Vive in India il 75% delle tigri del mondo: 3.600 su 5.000. Storia di un esempio di conservazione efficace

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di
Silvia Morosi

Lo studio pubblicato su Science: «La presenza raddoppiata negli ultimi 10 anni. Il fattore più importante non è la densità umana quanto l’attitudine delle persone alla convivenza con questi animali»

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La popolazione di tigri più numerosa al mondo si trova in India. Secondo uno studio pubblicato su «Science», dall’inizio degli anni 2000 il Paese è riuscito con successo nell’obiettivo di estendere la presenza del felino a rischio di estinzione nel suo territorio e a raddoppiarne la presenza, arrivando a contare più di 3.600 esemplari (pari al 75% delle circa 5mila tigri del mondo). Questi animali vivono oggi su un’area di 138.200 chilometri quadrati, circa la metà della superficie del Regno Unito, insieme a circa 60 milioni di persone. Ma come è stato possibile raggiungere questo esempio di conservazione efficace? Come richiama la ricerca, sono state messe in campo numerose azioni per salvaguardare i grandi felini dal bracconaggio e dalla perdita dell’habitat, mettendo in sicurezza le prede, riducendo i conflitti tra uomo e fauna selvatica e sostenendo anche economicamente le comunità locali. 

I FATTORI CHE INFLUENZANO LA CONVIVENZA 
«Spesso si pensa che la densità abitativa sia un ostacolo all’aumento della popolazione delle tigri, ma il nostro studio dimostra invece che il fattore più importante non è la densità umana quanto l’attitudine delle persone», chiarisce alla Bbc Yadvendradev Jhala dell’Indian National Academy of Sciences di Bangalore e leader del team che ha condotto la ricerca, citando come esempio la Malesia, Paese economicamente prospero con una densità di popolazione inferiore a quella dell’India, dove la popolazione di tigri non è stata ripristinata con successo. Gli studiosi hanno anche scoperto che il livello di convivenza con le tigri varia in India, a seconda di fattori economici, sociali e culturali: in stati come Madhya Pradesh, Maharashtra, Uttarakhand e Karnataka, questi animali condividono con gli esseri umani spazi in densità elevate; nelle regioni con una storia di caccia alla selvaggina o bracconaggio, e in alcuni dei distretti più poveri come Odisha, Chhattisgarh, Jharkhand e l’India nord-orientale, sono assenti o estinte. 
In altre parole, notano i ricercatori, «la coesistenza delle tigri con gli esseri umani avviene spesso in aree economicamente prospere, che traggono vantaggio dal turismo legato alle tigri e dai risarcimenti governativi per le perdite dovute ai conflitti».




















































LA GUERRA CHE COLPISCE ANCHE GLI ANIMALI
Ma lo sviluppo può rivelarsi un’arma a doppio taglio, quando «vengono portati avanti cambiamenti nell’uso del territorio che danneggiano gli habitat delle tigri, nella direzione di un’intensiva urbanizzazione. Pertanto – evidenziano- adottare una prosperità rurale inclusiva e sostenibile al posto di un’economia basata su un cambiamento intensivo dell’uso del suolo può favorire il recupero delle tigri, in linea con l’ambientalismo e la sostenibilità moderni dell’India». La ricerca si concentra, infine, anche sul ruolo dei conflitti armati che aumentano significativamente il rischio di estinzione delle tigri. A livello globale, infatti, l’instabilità politica ha portato a un drastico declino della fauna selvatica, poiché i militari sfruttano l’ambiente per finanziarsi, trasformando diverse aree senza controllo in focolai di bracconaggio come accaduto non solo con le tigri nei distretti colpiti dal conflitto maoista, come le riserve di Chhattisgarh e Jharkhand, ma anche con i rinoceronti in Nepal. Le riserve in cui il conflitto è stato sotto controllo, ovvero Nagarjunsagar-Srisailam, Amrabad e Similipal, «hanno già mostrato segni di ripresa. Con il miglioramento della stabilità politica, queste aree potrebbero assistere alla ripresa delle tigri. Recuperare i grandi carnivori in aree affollate e povere – insomma – è una sfida», concludono i ricercatori, respingendo anche le accuse relative a un crescente conflitto tra uomo e fauna selvatica: «Ogni anno perdiamo 35 persone a causa degli attacchi delle tigri, 150 a causa dei leopardi e altrettante a causa dei cinghiali. Inoltre, 50mila persone muoiono per morsi di serpente. E poi circa 150mila perdono la vita ogni anno in incidenti automobilistici. Oggi le morti umane causate dai predatori non fanno più parte della normalità e quando accadono finiscono sui titoli dei giornali. Non dobbiamo dimenticare che all’interno delle riserve è più probabile morire per un incidente d’auto che per un attacco di tigre», ricorda Jhala.

2 febbraio 2025 ( modifica il 2 febbraio 2025 | 09:35)

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