Scuole trasformate in musei di guerra: così i bambini russi celebrano gli invasori dell’Ucraina

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Durante la tradizionale conferenza stampa di fine anno, a dicembre Vladimir Putin aveva annunciato che il 2025 sarebbe stato dedicato a onorare la patria e tutti coloro che sono impegnati o hanno dato la vita per difenderla. Oggi, a quasi tre anni dalla guerra di invasione contro l’Ucraina, in Russia c’è chi sembra aver preso un po’ troppo alla lettera questa affermazione: da Mosca alle aree più remote della Siberia, dal febbraio 2022 si sono moltiplicate in tutto il Paese iniziative dedicate a sensibilizzare la popolazione nei confronti di quella che è stata definita una “operazione speciale”. Una scelta linguistica assolutamente non banale, capace di donare alle azioni militari e all’invasione del Donbass un’aura quasi mistica, con la Russia impegnata a debellare una rievocazione del fascismo a tinte gialle e blu, come i colori della bandiera ucraina.

La macchina della propaganda ha così riavvolto il nastro fino a riportare in auge una dialettica di metà Novecento, quando la Russia combatteva l’esercito della Germania nazista. Ecco dunque che fare presa sulla popolazione risulta quanto mai fondamentale: oltre a una serie di limiti stringenti ai mezzi di comunicazione e alle piattaforme di informazione, il Cremlino ha avviato numerose iniziative dedicate in particolar modo ai più piccoli, facendosi spazio perfino tra i banchi di scuola.

In Russia come pure in Ucraina, per quanto la celebrazione delle gesta eroiche dei difensori della patria sia un rituale consolidato e largamente diffuso, dallo scoppio del conflitto l’esaltazione dei soldati e dei caduti ha assunto un ruolo determinante nella narrazione della guerra, comunque la si intenda. E poi la scuola, per eccellenza la fucina delle nuove generazioni: mentre l’Ucraina fa i conti con istituti distrutti dai droni o riconvertiti a rifugi antimissile per interi quartieri e con un elevatissimo numero di bambini che, dalla pandemia di Covid fino ad oggi, non hanno mai svolto un anno scolastico continuativo in presenza, in Russia e nei territori sotto occupazione le aule sono diventate luogo simbolo di un processo di “russificazione” che passa dall’eliminazione del termine “Ucraina” da libri e manuali fino all’addestramento all’uso di armi e droni da combattimento.

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Nell’ambito di queste azioni, bollate dall’Occidente come tentativi di falsificare e riscrivere la Storia, l’ultima trovata è la creazione di veri e propri musei dedicati all’operazione speciale all’interno delle scuole. Una tendenza in costante crescita soprattutto nell’ultimo anno, quando i programmi formativi sono stati implementati con l’aggiunta di speciali corsi in preparazione alla vita militare. In una scuola di Belgorod, capoluogo dell’omonimo distretto incuneato tra le regioni ucraine di Sumy e Karkhiv, la sezione museale ospita numerosi cimeli di guerra appartenenti ad ex studenti passati sotto le armi e addirittura uno stendardo militare che, stando a quanto affermato dall’istituto, sarebbe stato benedetto dal patriarca Kirill, guida spirituale della Chiesa ortodossa russa. A Ulan-Ude, nella remota repubblica della Buriazia affacciata sul Lago Bajkal, una sezione della locale scuola di arte è stata trasformata in un museo con ritratti di soldati caduti, teche con effetti personali e una speciale cassetta in cui gli studenti possono inserire lettere e cartoline da inviare ai militari impegnati nel Donbass: «Musei come questi ci permetteranno di trasmettere la verità», ha affermato con soddisfazione il sindaco Igor Shutenkov a margine dell’inaugurazione.

La questione, però, è più complessa di quanto sembri. Le fotografie dei soldati russi caduti in Donbass richiamano alla memoria la parete azzurra della Chiesa di San Michele a Kiev, tappezzata con le immagini dei militari ucraini uccisi dall’esercito di Mosca fin dal 2014. Il motivo che li tiene lì, fissati in uno scatto per l’eternità, è invece profondamente differente: intervistato dal Moscow Times, lo storico Vladislav Staf ha etichettato i musei all’interno delle scuole come l’ennesimo tentativo di giustificare il conflitto in corso in Ucraina, sulle cui motivazioni profonde «non c’è ancora una risposta unica e chiara».

Scuole riconvertite a luoghi della memoria per i protagonisti di una guerra raccontata come un’operazione militare speciale. A Simferopoli, nella Crimea annessa dalla Russia nel 2014, il cortile della scuola n.5 (secondo il sistema con cui vengono denominati gli istituti) ospita al suo interno diversi residuati bellici tra cui frammenti di missili Nato, bossoli di proiettile e caschi militari, e a breve verrà realizzato un poligono di tiro nelle immediate vicinanze del plesso principale per consentire agli studenti di esercitarsi all’utilizzo delle armi da fuoco. Esempi del genere non mancano nemmeno a Mosca: iconico, in tal senso, il museo intitolato “Storia del Donbass”, realizzato con finanziamenti ministeriali e altri fondi provenienti dall’area sotto occupazione di Donetsk, ai cui bambini è dedicata una delle mostre.

Quella dei musei di guerra dedicati ai più piccoli sembra essere diventata quasi una moda nella capitale, dove si prevede l’apertura di almeno altri cinque spazi espositivi per un costo complessivo di quasi cinquantamila dollari. Il tutto, conclude lo storico Stef sulle colonne del quotidiano moscovita, nell’ottica di portare avanti un’opera di indottrinamento che va di pari passo con la demonizzazione del nemico, o per meglio dire della sua “fascistizzazione”: «Non c’è bisogno di mettere in discussione chi sono i nemici: fratelli o vicini non importa, se sono fascisti questo legittima la lotta».

Nell’ambito di un conflitto che tra qualche giorno compirà il suo terzo anno consecutivo, iniziative come quella dei musei all’interno delle scuole testimoniano meglio di qualsiasi altro espediente il ruolo decisivo degli strumenti di propaganda, studiati in ogni minimo dettaglio per avere sulle generazioni future un effetto che duri il più possibile.



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