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Basket Under 13 , la scienza non risolve problemi vitali
Ogni volta che ho pubblicato questo articolo sul “Caffè dei divergenti”, è stato tolto. Francesco Milazzo, creatore del sito, ha negato di averlo fatto, allora a chi non giova? Perché è stato tolto? Siamo controllati e andare contro l’intelligenza artificiale è eresia?
Fa parte della scienza e il suo scopo è “facilitare l’apprendimento” esattamente come il metodo analitico, scelto perché con la progressione didattica, si parte dai fondamentali per insegnare il gioco 5c5. Non solo. Con la progressione didattica tutti possono “insegnare” il basket, frequentando i corsi per avere la tessera.
Ci lamentiamo tutti, o quasi, della mancanza di creatività da parte dei giocatori, ma per esserlo occorre l’autonomia del ragazzo non dalla sua eliminazione. Si ottiene partendo dalla conoscenza del 5c5 fin da subito, supportato dai fondamentali. L’inizio della “tragedia” è cominciato proprio dal 1970. Io c’ero, avendo giocato negli anni ’60 e allenato dopo.
Se la conoscenza è il valore più importante della vita è bene divulgare anche questo pensiero. Gli allenatori che hanno cominciato coi corsi per la tessera dal 1970 non rinunceranno mai alla scienza per l’insegnamento del basket e il miglioramento tecnico precoce. Sono partiti col metodo analitico basato sulla facilitazione dell’apprendimento, con la progressione didattica, un’attività che equivale alla funzione dell’intelligenza artificiale.
Mi ripeto per sottolineare. Con l’intelligenza artificiale, rappresentata nel basket dalla “progressione didattica”, non si può insegnare il gioco 5c5 basato sui principi di gioco per favorire l’autonomia. La maggioranza degli allenatori ha sempre avuto come meta la ricerca del campione, utilizzando le specializzazioni tecniche precoci, “insegnate” non “apprese” con prove ed errori.
È più prezioso il campione o la conoscenza del gioco 5c5? La scienza ha avuto un grande ruolo in questo contesto, ma la tecnica “insegnata” non ce la fa ad arrivare all’arte, alla creatività nel gioco e a risolvere i problemi psicologici. Perché “sacco vuoto” non sta in piedi.
Va da sè che tutto il resto, che comprende il rapporto col giocatore, ha sempre avuto una importanza secondaria. Hanno sempre messo l’aspetto scientifico della tecnica, al primo posto, ma i problemi vitali non li risolve la scienza che procede dall’intelletto e che produce conoscenze. Quali sono i problemi vitali? Sono quelli della vita, quelli psicologici, esistenziali. La loro soddisfazione è la grande metà dell’allenatore.
Velasco, il migliore allenatore della Pallavolo di sempre, parla continuamente della psicologia del rapporto, dell’autonomia del giocatore, mentre agli allenatori italiani, non tutti naturalmente, è sempre interessato principalmente la “tecnica” supportata dalla scienza. La perfezione nell’esecuzione dei fondamentali, non la conoscenza del gioco 5c5 attraverso i suoi principi e ai suoi tempi “lunghi”.
Il “tutto e subito” ha portato alla “specializzazione tecnica” precoce che fa volare ad un livello di capacità elevate velocemente e permette alla squadra di vincere, alla sua organizzazione non alla creatività individuale. Gli allenatori diventano “creativi”, i giocatori “dipendenti”.
Stiamo allenando gli Under.13. Questo porta ad una felicità ingannevole per tutti, ma importante per i ragazzi, genitori, presidenti e dirigenti delle società sportive per la soddisfazione dei risultati ottenuti rapidamente. Quanti sono consapevoli di questo cammino? Fake news, diranno.
Quando poi si passa dal periodo giovanile a quello seniores, l’atleta senza autonomia ha delle grosse difficoltà nel superare ogni tipo di problema. Soprattutto quelli tecnici e questo è paradossale. Sicuramente le cose cambieranno, ma ai miei tempi si contavano sulle dita di una sola mano gli allenatori che consideravano i “problemi vitali” prioritari.
Nello Paratore, allenatore della Nazionale è stato il primo che ho conosciuto, poi Alberto Bucci e Dan Peterson col quale ho lavorato come assistente per 6 anni. Hanno la loro forza, come allenatori, nella la capacità di trasmettere, far comprendere la risoluzione degli enigmi della vita che appartengono a tutti, ma spesso irrisolti. Va da sé che sono principalmente conduttori di uomini che praticano lo sport. Leader essenziali, umili.
Dal 1970 in poi c’è stato il boom di clinics dove gli allenatori parlavano di tecnica cestistica e basta. Poi, oltre la tecnica, ha interessato la preparazione fisica, ma del rapporto psicologico ho sentito parlare, ai clinics, solo Alberto Bucci. Sarà un caso?
La pallavolo è avanti noi per diversi motivi, tra i quali c’è la considerazione del “gioco” (metodo globale), ma come scelta didattica “prioritaria” e l’eliminazione del metodo analitico per l’insegnamento prioritario sul gioco.
Dan Peterson ha scritto libri di ogni tipo, soprattutto di tecnica e condotto tutti i tipi di clinics possibili perché comprendeva al “volo” dove c’era la possibilità del business, ma lui è allo stesso livello di Velasco per capacità di gestire il rapporto psicologico coi giocatori. E con gli assistenti perché, a vero “leader umile” voleva la loro idea su ogni argomento.
Un fenomeno. Paratore e Peterson non possono aver giocato a Basket, siete d’accordo? La loro forza non era la capacità di insegnare i fondamentali e il gioco, che comunque conoscevano. E Alberto Bucci? È stato il più grande in assoluto per forza, potenza mentale e grande capacità di aiutare l’atleta nella risoluzione dei problemi vitali. Per questo, soprattutto, allenare è un’arte. Insostituibile dall’intelligenza artificiale.
Infatti, è la conoscenza del rapporto psicologico di cui bisogna avere interesse, cultura e talento. Il livello dove l’intelligenza artificiale non arriverà mai. Viceversa, se interessa principalmente la tecnica cestistica, ecco per tutti la “progressione didattica” del metodo analitico.
Purtroppo, si è cercato di “insegnare” in questo modo, quando è tutto da far “apprendere”. Si crea dipendenza che uccide la creatività. Paratore, Peterson, Bucci, ma non solo loro, erano interessati all’autonomia del giocatore. Velasco e tutta la pallavolo sono su un altro pianeta perché questo sport domina nel reclutamento scolastico.
Eppure, posso assicurarvi che la pallacanestro ha una potenzialità di interessamento, da parte dei bambini, schiacciante rispetto tutti gli altri sport “costruiti”. È sufficiente andare nella scuola primaria, ma per trasmettere il gioco 5c5, non l’esercizio. Impossibile diranno, non si può far giocare, la maggioranza del tempo, 5c5.
E’ solo una questione di organizzazione, innnanzitutto ci vogliono due allenatori motivati ed esperti. Poi, si rovesciano i tempi della didattica da dedicare alla tematica più importante: il gioco 5c5.
Ettore Zuccheri
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