“Fare squadra e rendere il mondo un posto migliore”

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Yaron Sideman, ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, riflette sull’importanza del dialogo ebraico-cristiano. In questa intervista parla anche delle sfide globali dov’è possibile collaborare con la Chiesa: «Il cambiamento climatico, la sicurezza alimentare, la sicurezza idrica, questioni che riguardano persone in tutto il mondo sui cui disponiamo di tecnologie significativamente avanzate»

Yaron Sideman di Israele presso la Santa Sede in visita all’arcivescovo di Firenze Gherardo Gambelli

Yaron Sideman è da alcuni mesi ambasciatore di Israele presso la Santa Sede. In occasione di una visita privata all’arcivescovo di Firenze Gherardo Gambelli lo abbiamo incontrato e gli abbiamo rivolto alcune domande.

Ambasciatore Sideman, nel 2025 ricorre il 60° anniversario della pubblicazione della dichiarazione «Nostra Aetate» del Concilio Vaticano II (1962-1965), che ha aperto una nuova era di dialogo ebraico-cristiano. È un documento attuale ancora oggi?

«Lo è assolutamente, si tratta di uno storico cambio di prospettiva nelle relazioni tra cristiani ed ebrei. Impone un cambiamento da un discorso di odio a un discorso di rispetto e penso che abbia influenzato un profondo cambiamento che è percepito ancora oggi. Ad esempio dubito che senza questo documento sarebbero state realizzate relazioni con Israele, quindi è particolarmente importante. Sicuramente se si guarda alla dichiarazione da una prospettiva di 2000 anni di relazioni, che hanno visto molti alti e bassi: in quel contesto è una rivoluzione, ma è un punto di partenza e non di arrivo. Ciò che è importante capire è che questo dialogo deve continuare così che i prossimi 2000 anni vedano un dialogo basato sulla fiducia, sul rispetto, sull’amicizia, sull’apprendere e sul rispettarsi reciprocamente tra i due popoli e le due religioni. Questo 60° anniversario è una perfetta opportunità per impegnarsi con maggiore forza e riprendere il dialogo e forse anche per modellarlo in modo da sostenere nuove sfide e da aiutare nell’affrontarle piuttosto che caderne vittima».

Come si può incrementare il dialogo in un clima generale di conflitti?

«Il dialogo è tra gli ebrei e i cristiani e i cattolici. Metà della popolazione ebrea nel mondo oggi vive nello Stato di Israele. Quindi deve essere fatto in modo tale da incorporare, secondo me, il fatto che Israele è la nazione degli ebrei. Non si può separare il dialogo con il popolo ebraico con quello con lo Stato ebraico, questo deve essere tenuto in considerazione. Penso che debba essere ampliato per rappresentare uno spettro quanto più ampio possibile del cristianesimo e uno spettro altrettanto ampio di ciò che è il giudaismo. Più lo allarghi, migliori sono le sue fondamenta. Penso che dovrebbe essere ampliato nella sua portata, nei suoi contenuti e nell’affrontare le questioni, in modo coraggioso e onesto».

Qual è il compito dell’ambasciatore d’Israele presso la Santa Sede a 30 anni dall’allacciamento dei rapporti tra i due stati celebrati nel 2024?

«Abbiamo ricordato il significato storico della “Nostra Aetate” che si traduce nell’importanza storica di stabilire relazioni con lo Stato ebraico. Quando guardiamo alla prospettiva di 2000 anni di relazioni tra ebrei e cristiani, stabilire relazioni con Israele è un punto di connessione critico. Il mio compito è rendere questa connessione significativa, infondendo contenuti, stabilendo partenariati e rapporti con il mondo cristiano cattolico in aree di reciproco interesse. Quindi, ad esempio, il cambiamento climatico, la sicurezza alimentare, la sicurezza idrica, questioni che riguardano persone in tutto il mondo e nelle quali la Chiesa è molto coinvolta e su cui Israele dispone di tecnologie significativamente avanzate. Sono esempi di temi su cui possiamo fare squadra, sfruttare insieme le risorse e rendere il mondo un posto migliore e più sicuro in cui vivere per tutti».

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Sono tante le sfide globali che deve affrontare l’umanità, ha citato la crisi climatica. Che tipo di collaborazioni tra Israele e Santa Sede ci può essere su questo versante?

