Foibe: una tragedia da ricordare e comprendere

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Premessa

Nel saggio Foibe (2003), di Raoul Pupo e Roberto Spazzali, leggiamo che “quando si parla di foibe ci si riferisce alle violenze di massa a danno di militari e civili, in larga prevalenza italiani, scatenatesi nell’autunno del 1943 e nella primavera del 1945 in diverse aree della Venezia Giulia, e che nel loro insieme procurarono alcune migliaia di vittime.”

In memoria delle vittime delle foibe (e degli esodati) della regione giuliano-dalmata, la legge n. 92 del 30 marzo 2004 ha istituito la giornata dedicata al ricordo, che si celebra il 10 febbraio di ogni anno: fu scelta questa giornata perché in tale data, nel 1947, furono firmati a Parigi gli accordi di pace che chiusero ufficialmente il secondo conflitto mondiale.

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I fatti che vengono commemorati, perlomeno quelli riferiti ai cosiddetti infoibati, si verificarono quando il conflitto era ancora in corso – settembre e ottobre del 1943 – e/o quando volgeva al termine (primavera del 1945), quando già si delineava  lo scenario della guerra fredda e dei blocchi contrapposti.

La divulgazione degli eventi, in generale, si è spesso concentrata su quanto accadde nella primavera del 1945, e negli anni successivi con il grande esodo, ma non va dimenticato come nei mesi di settembre e ottobre del 1943, subito dopo l’armistizio dell’8 settembre, si consumò, specie nelle aree rurali istriane, una spirale di violenze (omicidi, sevizie, stupri, etc.) che colpì tutti coloro, non solo italiani, che furono ritenuti colpevoli di aver collaborato col regime fascista e/o con le autorità di occupazione. A farne le spese non soltanto militari o gerarchi, ma anche membri delle forze dell’ordine e comuni cittadini, come funzionari pubblici, impiegati e insegnanti, proprietari terrieri, persino ostetriche e levatrici.

I fatti del 1943

A differenza di quanto avverrà a fine guerra, quando si parlerà di “violenza di Stato”, i fatti del 1943 si configurarono per lo più come un moto (più o meno) spontaneo di ribellione e vendetta contro quelli che erano ritenuti i protagonisti della passata occupazione, dove il comune cittadino, italiano o meno che fosse, veniva identificato con l’oppressore.

Un ulteriore distinguo tra le due ondate di violenza investe il profilo spaziale: i fatti del 1943 come detto investirono soprattutto l’Istria, mentre nel 1945 l’epicentro si spostò nelle province di Trieste e Gorizia. Inoltre, se la prima delle due scaturì dal crollo del fascismo e dal successivo armistizio di Cassibile, nel 1945 fu il regime di occupazione nazifascista, che aveva istituito in Friuli, nella Venezia Giulia e in Dalmazia la cosiddetta “zona di operazioni litorale adriatico” (controllata di fatto dai tedeschi) a implodere, travolto dalla sconfitta bellica.

Tornando all’autunno del 1943, poco prima dell’arrivo delle forze di occupazione dell’Asse, si creò una sorta di limbo, nel quale il crollo del regime di occupazione dell’Italia fascista lasciò spazio, per alcune settimane, alle forze antagoniste. Queste ultime, approfittando del fatto che i tedeschi in un primo momento si preoccuparono di occupare i centri nevralgici di Trieste, Pola e Fiume  – il che spiega perché nella prima ondata di violenze ad essere colpita fu più che altro l’Istria -, proclamarono l’annessione della penisola istriana alla Iugoslavia, dando avvio – senza una organizzazione definita, per lo meno senza un disegno organico – alla resa dei conti con gli ex occupanti; in questa fase nacquero i , “poteri popolari” e furono celebrati in tutta fretta (quando vi furono) processi sommari ed esecuzioni ai danni dei “nemici del popolo” (veri o presunti), che sfociò nei primi infoibamenti.

