è legittimo il taglio della rivalutazione delle pensioni più alte

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Delusione per i pensionati che speravano di vedersi restituire i soldi tagliati con la minore rivalutazione delle pensioni decisa dal governo: la Corte Costituzionale, con una sentenza pubblicata ieri, ha stabilito che la manovra è stata legittima e ha dato torto alle due Corti dei conti che avevano sollevato una questione di legittimità costituzionale sul “raffreddamento”. A fare ricorso erano stati due ex presidi di scuola pubblica.

La Consulta ha dato ragione al governo Meloni: la legge di Bilancio per il 2023, nell’introdurre misure di «raffreddamento» della rivalutazione automatica degli assegni superiori a quattro volte il minimo Inps, «non ha leso i principi di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza posti a garanzia dei trattamenti pensionistici». Per i giudici della Consulta, il meccanismo legislativo non è irragionevole, visto che «salvaguarda integralmente» le pensioni «di più modesta entità» e, per un periodo limitato, «riduce progressivamente la percentuale di indicizzazione di tutte le altre al crescere degli importi dei trattamenti, in ragione della maggiore resistenza delle pensioni più elevate rispetto agli effetti dell’inflazione».

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LE QUESTIONI
Le questioni di legittimità costituzionale sollevate da alcune sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei Conti sono state giudicate infondate. Scrivono ancora i magistrati che le scelte del legislatore «risultano coerenti con le finalità di politica economica, chiaramente emergenti dai lavori preparatori e legittimamente perseguite, volte a contrastare anche gli effetti di una improvvisa spinta inflazionistica incidente soprattutto sulle classi sociali meno abbienti». La Corte, comunque, riconosce che, a causa della rivalutazione non integrale, i pensionati hanno subito delle perdite. La questione viene posta al legislatore: «Delle perdite subite il legislatore potrà tenere conto in caso di eventuali future manovre sull’indicizzazione dei medesimi trattamenti».

IL MECCANISMO
A finire sotto la lente della Consulta è stato il meccanismo che riguardava gli adeguamenti annuali delle pensioni, che sono stati ridotti dal governo per chi percepiva un assegno superiore a quattro volte il minimo. A sollevare le questioni di costituzionalità sono state alcune sezioni regionali della Corte dei Conti, come la Campania e la Toscana, dove aveva fatto ricorso un ex dirigente scolastico che chiedeva la perequazione integrale dei trattamenti ricevuti dal 2022 al 2024. Secondo i giudici contabili, «la penalizzazione dei titolari di trattamenti pensionistici più elevati lede non solo l’aspettativa economica, ma anche la stessa dignità del lavoratore in quiescenza». I magistrati della Corte dei conti avevano infatti sottolineato che «in tale prospettiva la pensione più alta alla media non risulta considerata dal legislatore come il meritato riconoscimento per il maggiore impegno e capacità dimostrati durante la vita economicamente attiva, ma alla stregua di un mero privilegio, sacrificabile, anche in un’asserita ottica dell’equità intergenerazionale». Una tesi che non è stata condivisa dalla Consulta, per la quale «la legge di Bilancio per il 2023, nell’introdurre misure di “raffreddamento” della rivalutazione automatica delle pensioni superiori a quattro volte il minimo Inps, non ha leso i principi di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza posti a garanzia dei trattamenti pensionistici».

LA PREOCCUPAZIONE
Esprime preoccupazione per la decisione dei giudici la Cgil. «Pur comprendendo la necessità di tutelare i pensionati con assegni più bassi, non possiamo ignorare che questo sistema comporta un’erosione del potere d’acquisto per centinaia di migliaia di pensionati, senza alcuna garanzia di recupero futuro. Non si può far cassa sulle pensioni, giustificando tagli con la necessità di politiche economiche di emergenza che si trasformano poi in misure strutturali», hanno detto la segretaria confederale Lara Ghiglione e il segretario nazionale Spi Cgil, Lorenzo Mazzoli. E hanno aggiunto: «Il meccanismo della mancata piena rivalutazione colpisce in particolare i pensionati che hanno lavorato per una vita, versando contributi importanti, pagando le tasse e mantenendo il nostro sistema di welfare e servizi».

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