«Canteremo unite contro la guerra»

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Due culture unite dalla musica per trasmettere un potente messaggio di pace e solidarietà dal palco dell’Ariston. La sera dell’11 febbraio in apertura della 75ma edizione del Festival di Sanremo, la cantante israeliana dalle radici ebraiche Noa e la cantante, attrice e attivista palestinese dalla cittadinanza israeliana Mira Awad, amiche da anni, insieme intoneranno l’inno pacifista Imagine di John Lennon come raccontano ad Avvenire. «Canteremo Imagine in inglese, ebraico e arabo, con un bellissimo arrangiamento mediorientale. Stiamo anche lavorando a delle parole nuove, a un messaggio da aggiungere nello svolgimento del pezzo» spiega ad Avvenire Noa che con Mira rappresentò in coppia Israele nel 2009 all’Eurovision con There must be another way, il primo brano israeliano con parole in arabo. Noa torna al Festival di Sanremo a 30 anni esatti dalla sua prima partecipazione, nel 1995, come ospite internazionale. «Sanremo è un evento enorme per la sua visibilità e sono molto felice che Carlo Conti e il suo team ci abbiano scelto per lanciare il nostro messaggio di pace» aggiunge.

Inoltre questa sera Noa sarà fra i protagonisti del “Concerto per la pace” che si terrà al Duomo di Napoli, dedicato alle Nazioni attualmente in conflitto, Israele, Palestina, Ucraina, Russia e Iran, insieme alla cantante e attivista palestinese Miriam Touka. Invece Mira Awad raggiungerà a Sanremo l’amica Noa che anticipa l’uscita del suo nuovo album, The Giver, che contiene anche un nuovo brano insieme a Mira Awad. «Questo progetto musicale – spiega Noa – nasce dalla crisi seguita al massacro del 7 ottobre, che ha scatenato una guerra su molteplici fronti, fisici, emotivi e ideologici, in Israele, Palestina e nel mondo intero. Il dolore e il lutto che stiamo vivendo hanno creato uno spazio per una riflessione profonda, che mi ha spinto a condividere i miei sentimenti, le mie idee e la mia visione attraverso la musica». Achinoam Nini, questo il suo vero nome, intravede ora una speranza nella tregua fra Israele e Hamas. «E’ sempre il tempo giusto per parlare di pace, non dobbiamo fermarci anche in mezzo ai conflitti. Come artisti dobbiamo indicare la direzione – prosegue – Adesso abbiamo questa meravigliosa opportunità del cessate il fuoco, la gioia del ritorno a casa, ma è un momento delicato. E’ stato un periodo molto difficile. Il 7 ottobre è emerso tutto il peggio della natura umana: la violenza, il razzismo l’antisemitismo e la paura che è l’origine di tutto questo. Abbiamo vissuto un terribile senso di impotenza ambedue i popoli, israeliano e palestinese, che soffrono entrambi enormemente. La sofferenza è sofferenza, non importa da che parte sta e occorre fare di tutto per cambiare».

Mira Awad, figlia di un medico arabo-palestinese cristiano e di una slavista bulgara, ha anche lei una carriera artistica incentrata sulla solidarietà. «In un momento in cui la polarizzazione e la disumanizzazione sono ai massimi storici, il nostro messaggio di unione sembra più urgente che mai – ci risponde da Londra dove risiede -. Noa e io proveniamo da fronti opposti della narrazione israelo-palestinese e, sebbene non siamo d’accordo su tutta la terminologia, siamo assolutamente d’accordo sul punto più cruciale: dobbiamo fare tutto ciò che è in nostro potere oggi per creare un futuro migliore in cui tutte le parti possano prosperare». Il 7 ottobre anche per lei è stato «devastante. Ho pianto, mi sono addolorata e preoccupata per i miei amici e la mia famiglia in Israele, ma ero altrettanto preoccupata per la gente di Gaza. Sapevo che sarebbe seguita una rappresaglia israeliana e che il ciclo di spargimento di sangue sarebbe cresciuto. Come attivista per la pace, scelgo ogni giorno di svegliarmi e alimentare speranza, empatia e compassione. Questo è stato il mio percorso da molti anni. Dal 7 ottobre, la mia fede e la mia resilienza sono state messe alla prova più di una volta, ma non riesco davvero a vedere un’altra via d’uscita se non quella di lavorare per la pace. Il 7 ottobre è successo perché non siamo riusciti a risolvere il conflitto. Abbiamo permesso che persistesse uno status quo di occupazione e oppressione. Prego che questa volta riusciremo a raggiungere una risoluzione che garantisca libertà e sicurezza per tutte le persone tra il fiume e il mare. Altrimenti, il ciclo di violenza e rappresaglia continuerà».