Gli italiani “brava gente”

Se qualcuno si interrogasse sulle ragioni di tanto risentimento, la risposta va cercata nel fatto che noi italiani, purtroppo, abbiamo una memoria storica assai corta, per meglio dire selettiva, specie quando si parli di episodi o comportamenti che non ci fanno particolarmente onore. Per quanto ultimamente, l’argomento cominci (giustamente) a essere dibattuto, e non sia solo più appannaggio di storici e addetti ai lavori, non ci dovremmo mai stancare di ricordare come, nella provincia di Lubiana, occupata nei primi anni di guerra assieme alla costa dalmata e alla provincia di Zara (la città era già prima un’enclave italiana), gli italiani praticarono una dura politica di occupazione e feroce italianizzazione, con tanto di leggi e provvedimenti molto stringenti nei confronti delle popolazioni slave: per esempio furono vietate, già a partire dagli anni Venti per le parti annesse dopo la Prima Guerra Mondiale, l’uso degli idiomi locali. E con la guerra le cose peggiorarono. Si diede vita a veri e propri campi di concentramento, dove furono internate le (numerose) popolazioni locali contrarie alla politica fascista di assimilazione. Resta negli annali un telegramma dell’allora comandante dell’XI corpo d’armata, generale Mario Robotti (spalleggiato dal suo superiore Mario Roatta), che scrivendo ai suoi sottoposti nell’agosto del 1942, riportava una frase lapidaria (tutta in maiuscolo): «Si ammazza troppo poco!». In sostanza, l’invasione e l’occupazione nazifascista della Iugoslavia, iniziata nell’aprile del 1941, divenne ogni giorno più cruenta, rappresentando un vulnus al mito nostrano degli italiani “brava gente”. In realtà, per demolirlo basterebbe avere contezza dei crimini perpetrati in queste regioni, e in Grecia, senza citare l’Africa, per non allargare troppo il discorso, rinviando alla lettura dei libri dello storico Angelo Del Boca. È bene ribadire che le vittime delle violenze non furono solo italiane, ma anche slovene e croate, messe all’indice in quanto “collaborazionisti”, ragion per cui, per restare sempre ai fatti del ’43, sarebbe improprio parlare di una violenza su base etnica.

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Non tutte le vittime morirono nelle foibe

Per quanto le foibe siano divenute, in un certo senso, il simbolo stesso della tragedia, diciamo subito che non tutte le vittime delle violenze degli anni Quaranta furono precipitate vive nelle cavità carsiche. Le foibe, veri e propri “inghiottitoi naturali”, non furono quasi mai strumenti per dare la morte ai malcapitati, bensì per l’occultamento delle vittime; è verissimo che in diverse occasioni le persone furono gettate ancora vive all’interno delle cavità, magari con la promessa che se si fossero salvate sarebbe stata loro risparmiata la vita, ma nella maggior parte degli episodi chi vi veniva precipitato era già stato ucciso in precedenza.

Non era la prima volta che le foibe, termine derivante dalla lingua slovena, venivano utilizzate a tale scopo. Queste cavità naturali, diffuse nell’entroterra istriano e nei pressi di Trieste e Gorizia già in precedenza erano state utilizzate per occultare cadaveri, come per esempio i corpi dei militari morti in guerra; probabilmente vi si fece ricorso perché costituivano il mezzo più celere per disfarsi dei cadaveri. Se vogliamo, tutto questo rappresenta un’atroce beffa, visto che prima della guerra era diffusa tra le genti locali l’abitudine di gettare nelle foibe carcasse di animali o semplici rifiuti, come non erano mancati i suicidi, per cui il loro utilizzo in queste circostanze farebbe pensare a una sorta di cinica equiparazione tra gli esseri umani e semplici rifiuti da “smaltire”. Per questi scopi non furono utilizzate solo le cavità naturali, ma anche miniere di Bauxite o il pozzo minerario di Basovizza, divenuto sede del memoriale ufficiale (www.foibadibasovizza.it/).

Gli esodati. Brevi cenni

Un discorso del tutto diverso, per quanto i due fatti vengano spesso accomunati, è quello che investe gli esuli di origine italiana che abbandonarono nel dopoguerra le regioni della Venezia Giulia passate dalla Iugoslavia (si parla di circa 250mila persone, ma c’è chi riporta numeri ben più elevati): oggi non ce ne occuperemo per non ampliare troppo il discorso, limitandoci a dire che se un punto di contatto può essere trovato tra i fatti descritti e il grande esodo del dopoguerra, il tutto può essere ricondotto a un clima di violenza e intimidazione, che spinse in tanti a lasciare tutto, nel  timore del ripetersi di certi scenari.

