In cella da febbraio 2024, dopo l’arresto nell’ambito dell’operazione “Codice Interno”, l’ex consigliere regionale risponderà alle domande dei pm nell’ambito del processo che lo vede imputato
Dopo aver trascorso quasi un anno nel carcere di Lanciano, in Abruzzo, Giacomo Olivieri torna a Bari. L’ex consigliere regionale, arrestato lo scorso 26 febbraio nell’ambito dell’inchiesta «Codice interno», sarà oggi in aula per rispondere alle domande dei pm Fabio Buquicchio e Marco D’Agostino, relativamente alle accuse di scambio elettorale politico-mafioso ed estorsione per il quale è detenuto in regime di alta sicurezza.
L’interrogatorio del maggio 2024
«Non mi capacito come mai mi ritrovo in 15 metri quadri con una persona che ha tutti i suoi parenti in carcere per ‘ndranghetismo, un altro che è latitante e io che sono avulso da questi contesti mi ritrovo a condividere l’alta sicurezza con gente del genere, non me l’aspettavo», disse lo scorso 6 maggio, nel corso di un interrogatorio con i pm al quale partecipò anche il procuratore di Bari, Roberto Rossi.
«La mia condotta è sempre stata ligia», aggiunse, sostenendo di non aver mai saputo che alcune persone con cui avrebbe orchestrato la campagna elettorale del 2019 (tra cui il nipote di «Savinuccio» Parisi, Tommaso Lovreglio, Gaetano Strisciuglio e Bruna Montani) sarebbero state vicino ai clan.
Il suo esame dovrebbe ruotare proprio attorno a questa sua mancata conoscenza dei legami delle diverse persone alle quali, sei anni fa, avrebbe chiesto voti per la moglie Maria Carmen Lorusso, eletta al consiglio comunale di Bari con il centrodestra e poi passata alla maggioranza che sosteneva il sindaco Antonio Decaro.
Olivieri, in quell’interrogatorio, ammise di aver dato dei buoni pasto e dei buoni benzina, oltre che un motorino («usato, costava 300-400 euro e serviva per la campagna elettorale»), in particolare a Michele Nacci – candidato in ticket con Lorusso e poi risultato il primo dei non eletti – e Bruna Montani. E non solo non avrebbe saputo delle parentele degli altri coimputati, ma avrebbe anche interrotto i rapporti con loro al termine della campagna elettorale. Una tesi, soprattutto la prima, alla quale gli inquirenti non hanno mai creduto.
I «no» ai domiciliari
Né finora Olivieri è riuscito a convincere i diversi giudici che, in varie occasioni, hanno deciso di non concedergli i domiciliari, come invece richiesto dai suoi avvocati Gaetano e Luca Castellaneta.
«In 63 anni non ho mai frequentato e non ho mai avuto a che fare con persone di malaffare, con persone mafiose o con pregiudicati. Come cittadino pensavo di aver acquistato anche dei bonus sulla mia condotta», disse ancora, ricordando anche le diverse campagne elettorali nelle quali era risultato eletto, sia al Comune di Bari che in Regione.
La carriera politica di Olivieri
Un percorso politico affrontato sia a destra che a sinistra, ma anche con «L’Italia dei valori» dell’ex pm Antonio Di Pietro. Nel 2014 fu candidato alle primarie del centrosinistra per la corsa a sindaco di Bari, poi vinte da Antonio Decaro.
L’anno successivo – per le Regionali – creò la lista «Realtà Italia» insieme all’Udc a sostegno di Michele Emiliano, nel 2019 sostenne la moglie candidata con il centrodestra. «Non c’è mai stato un contatto, una infiltrazione o qualcosa di equivoco». In mezzo, oltre alla sua professione di avvocato, ricoprì anche l’incarico di presidente della Multiservizi, la municipalizzata che si occupa del verde a Bari e che sarà sottoposta a «tutoraggio» lieve da parte della Prefettura.
Chiesta condanna a 10 anni
Da capire, dunque, se questa volta Olivieri riuscirà a convincere il gup, che però pochi mesi fa gli aveva negato i domiciliari parlando dei suoi legami, ancora recenti, con personaggi legati alla criminalità organizzata. In particolare con «il re delle rapine» Angelo Falco, al quale Olivieri avrebbe proposto una frode immobiliare sui fondi regionali.
Nei confronti dell’ex consigliere regionale la Dda ha chiesto la condanna a 10 anni , senza le attenuanti, «in considerazione del ruolo di primo piano ritagliatosi nel reperimento di voti mafiosi in tre diversi clan della città, della capacità di piegare tutto e tutti alle proprie spregevoli e bieche esigenze di profitto personale, della continua ricerca di forme di arricchimento illecito personale».
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