«Prima di tutto è una sfida globale: il 2024 è stato registrato come l’anno più caldo di sempre a livello globale. Abbiamo visto incendi, tifoni, innalzamento dei livelli del mare, tutto questo è una sfida globale che richiede due cose: che gli Stati rispettino gli standard ecologici sulle emissioni di carbonio, sempre più rigorosi perché la situazione non peggiori, e che ci siano innovazioni tecnologiche per aiutare le comunità
che soffrono le conseguenze del cambiamento climatico. Israele possiede gran parte di queste tecnologie e le condivide. Uno dei pilastri degli accordi di pace e degli accordi di normalizzazione che Israele ha in Medio Oriente riguarda le sue capacità tecnologiche e la possibilità di condividere e aiutare ad affrontare alcune di queste sfide. Penso che sia qualcosa che possiamo fare insieme alla Chiesa cattolica su larga scala, per aiutare le comunità di tutto il mondo. Tra l’altro, anche durante la guerra quando tutta l’attenzione e le risorse sono dedicate all’auto-sopravvivenza, abbiamo comunque partecipato in maniera importante alla Cop29 di Baku, lo scorso novembre. Abbiamo firmato tanti accordi, stretto tante partnership, perché questo è un problema che Israele riconosce come di vitale importanza non solo per noi stessi e per la regione, ma davvero per il miglioramento del mondo intero».

Il Papa ha più volte richiamato nei suoi discorsi la crisi in Terra Santa, terra delle religioni abramitiche, che dopo il 7 ottobre ha subito una nuova crisi. Lei cosa pensa a questo proposito?

«Prima di tutto bisogna inquadrare cosa è accaduto il 7 ottobre: sono fatti che hanno conseguenze sulla Terra Santa e sul Medio Oriente, ma prima di tutto è un attacco genocida nei confronti dello Stato ebraico e del popolo ebraico. Quando parlo di genocidio mi riferisco all’obiettivo di Hamas e a cosa è contenuto nel suo statuto, sradicare lo Stato e il popolo ebraico. Basta cercare su Google e leggere cosa c’è scritto in quel documento. Il giorno dopo all’attacco si sono aggiunte altre organizzazioni e stati che condividono lo stesso obiettivo: l’Iran, Hezbollah, gli Houti, la Siria e islamisti iracheni. Questa è la corretta cornice per inquadrare i fatti del 7 ottobre: un attacco genocida che ha costretto Israele prima di tutto a proteggersi. Un obbligo morale e un diritto che ogni nazione ha. Sono molto grato per la sincera preoccupazione che la Chiesa cattolica ha manifestato e anche quella espressa da parte del Papa, sia nelle parole che nei fatti, per gli ostaggi israeliani che sono stati catturati. Israele è impegnato moralmente come società e come democrazia su questo fronte, nei confronti di ognuno di loro. È ciò che sta accadendo sulla base degli accordi sul cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi entrati in vigore nei giorni scorsi. Il Papa ha espresso la sua sincera preoccupazione e ha incontrato in tre occasioni le famiglie dei rapiti. Questo è molto, molto apprezzabile così come apprezzo anche la sua genuina preoccupazione per la sofferenza di tanti che sono rimasti vittime in questa situazione, anche a Gaza. Bisogna capire che questa sofferenza è provocata solo per colpa di Hamas, che prende le risorse di Gaza e le investe in un piano genocida contro lo Stato ebraico. Questa è la ragione per la situazione in quell’area. Ci assicureremo che non ci sia più Hamas a Gaza e che tutti i nostri ostaggi tornino a casa. Questo darà speranza e un futuro positivo alla gente di Gaza. Così come l’indebolimento di Hezbollah dà speranza al popolo del Libano e la stessa cosa accade per la caduta del regime di Assad in Siria, fatto che non sarebbe accaduto se Israele non si fosse impegnato nell’area. Una speranza anche, addirittura forse in primo luogo, per le comunità cristiane. Quindi bisogna guardare ai fatti del 7 ottobre da una prospettiva ampia. La guerra non è mai bella e ha sempre delle conseguenze indesiderate: la gente muore, muoiono innocenti, anche persone che non c’entrano e ogni perdita è deplorevole. Ma alla fine per arrivare alla pace, e la mano di Israele è sempre tesa verso la pace, bisogna rimuovere gli ostacoli che si frappongono sul percorso. E Hamas, Hezbollah e altri rappresentano un ostacolo».

*ha collaborato Giovanni Ciappelli di Radio Toscana



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