Caso Almasri, il ministro Carlo Nordio: grossolane contraddizioni nel mandato di arresto

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Nel caso Almasri sono state commesse «tantissime incertezze, imprecisioni e grossolane contraddizioni» tanto che poi la Corte Penale Internazionale ha pubblicato un nuovo mandato di arresto il 24 gennaio, pochi giorni dopo il rimpatrio del libico per far rientrare «il pasticcio». Queste le parole del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, durante l’informativa alla Camera (che poi sarà ripetuta anche al Senato) riguardo la vicenda legata alla scarcerazione del generale libico, accusato di torture e crimini contro i migranti, con il collega degli Interni, Matteo Piantedosi. I due ministri si sono concessi al Parlamento dopo che la prima informativa calendarizzata sul caso Almasri è stata cancellata, a seguito dell’avviso di garanzia per favoreggiamento e peculato arrivato agli stessi ministri, alla premier Giorgia Meloni e al sottosegretario Alfredo Mantovano.

In verità le opposizioni avevano chiesto fosse la presidente Meloni a riferire in Aula ma «i due ministri sono in grado di garantire la massima informazione» ha assicurato il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani.

Il cortocircuito delle procedure

Il guardasigilli ha infatti ricostruito gli elementi giuridici che hanno portato al cortocircuito delle procedure. Si parte dal mancato coinvolgimento del ministero della Giustizia italiano «a cui la comunicazione dell’arresto è avvenuta ad arresto già fatto», ma il dicastero «non è un passacarte, è un organo politico che deve meditare sul contenuto di queste richieste in funzione di un eventuale contatto con altri ministeri e funzioni organo dello Stato». 

Inoltre «il mandato di arresto è arrivato domenica 10 gennaio alle ore 9.30 con una notizia informale e l’arresto trasmessa via email da un funzionario Interpol alle ore 12.37, sempre domenica: una comunicazione assolutamente informale, priva di dati identificativi e priva del provvedimento in oggetto e delle ragioni sottese. Non era nemmeno allegata la richiesta di estradizione». E ancora, continua Nordio, «il mandato era in lingua inglese senza essere tradotto e con vari allegati in lingua araba» ma soprattutto «si è registrato un vizio assoluto nella struttura del reato indicato, perché il tempo del perdurare dei reati terribili oscillava dal 2011 al 2015».

Tanto che appunto la Cpi è tornata a riunirsi il 24 gennaio per cambiare sostanzialmente la versione del mandato aggiornando i capi di imputazioni, restringendo l’orizzonte al 2015.  Non sarebbe stato possibile «non evidenziare e rilevare queste anomalie, di cui si discuterà nelle sedi appropriate». Ciò che «mi colpisce è il fatto che parte della magistratura abbia sindacato le nostre scelte sul caso senza neanche leggere le carte: se è un modo di rallentare le nostre riforme non funzionerà» ha concluso il ministro. 

Gli spostamenti in Europa del generale libico

D’altro canto, il ministro dell’Interno Piantedosi è intervenuto sul caso dell’arresto e del rilascio di Almasri, ricostruendo gli spostamenti in Europa del generale libico e il suo arresto in Italia: dall’ingresso nell’area Schengen il 13 gennaio al controllo della sua auto su terreno tedesco il 15 gennaio, fino alla richiesta della Cpi nella notte del 18 gennaio al Segretariato generale Interpol di Lione di sostituire la nota di diffusione blu (sola richiesta dii informazioni, ndr) con una nota di diffusione rossa (ovvero contenente indicazioni per l’arresto) rivolta, solo a questo punto, anche all’Italia. «A tale flusso informativo, tutto concentrato in poche ore, ha fatto seguito la tempestiva attività delle articolazioni centrali e territoriali della Polizia di Stato. La notevole professionalità e la spiccata capacità operativa del personale impegnato, che ringrazio, hanno consentito il rapido rintraccio e l’arresto di Almasri».

Però, per i vizi di forma suddetti, l’arresto non poteva essere confermato e allora «per motivi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato ho decretato l’espulsione del generale Almasri, anche con rapidità dati gli alti profili di rischio legati alla gravità dei reati di cui è accusato».
Il ministero Piantedosi ha voluto infine smentire «nella maniera più categorica, che, nelle ore in cui è stata gestita la vicenda, il Governo abbia ricevuto alcun atto o comunicazione che possa essere, anche solo lontanamente, considerato una forma di pressione indebita assimilabile a minaccia o ricatto da parte di chiunque, come è stato adombrato in alcuni momenti del dibattito pubblico sviluppatosi in questi giorni. Al contrario, ogni decisione è stata assunta, come sempre, solo in base a valutazioni compiute su fatti e situazioni (anche in chiave prognostica) nell’esclusiva prospettiva della tutela di interessi del nostro Paese».

