Non è Marlon Brando. Non ha un accento italo-americano-siciliano. Non ha neanche bisogno di usare le protesi di ovatta come l’attore protagonista del Padrino, nell’indimenticabile interpretazione di Don Vito Corleone. Però eliminando tutti gli elementi più pittoreschi e cinematografici, il metodo è più o meno quello. Donald Trump, il neopresidente americano, tratta con alleati e avversari usando lo stesso meccanismo, un sistema di controllo del mondo con l’aggravante di un metodo mafioso. Messico, Canada, Panama, Groenlandia, Ucraina, Cina e Ue: per lui tutti pari sono. Il metodo Trump funziona più o meno così. Io sono forte, economicamente e militarmente, ho i miei obiettivi, sono in contrasto con i tuoi ma non mi interessa, voglio raggiungerli lo stesso. Quindi prima di sedermi al tavolo dei negoziati ti mollo un pugno. Se non vuoi trattare te ne do un altro, fino a quando non accetti di sederti. E anche quando ti siedi il ricatto, economico e militare, va avanti, fino a quando non inizio a essere soddisfatto. A quel punto, inizio a farti vedere la carota ma impugnando sempre il bastone, in modo tale da tenerti sempre sotto scacco, almeno fino a quando non raggiungo definitivamente il mio obiettivo. Solo in quel momento ti sarai guadagnato la mia protezione, subordinata sempre al fatto che tu accetti di rigare dritto e “pagare” per la mia amicizia. Una modalità che purtroppo qui in Italia conosciamo molto bene – il pizzo chiesto dalle mafie più o meno segue gli stessi principi. Quello che inquieta è che venga adottato dal capo della prima democrazia liberale mondiale. Con gli Usa che si trasformano da poliziotto del mondo a boss planetario.
Se andiamo a mettere in fila quello che è successo nelle ultime 24 ore in tema di dazi, l’evidenza empirica avvalora il ragionamento generale, basta seguire un processo logico di tipo induttivo. Trump firma tre ordini esecutivi per imporre dazi a Messico (25%), Canada (25%) e Cina (10%). Cioè metaforicamente dà un pugno ad alleati (i primi due) e avversari (il terzo). A questo punto gli alleati prima minacciano di dare a loro volta un pugno (vedi gli strali del presidente Justin Trudeau di imporre contro-dazi alle merci americane) ma siccome sono meno forti, subito abbassano la cresta e iniziano a trattare. Del resto Trudeau deve salvare la sua economia che dipende fortemente dalle esportazioni verso l’America, con uno scambio commerciale in positivo per 55 miliardi l’anno. Stessa cosa per la presidente messicana Claudia Sheinbaum, che ogni anno incassa dai traffici con gli Usa ben 157 miliardi di dollari. Quindi ecco che la trattativa si apre e si conclude con la capitolazione dei due, concedendo a Trump tutto quello che vuole: sia Trudeau che Sheinbaum promettono agli Usa di schierare ben 10mila soldati ai propri confini per controllare sia il flusso dei migranti illegali che quello delle droghe, in particolare quella più pericolosa ossia il fentanyl. A quel punto Trump cosa fa? Sigla il nuovo patto e la storia finisce lì? Manco per idea. Gli concede solo la sospensione dei dazi per un mese, sospensione da prorogare poi di volta in volta. Insomma, se Canada e Messico “pagano” le loro cambiali e rigano dritto, allora avranno la protezione degli Usa. Altrimenti si riparte con i pugni. Un metodo, questo, che serve anche da monito per altri alleati, come ad esempio l’Unione Europea, anch’essa sotto la minaccia di dazi e anch’essa terrorizzata di perdere il surplus commerciale di 213 miliardi di dollari annui. Non a caso i vertici Ue già sono pronti alle concessioni: più armi e più gas americani da comprare da qui in avanti pur di evitare la guerra commerciale.
Questo meccanismo è stato fruttuoso per Trump anche con Panama. Le minacce verso uno stato sovrano di prendere – anche con la forza – il Canale, vitale per il commercio e la sicurezza degli Stati Uniti, sono bastate per spezzare gli accordi che il piccolo stato centramericano ha chiuso con la tanto odiata Cina. È notizia di stanotte che Panama ha deciso di non rinnovare il memorandum sulla Via della Seta firmato negli anni scorsi con Pechino. Già, e la Cina? Come si comporta? Finora è l’unica che non ha ceduto al diktat americano, anche perchè è l’unica superpotenza che riesce a tenere testa all’America, dal punto di vista militare, economico ma soprattutto dei metodi. Xi Jinping ha deciso di mettere subito dei controdazi alle merci americane, quindi ha restituito il pugno. Ora, tocca a Trump la prossima mossa: altro pugno o trattativa? Dipende da se e quando i due imperi troveranno un nuovo equilibrio, un po’ quello che succede a due clan criminali che si fronteggiano: prima o poi ogni guerra di mafia finisce con un nuovo assetto di potere. Nel frattempo bisognerà vedere chi ne farà le spese, e purtroppo l’Europa è fortemente indiziata.
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