Il presidente Erdogan li ha trasformati in uno strumento commerciale che favorisce legami bilaterali.
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La violenza infinita della Repubblica democratica del Congo |
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Per non dimenticare gli “altri” conflitti, riprendiamo un comunicato della Ong Save The Children. «Ci sono almeno 28 bambini tra le 52 persone uccise in un violento attacco nel territorio di Djugu, nella provincia di Ituri, nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo (RDC). L’ondata di estrema violenza sta alimentando una crescente crisi umanitaria in tutto il Paese». Gli aggressori hanno usato machete, pistole e fuoco per attaccare il villaggio, che ospitava tante famiglie, tra cui molte donne e bambini. Diverse case sono state rase al suolo, con le persone intrappolate al loro interno. Moise (nome di fantasia), leader della comunità nel territorio di Djugu, che collabora con Save the Children su vari progetti, ha dichiarato: «Viviamo in una costante insicurezza. È impossibile camminare per 20 metri senza rischiare la morte. Dipendiamo dall’agricoltura per il nostro sostentamento. Questa è una stagione cruciale per la semina, con la speranza di raccogliere a maggio e giugno. Tuttavia, a causa della situazione attuale, è impossibile andare nei campi perché è pericoloso stare a più di un chilometro da casa. La carestia uccide più del fuoco dell’esercito, soprattutto i bambini. Tra le vittime di questa settimana ci sono stati alcuni studenti. Molti altri scolari e insegnanti sono ora fuggiti. Ciò potrebbe portare bambini e ragazzi all’abbandono scolastico a causa di quello che hanno vissuto e della fuga degli insegnanti. Esortiamo le autorità ad assumersi la responsabilità di proteggere la popolazione e consentire ai più piccoli di tornare a scuola». La Repubblica Democratica del Congo, ricorda la Ong, è devastata da molteplici conflitti. I più violenti sono proprio nella provincia di Ituri, estremo Est del Paese, e nella parte settentrionale delle province del Nord e del Sud Kivu, dove un altro conflitto ha ucciso nelle ultime settimane più di 3.000 persone, tra cui molti bambini, secondo i rapporti delle Nazioni Unite. Complessivamente, nella RDC più di 7 milioni di persone, tra cui 3,5 milioni di bambini, sono sfollate a causa del conflitto.
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LE FOTO Guerra al fentanyl in Messico (per far contento Trump) |
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La Guardia nazionale messicana si prepara a salire a bordo di un aereo all’aeroporto internazionale di Merida, in Messico, per dirigersi verso nord e rafforzare il confine del Paese con gli Stati Uniti (foto di Martin Zetina/Ap).
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Gli ufficiali della Guardia nazionale installano un posto di blocco alla frontiera San Ysidro per ispezionare gli automobilisti prima del loro ingresso negli Stati Uniti da Tijuana. La presidente del Messico, Claudia Sheinbaum, ha annunciato la mobilitazione di 10.000 soldati lungo il confine tra Messico e Stati Uniti come parte di un accordo con l’amministrazione di Donald Trump per evitare l’introduzione di dazi commerciali sulle merci esportate (foto di Francisco Vega/Getty Images).
Un poliziotto messicano di pattuglia sul confine settentrionale, a Ciudad Juarez. Le autorità messicane hanno avviato un’operazione di sicurezza nella regione a seguito della crescente pressione degli Stati Uniti per frenare l’immigrazione irregolare e il traffico di fentanyl (foto di Luis Torres/Epa).
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Ufficiali della Guardia Nazionale monitorano il muro di confine tra Messico e Stati Uniti a Tijuana (foto di Francisco Vega/Getty Images)
Pedoni passando davanti ai cartelloni pubblicitari di una campagna lanciata giorni fa dalla presidente messicana Claudia Sheinbaum contro l’uso del fentanyl a Città del Messico. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha sospeso i dazi contro Canada e Messico per 30 giorni in cambio di un rafforzamento militare lungo la frontiera settentrionale e meridionale degli Stati Uniti per contrastare il contrabbando di fentanyl (foto di Yuri Cortez/Afp).
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Narcolandia, dal Messico all’Australia un flusso ininterrotto |
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Non mancano, certo, le notizie: i trafficanti spingono la loro “merce” ad ogni latitudine e, quando possono, diversificano. Partiamo dal Messico con un aspetto inedito. Stato di Guanajiato, zona La Calera. I militari hanno catturato una gang specializzata nel furto di latte su ampia scala. Lo rubavano a fattorie e cisterne per poi rivenderlo annacquato (nella foto). Non si tratta di episodi isolati ma di una tendenza. Culiacan, stato di Sinaloa. Le forze di sicurezza hanno smantellato una centrale di sorveglianza usata dal cartello guidato dai figli de El Chapo. I banditi avevano sistemato telecamere per monitorare punti strategici, zone di spaccio, depositi, aree di interesse. In una stanza c’era una serie di monitor che permettevano di reagire in tempo reale a incursioni di rivali o polizia. Pacifico. Il Primeiro Comando da Capital (PCC), principale organizzazione criminale brasiliana ha aperto la rotta per portare droga in Australia usando spedizione di pollame e frutta. Il network agisce spesso in collaborazione con clan stranieri, italiani inclusi. Sempre dalle autorità australiane arriva un’altra segnalazione. I contrabbandieri riescono a “inserire” partite di droga con GPS nei container in transito nel canale di Panama. I carichi sono poi recuperati all’arrivo dai loro complici. Chissà che l’informazione non sia presto “ripresa” da Donald Trump nella sua campagna per riprendersi il passaggio strategico.
