Caro energia, perché gli aumenti non sono solo colpa del prezzo del gas

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Conto e carta

difficile da pignorare

 


A gennaio il prezzo dell’energia è cresciuto del 27,8 per cento e nei prossimi mesi potrebbe aumentare ancora. Non è solo colpa dei rincari della materia prima: per l’Italia pesano gli oneri di gestione, a causa di un rinnovo molto generoso delle concessioni a Enel

Sul nostro paese è tornato lo spettro del caro energia: a gennaio, Istat riporta che i prezzi dei beni energetici regolamentati sono aumentati del 27,8 per cento rispetto allo stesso mese dello scorso anno. Si tratta di una variazione più che doppia rispetto a quella registrata tra dicembre 2023 e dicembre 2024. È proprio l’istituto di statistica a sottolineare come l’inflazione generale all’1,5 per cento rispetto a un anno fa sia stata trainata soprattutto dal prezzo dell’energia.

Stiamo tornando al 2022? Dobbiamo aspettarci rincari da record nei prossimi mesi? Non è detto che sia così, anche perché i fattori che stanno portando all’aumento dei prezzi sono diversi rispetto a quanto avvenuto ormai quasi tre anni fa. Se è vero che il prezzo del gas, che influenza fortemente quello della bolletta elettrica, è in crescita, non è detto che il costo della materia prima sia il principale fattore di cui dovremmo preoccuparci nei prossimi mesi. Anche perché i livelli sono decisamente più bassi rispetto al periodo della crisi energetica: il picco fu di 340 euro per megawattora toccato nell’agosto 2022, oggi siamo a 52 euro.

Finanziamenti e agevolazioni

Agricoltura

 

Le concessioni della rete  

Da tenere sott’occhio sono invece alcune questioni legate alla concorrenza e alla distribuzione degli oneri. Il primo punto riguarda la gestione della rete: in legge di bilancio, il Governo ha deciso di prorogare per vent’anni la concessione per l’uso della rete elettrica, mantenendola in mano a Enel. Questa scelta è passata in sordina, ma si è fatta notare negli ambienti della politica: gli assessori allo sviluppo economico e all’ambiente della Regione Veneto, Roberto Marcato e Giampaolo Bottacin, hanno per esempio inviato una lettera al loro gruppo parlamentare, la Lega, e al leader Matteo Salvini per protestare contro questa decisione. Le ragioni di questa protesta dipendono in gran parte dalla questione dell’autonomia: come scrivono nella lettera, a seguito della legge sull’autonomia differenziata, le regioni «necessitano di leve economiche per lo sviluppo dei territori amministrati». Insomma, il governo del Veneto vorrebbe mettere le mani sulla gestione della rete elettrica regionale, in modo da trarne profitto e finanziare le maggiori spese dovute all’autonomia.

L’assenza di concorrenza fa lievitare i prezzi

Al di là di questioni di campanilismo energetico, la scelta di assegnare senza gara la concessione può avere importanti conseguenze sui prezzi. Innanzitutto, proprio come avviene con i taxi, le farmacie o i balneari, una maggiore apertura alla concorrenza tende a far scendere il prezzo finale pagato dal consumatore. Mentre, se un operatore continua a controllare le concessioni energetiche senza temere l’arrivo di un concorrente che potrebbe prenderne il posto, non ha alcun incentivo a lavorare sui prezzi o sull’efficientamento della rete. Nel mercato dell’energia va considerato anche l’altro lato della medaglia: quello dei canoni, che entrano nelle casse dello Stato e finanziano la fiscalità generale. Una maggiore concorrenza potrebbe portare benefici sia in termini di minore prezzo, sia in termini di maggiore gettito dai canoni della concessione. Se il messaggio che si manda, prorogando senza grandi pretese la concessione per vent’anni, è che lo Stato non ha intenzione di agire su queste leve, allora è difficile ottenere grandi risultati in questo senso.

Quando si parla di energia occorre comunque considerare che si tratta di un settore strategico: la concorrenza di solito funziona, ma in alcuni casi può portare a inefficienze. L’esempio più classico è quello delle ferrovie inglesi, che si svilupparono con moltissimi operatori diversi a gestire singole tratte, con regole, tariffe e qualità del servizio diverse. La prospettiva di una rete spezzettata nella gestione tra regioni, in questo senso, non è così rosea. Proprio per il ruolo strategico dell’infrastruttura energetica, mantenere lo stesso gestore nel tempo può essere una scelta opportuna, anche perché il settore richiede investimenti e pianificazione di lungo periodo e mettere le concessioni a gara troppo spesso potrebbe spingere le aziende che le detengono a concentrarsi sul profitto nel breve periodo, dato che i ricavi futuri sarebbero più in bilico.

Perché il costo delle concessioni finisce in bolletta

La grossa criticità nella decisione del Governo, però, non sta nella limitazione della concorrenza in sé (molti altri paesi impongono restrizioni al mercato dell’energia), ma nella decisione di modificare il modo in cui verrebbe contabilizzata la spesa per il canone delle concessioni. Finora, infatti, veniva considerata un semplice costo a carico dell’azienda concessionaria, mentre con il nuovo emendamento diventerebbe un investimento. Il problema? La legge prevede che il costo degli investimenti, di solito considerati una spesa per l’efficientamento della rete, siano a carico del consumatore finale. Si tratta dei famosi oneri di gestione, un peso molto rilevante sulla bolletta che potrebbe crescere ulteriormente a causa di questa modifica delle regole di contabilizzazione.

Non solo significherebbe un rincaro sulle tasche di cittadini e imprese, ma anche una garanzia di maggiore ricavo per le aziende energetiche, che possono già vantare margini molto elevati. In caso di un aumento del prezzo dell’energia, infatti, crescono i ricavi, ma anche i costi per chi rifornisce la rete. Se il rincaro è invece legato all’aumento degli oneri dovuto a una nuova contabilizzazione dei canoni (una spesa che Enel già affronta), l’azienda aumenterebbe la redditività, senza incidere sui costi.

Insomma, con questa nuova norma daremmo a chi gestisce la rete, che già vanta margini vicini al 50 per cento, un’ulteriore occasione per scaricare sulla collettività i costi, mantenendo invariati i ricavi.

© Riproduzione riservata



Source link

Microcredito

per le aziende

 

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link