Nonostante tutto, le due artiste cercano di tenere la barra dritta grazie, come aggiunge Noa. «In questi tempi molto duri io decido di non perdere focus su quello che è il mio messaggio da 30 anni e che oggi è diventato più forte. Questa catastrofe ha reso chiaro a tutti l’importanza del dialogo, del rispetto, del non avere paura di guardare negli occhi del tuo nemico e cercare di capire cosa desiderano, di trovare un modo di vivere insieme. La pace è un processo che devi imparare, e io sono orgogliosa di essere la voce della pace». Anche se «il messaggio di pace è attaccato da tanta gente, per me non ci sono altre opzioni. Tutti sono responsabili e ora abbiamo bisogno di leader capaci di trovare una soluzione pacifica, anche gli esponenti della comunità internazionale» prosegue Noa che annuncia un grande evento per la pace in Terra Santa. «L’8 e 9 maggio avremo a Gerusalemme una conferenza per la pace organizzata dalla gente comune e che include israeliani, palestinesi e amici internazionali. E’ la gente che deve agire. Non vogliamo morire, con la guerra siamo tutti perdenti, l’unica vittoria è iniziare a lavorare per un grande accordo regionale che includa tutti».

La situazione è profondamente complessa aggiunge Mira Awad: «In Israele e Palestina, le persone sono sopraffatte dal loro trauma e molte non hanno la capacità di guardare oltre il loro dolore per vedere l’altro lato. Ciò che è più difficile da comprendere è la rapidità con cui le persone al di fuori della regione prendono posizione e contribuiscono alla disumanizzazione degli altri. Non abbiamo bisogno di più rabbia. Abbiamo bisogno che la comunità internazionale agisca come una forza imparziale, guidandoci verso una risoluzione. Invece di stare dalla parte di Israele o della Palestina, state dalla parte dell’umanità e della giustizia».

La guerra ha rinsaldato, invece che dividere, il rapporto fra le due artiste che collaborano insieme da 25 anni. «E continueremo a cantare insieme – aggiunge Noa – . Mira e io siamo sempre state amiche, noi non ci siamo mai perse. Purtroppo non è vero per tutti i miei amici palestinesi, molti non vogliono avere più contatti e per me è tragico. Anche se la pensiamo diversamente dobbiamo lavorare insieme per lo stesso risultato». «Ci saranno sempre odiatori e guerrafondai – aggiunge la Awad -. Ecco perché noi, i pacificatori, dobbiamo parlare. Se restiamo in silenzio, l’arena sarà piena solo di odio. È facile essere trascinati nella disperazione o nella rabbia, ma mi rifiuto di lasciare che ciò accada».

Anche quando soffre di fronte alle immagini di Gaza. «Le immagini di distruzione e migliaia di famiglie sfollate senza un posto dove andare hanno riportato alla mente il trauma di mio padre del sfollato 1948. Lui guarda la tv e piange, e io piango nel vederlo piangere. Il popolo palestinese ha subito la pulizia etnica nel 1948 e la sta vivendo di nuovo ora. È insopportabile da guardare, soprattutto quando sembra che nessuno intervenga per fermarla o per ritenere qualcuno responsabile». Ma occorre fare dei distinguo, precisa: «È fondamentale distinguere tra autorità e civili. Molti israeliani si oppongono alla guerra e condannano apertamente le uccisioni, la fame, gli sfollamenti e le azioni attuali in Cisgiordania. Le generalizzazioni sono pericolose. I responsabili degli omicidi di massa e della distruzione a Gaza dovrebbero essere ritenuti responsabili, ma in tribunale, non attraverso la punizione collettiva di tutti gli israeliani o gli ebrei. Lo stesso vale per i responsabili delle atrocità del 7 ottobre: ​​devono essere catturati e ritenuti responsabili, ma non attraverso la punizione collettiva di civili palestinesi innocenti. La distinzione tra militanti e civili, o stati e cittadini, è fondamentale. Non dobbiamo mai lasciare che le incessanti campagne di disumanizzazione offuschino questa linea, né per i palestinesi né per gli israeliani. La comunità internazionale deve mirare non solo a porre fine alla guerra, ma anche a spingere per una risoluzione duratura, in cui tutti tra il fiume e il mare siano liberi, sicuri e godano di uguali diritti».

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