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Brucia il sud del Cile: sospetti sugli indigeni Mapuche |
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![Il pompiere Joseth Abel Espinosa, della Terza Compagnia dei Vigili del Fuoco di Ñuñoa a Santiago del Cile, ha registrato il momento in cui lui e i suoi colleghi sono entrati in una casa in fiamme. Nel filmato si vede Espinosa srotolare la manichetta ed entrare in azione mentre alcune parti della casa cadono intorno a lui prima di crollare. Tra il respiro pesante del pompiere e lo scricchiolio delle cose che bruciano, il suono non fa che aumentare la qualità terrificante del video. «Anche se la casa è andata perduta, fortunatamente nessuno è rimasto ferito», ha rivelato l’azienda GoPro nella didascalia del video. La clip ha vinto anche un premio per aver offerto un raro resoconto di prima mano di quanto i vigili del fuoco facciano per aiutare chi è in difficoltà.](data:image/gif;base64,R0lGODlhAQABAIAAAAAAAP///ywAAAAAAQABAAACAUwAOw==)
Una delle case distrutte dagli incendi in Cile
Una serie di incendi sta colpendo il Cile meridionale. Quasi certa l’origine dolosa. Il ministro dell’Agricoltura, Esteban Valenzuela, ha confermato che il governo sta indagando sulla natura dei roghi nella regione dell’Araucanía, dove si registra in questi giorni anche una ondata di calore estrema. La direttrice dell’Ente Nazionale Forestale (Conaf), Aida Baldini, è convinta che gran parte di essi siano stati appiccati intenzionalmente. «Stiamo monitorando l’intera area con gli aerei e osserviamo come, appena spento un incendio, ne appare un altro nei dintorni… Appaiono in mezzo alla foresta… Una scintilla è sempre nella direzione del vento, ma non di lato o dietro di esso», ha detto. La ministra dell’Interno e della Sicurezza Pubblica, Carolina Tohá, ha confermato che gli incendi sono «collegati a rivendicazioni territoriali», indicando i gruppi radicali degli indigeni Mapuche molto attivi nella regione dell’Araucanía. Una quindicina di persone sono state arrestate perché sospettate di aver appiccato il fuoco e almeno una donna è morta negli incendi.
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Ecuador, ballottaggio ad aprile fra destra e sinistra |
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![(LaPresse) Urne aperte per le elezioni presidenziali in Ecuador, con il presidente conservatore in carica, Daniel Noboa, che sfida la 47enne avvocatessa Luisa González, principale candidata della sinistra. González, candidata del Movimento per la Rivoluzione Cittadina dell'Ecuador, ha votato nelle scorse ore. Lei e Noboa sono i favoriti tra i 16 candidati. Tutti hanno promesso agli elettori di ridurre la criminalità diffusa che ha spinto le loro vite verso una nuova, snervante normalità quattro anni fa. L'impennata di violenza in Ecuador è legata al traffico di cocaina prodotta nei vicini Colombia e Perù. Sono oltre 13,7 milioni i cittadini ecuadoriani che hanno diritto al voto. Per vincere direttamente, un candidato deve ottenere il 50% dei voti o almeno il 40% con un vantaggio di 10 punti sullo sfidante più vicino. Se necessario, il ballottaggio si terrà il 13 aprile.](data:image/gif;base64,R0lGODlhAQABAIAAAAAAAP///ywAAAAAAQABAAACAUwAOw==)
Contributi e agevolazioni
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per le imprese
Ballottaggio il 14 aprile per le elezioni presidenziali in Ecuador. Il primo turno si è chiuso con un sostanziale testa a testa – o «pareggio tecnico» – tra il presidente in carica, Daniel Noboa, candidato del centro-destra, e la sfidante di sinistra Luisa González. Al centro della campagna elettorale resta l’ondata di violenza che ha travolto negli ultimi anni il Paese, diventato uno dei principali snodi del narcotraffico latino-americano. Noboa ha introdotto lo stato di emergenza per schierare l’esercito nelle strade e nelle carceri nel tentativo di frenare l’aumento della criminalità. Le morti violente sono diminuite ma restano a livelli record. A gennaio si sono registrati 750 omicidi.
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Il “conflitto segreto” dei naxaliti dell’India |
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(Guido Olimpio) Un conflitto lontano, quello dei naxaliti in India. Il New York Times ha dedicato una breve analisi ad una guerra costata in passato molte vittime e condotta da un movimento di ispirazione maoista. In una recente operazione nella zona boscosa di Bijapur, stato di Chhatisgarh, sono stati uccisi numerosi militanti, circa una trentina. Scontro che confermerebbe – secondo le fonti ufficiali – le difficoltà dei ribelli. Il numero delle perdite sarebbe sceso dell’86 per cento mentre la guerriglia fatica a reclutare nuovi elementi ed ha problemi di leadership. Probabile anche che i soldati abbiano usato tattiche migliori rispetto al passato, segnato da imboscate sanguinose da parte degli insorti.
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