Un argomento a lungo trascurato?

Uno degli errori più comuni sulle foibe è che per molti anni di quegli eventi non si sia più parlato. I primi a farlo, per quanto la cosa possa sorprendere, furono i tedeschi occupanti. Le prime operazioni di ispezione e rinvenimento dei cadaveri precipitati nelle cavità naturali furono messe in atto proprio durante il regime di occupazione, instaurato nella Venezia Giulia, Istria e Dalmazia a partire dall’autunno del 1943. Non si deve pensare a un gesto umanitario da parte delle forze del Terzo Reich: i rinvenimenti – cui seguirono le prime stime sul numero delle vittime – costituirono un efficace strumento di terrore e propaganda contro i perfidi “slavo comunisti”, dei quali veniva così dimostrata tutta la crudeltà ed efferatezza. Le vicende belliche resero via via meno prioritarie le operazioni di recupero, ma ci sono pervenuti una serie di documenti storici che costituiscono una preziosa fonte d’informazioni, naturalmente da valutare con ogni accortezza, vista la evidente parzialità della parte coinvolta e gli eccessi propagandistici che circondarono le indagini.

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Primavera 1945

Facendo un salto in avanti di circa un anno e mezzo, arriviamo alla primavera del 1945, quando la guerra in Europa volge al termine, con la disfatta delle forze dell’Asse. In quella fase, i territori della Venezia Giulia e dell’Istria, a cominciare dalla città di Trieste – nota per la sua valenza strategica ed economica, prima ancora che simbolica – erano contesi tra le forze partigiane guidate da Josip Broz (Tito) e gli alleati occidentali, tra i quali figurava anche l’Italia (quasi del tutto) liberata, alla quale era stato riconosciuto dagli alleati lo status di co-belligerante. Non potendo approfondire più di tanto, ci limiteremo a dire che in quella sorta di “corsa” per occupare per primi le zone contese, ciascuna parte si proponeva di mettere l’altra di fronte al fatto compiuto. Ed è importante dire questo, per comprendere come la nuova ondata di violenze, questa volta più organizzata rispetto a quella del ’43, si collegò direttamente con la volontà di “arrivare primi”, colpendo, anche questo non è un caso, i centri urbani – a cominciare da Trieste e Gorizia – con l’obiettivo di eliminare e/o indurre alla fuga tutti coloro che si opponessero all’annessione di questi territori alla futura Iugoslavia.

Non solo italiani

Ancora una volta ad esserne travolti non furono solo gli italiani, fascisti o meno che fossero, quanto tutti coloro che si fossero opposti, più o meno apertamente, al disegno politico del nuovo stato socialista iugoslavo: anche in questo caso, pertanto, ad essere uccisi o deportati furono anche gli slavi, non esclusi coloro che militassero in formazioni non marxiste.

Il paragone con altre tragedie

Il che ci offre lo spunto per rispondere a uno dei tanti (e improbabili) paragoni che sono stati proposti tra le foibe (usiamo il termine in senso meramente descrittivo) e le guerre iugoslave degli anni Novanta. Fermo restando che in entrambi i casi furono commessi numerosi crimini, spesso ai danni di persone innocenti, il binomio sarebbe quantomeno discutibile. La violenza degli anni Quaranta, come abbiamo visto, non aveva una matrice etnica, ma era stata mossa da risentimenti personali (specie nel ’43) o da ragioni politiche (1945). In altre parole, tanto nel ’43 che nel ’45, non si può parlare di un progetto di pulizia etnica, vale a dire scacciare da un determinato territorio gli appartenenti a una certa nazionalità, bensì di una vendetta contro l’oppressore o del perseguimento dell’obiettivo politico di conquista territoriale (e, se vogliamo, ideologica), che passava attraverso l’eliminazione del nemico di turno, a prescindere dalla sua appartenenza etnica. Infine, in merito all’ipotesi di una equiparazione tra foibe e olocausto, si è espresso fin troppo chiaramente lo storico Marcello Flores, che ha definito il paragone «frutto di ignoranza o stupidità». Per quanto porre sullo stesso piano certi fatti possa, di primo acchito, apparire corretto, si tratta di vicende troppo complesse per essere messe sullo stesso piano, il che – si badi bene – non significa affatto non esecrare i crimini commessi.