Il caso Almarsi

La ricostruzione dei fatti

Il capo della polizia giudiziaria libica accusato dalla Cpi di crimini contro l’umanità e crimini di guerra, dopo 12 giorni di libera circolazione in Europa, è stato arrestato a Torino il 18 gennaio per poi essere espulso con procedura d’urgenza e riportato a Tripoli con un aereo di Stato il 21 gennaio.

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Ma la storia è molto più complicata. Tutto è iniziato nell’ottobre del 2022 quando la Corte dell’Aja chiede l’arresto di Almasri per crimini di guerra dal 2011 (omicidi, torture, abusi sessuali, violenze sessuali), anche se il provvedimento di arresto viene emesso soltanto il 18 gennaio di quest’anno in urgenza, su segnalazione della polizia tedesca alla Cpi: Almasri è in Europa e ha preso un’auto a Monaco per raggiungere l’Italia.

Il mandato viene inviato a sei Paesi europei e dopo appena 24 ore il libico viene arrestato dalla polizia in albergo a Torino, appena rientrato dallo stadio per vedere Juventus-Milan.

L’incarcerazione però, a causa di una questione procedurale, dura poco più di 48 ore. La corte di Appello di Roma e anche il procuratore generale sono d’accordo: l’arresto è stato effettuato di iniziativa dalla polizia quando invece la procedura prevedeva un passaggio obbligatorio con il ministero della Giustizia. Non appena Almasri esce dal carcere viene quindi notificato (per motivi di sicurezza ha evidenziato la premier) un decreto di espulsione firmato dal ministro degli Interni Piantedosi. E con un aereo di Stato viene rimpatriato in Libia. 

I fascicoli aperti

Le condotte di Nordio, Piantedosi, Mantovano e Meloni non hanno convinto però l’avvocato Luigi Li Gotti – difensore di pentiti di mafia, una lunga militanza nell’Msi, poi sottosegretario nel governo Prodi – che presenta dunque alla procura di Roma un esposto nel quale si chiede di indagarli per favoreggiamento e peculato. Non solo ritiene che con il loro comportamento omissivo abbiano favorito la fuga di un pericoloso criminale ma anche che hanno speso illecitamente soldi pubblici mettendo loro a disposizione l’aereo dei servizi.

A sua volta, il procuratore di Roma, Francesco Lo Voi, ritiene non «manifestamente infondata» la denuncia dell’avvocato Li Gotti. E così procede all’iscrizione nel registro degli indagati di Meloni e gli altri denunciati, avvisando tutti i coinvolti immediatamente e trasferendo gli atti al tribunale dei ministri che ha novanta giorni per chiudere le indagini. In caso di richiesta di prosecuzione delle indagine servirà un’autorizzazione del Parlamento, su richiesta della Procura di Roma.

Un altro esposto è stato poi aperto successivamente sempre su Meloni, Mantovano, Piantedosi e Nordio: una vittima delle torture di Almasri, Lam Magok Biel Ruei, ha deciso di denunciare i suddetti esponenti del governo italiano per «favoreggiamento» e per aver «sottratto il torturatore libico alla giustizia».

Ipotesi di ripristino dell’immunità parlamentare

Prende quota intanto l’ipotesi di un ddl ad hoc per ripristinare la vecchia immunità parlamentare, prevista nell’articolo 68 della Costituzione e poi modificata nel 1993, con l’obiettivo di ristabilire un equilibrio tra i poteri. Così, spiega il portavoce di Forza Italia, Raffaele Nevi, si eviterebbero sul nascere casi come quello «della premier e dei ministri indagati e subito sottoposti al vaglio del Tribunale dei ministri per un esposto sulla vicenda Almasri. È ora di piantarla con i pm che si dedicano tutto il giorno a inseguire i politici».

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Gli italiani divisi sul caso Almasri

Il caso Almasri e l’indagine che riguarda la condotta della premier Meloni, dei ministri Nordio e Piantedosi e del sottosegretario Mantovano è conosciuta dal 72% degli italiani, emerge da un sondaggio Tecnè.

Sulle ragioni dietro l’indagine gli intervistati sono di fatto divisi a metà: per il 43% il comportamento del magistrato che ha firmato l’atto giudiziario nei confronti degli esponenti del governo è pretestuoso, per colpire l’esecutivo, mentre per il 40% è legittimo. Allo stesso tempo, per il 41% degli italiani l’avviso di garanzia a Meloni e ad altri membri del governo per il rimpatrio di Almasri rappresenta una reazione alla riforma del governo sulla separazione delle carriere.

Infine, alla domanda se una parte della magistratura usi il proprio potere in modo improprio per condizionare le scelte del governo, il 44% ha risposto di sì, il 40% di no. (riproduzione riservata)

Articolo in aggiornamento



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