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Tante posizioni emerse nel dibattito

Per completezza, senza voler entrare nel merito del dibattito, ricordiamo che la pubblicazione di Joze Pirjevec (e altri autori) sulle foibe è stata oggetto di critiche in quanto ad avviso di diversi storici, come Giuseppe Parlato o Ugo Finetti, andrebbe ricondotta al cosiddetto filone “riduzionista o negazionista”. Molte polemiche ha suscitato anche il convegno, intitolato “La narrazione intorno alle ‘foibe’: riflessioni su un’ambigua verità di Stato”, organizzato a Trieste nel 2019 – chi vorrà potrà seguirlo anche su Youtube (www.youtube.com/watch?v=_BZghHtOOoE&t=0s) – che però reca elementi di attenzione e interesse, che meriterebbero quantomeno un dibattito, nel rispetto di tutte le posizioni.

Chi erano gli infoibati?

E se c’è un punto sul quale le discussioni si fanno particolarmente accese, questo, come accennavamo, riguarda il numero delle vittime, tanto per i fatti del ’43, che del ’45.  Esistendo sul punto una corposa storiografia, non possiamo che rinviare alla stessa, limitandoci solo a una considerazione, magari banale, ma a nostro avviso importante: a prescindere dalla posizione che si voglia assumere, e tenendo sempre a mente che solo una parte delle vittime fu infoibata, un clima di violenze fondata su una giustizia sommaria – che provochi una, cento, mille, centomila vittime – non è mai una cosa buona. Si era in guerra e in un contesto molto particolare, verissimo, ma in via di principio questo non la rende per ciò solo giustificabile. Se poi tra le vittime figuravano dei criminali – come probabile, per esempio chi lavorò per il famigerato Ispettorato speciale per la pubblica sicurezza della Venezia Giulia e/o prestò la propria opera in quell’inferno in cui venne trasformata la risiera di San Sabba – il percorso di giustizia avrebbe dovuto essere auspicabilmente diverso. Ma vivendo nel mondo reale sappiamo che in guerra, oltre alla verità, una delle prime vittime è la giustizia.

Le difficoltà per stilare un bilancio delle vittime

Spendiamo qualche parola sulle difficoltà nello stilare un bilancio delle vittime. Occorre tener conto, in primis, delle difficili operazioni di rinvenimento dei resti umani all’interno delle foibe – vi risparmieremo i dettagli più atroci – del fatto che nel contesto bellico furono in tanti a morire per le vicende stesse della guerra (pensiamo ai morti in battaglia o causati dai bombardamenti), a tutti coloro che dopo l’arresto trovarono la morte nell’ambito dell’apparato repressivo e concentrazionario del regime comunista iugoslavo (tristemente noto quello di Borovnica), alle vittime di vendette personali o atti di criminalità comune. Guido Franzinetti, che insegna Storia contemporanea e dei territori europei presso l’università del Piemonte Orientale di Vercelli, sentito da Il Fatto quotidiano nel 2016, parlò di un numero ridotto di vittime italiane nelle foibe, mentre la maggioranza trovò la morte nei campi di concentramento iugoslavi gestiti dall’OZNA, il Dipartimento per la Protezione del Popolo, la polizia politica del regime titino, denunziando allo stesso tempo una notevole ritrosia nel nostro paese a fare chiarezza sui fatti, mentre, e qui citiamo sempre da Il Fatto quotidiano, in altri paesi (Slovenia e Croazia) “c’è un grosso settore ben contento di riconoscere crimini ai comunisti sloveni e croati: oltre agli italiani furono uccisi molti più sloveni e croati”; per la cronaca, Pupo e Spazzali parlano di centinaia di vittime nel ’43 e di diverse migliaia nel ’45.

La posizione di Alessandra Kersevan

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In un passaggio di una intervista al periodico Trenta Giorni del 2007, la storica Alessandra Kersevan sosteneva che: «Nelle foibe non sono finite donne e bambini, i profili di coloro che risultano infoibati sono quasi tutti di adulti compromessi con il fascismo, per quanto riguarda le foibe istriane del ’43, e con l’occupatore tedesco per quanto riguarda il ’45. I casi di alcune donne infoibate sono legati a fatti particolari, vendette personali, che non possono essere attribuiti al Movimento di liberazione. Va detto inoltre che i numeri non sono assolutamente quelli della propaganda di questi anni: è ormai assodato che in Istria nel ’43 le persone uccise nel corso dell’insurrezione successiva all’8 settembre sono fra le 250 e le 500, la gran parte uccise al momento della rioccupazione del territorio da parte dei nazifascisti; nel ’45 le persone scomparse, sono meno di 500 a Trieste e meno di 1000 a Gorizia, alcuni fucilati ma la gran parte morti di malattia in campo di concentramento in Jugoslavia. Uso il termine “scomparsi”, ma purtroppo è invalso l’uso di definire infoibati tutti i morti per mano partigiana. In realtà nel ’45 le persone “infoibate” furono alcune decine, e per queste morti ci furono nei mesi successivi dei processi e delle condanne, da cui risultava che si era trattato in genere di vendette personali nei confronti di spie o ritenute tali. Insomma, se si va ad analizzare la documentazione esistente si vede che si tratta di una casistica varia che non può corrispondere ad un progetto di “pulizia etnica” da parte degli jugoslavi come si è detto molto spesso in questi anni».

Il dopoguerra e i primi tentativi di storicizzare le foibe

Venendo al “poi”, come ricordano Pupo e Spazzali, nel dopoguerra furono celebrati alcuni processi contro gli autori degli eccidi, ma si trattò sempre del perseguimento di fatti singoli, mai di un processo sulle foibe o contro gli infoibatori in generale: diversi degli autori dei crimini trovarono rifugio in Iugoslavia, scampando così alla giustizia. Lo stesso discorso varrà per il processo celebrato tra fine Novecento e il nuovo millennio a Roma, tra i quali il croato Oskar Piskulic, ex ufficiale della OZNA mai presente in aula, che si chiuderà con una sentenza di proscioglimento.

In effetti, fu a partire dai primi anni Sessanta che si cominciò a storicizzare le foibe, mentre col processo contro i responsabili della risiera di San Sabba degli anni Settanta si tentò di riportare alla luce molti fatti. Va detto che un autorevole storico come Giovanni Miccoli ha sempre rigettato ogni accostamento tra le foibe e San Sabba. Galliano Fogar, tra i massimi studiosi dell’argomento nei decenni del dopoguerra, non sembra accogliere l’idea di un genocidio antitaliano, che ove praticato – a suo avviso – avrebbe provocato molte più vittime. Sulla stessa linea Diego De Castro, che fu consigliere del governo italiano presso l’amministrazione militare di Trieste, che parla casomai di una logica di “epurazione preventiva” contro i nemici (presunti) del nuovo regime titino, che forse e per breve tempo pensò di estendere i suoi confini fino a Trieste. Su violenza di stato e clima da epurazione preventiva si incentrano le riflessioni della Commissione mista italo slovena istituita nel 1993 di comune accordo tra i due governi, che ha presentato le sue conclusioni negli anni duemila. Sergio Dini, ex capo della procura militare di Padova, chiamato a indagare a inizio millennio sulle Foibe, così si pronunciò in merito a presunti intralci alla giustizia: «Avevamo individuato i responsabili ma l’inchiesta fu trasferita dalla Cassazione e sparì. Il comandante del campo di concentramento di Borovnica? Prese la pensione italiana fino alla morte».

Conclusioni

Trovandosi oggi a scrivere delle Foibe, trascorsi oramai quasi ottant’anni dall’ondata di violenze del ‘45, il dovere della memoria resta quanto mai attuale. Prendendo le mosse dalle motivazioni politiche contingenti e dal contesto internazionale del secondo dopoguerra, che a lungo fece calare il silenzio su quei fatti, tranne che tra gli addetti ai lavori, ci sia consentito di esprimere qualche perplessità sui tentativi di strumentalizzazione politica dei fatti, magari in funzione di improbabili paragoni con la tragedia dell’Olocausto. Come abbiamo già detto, forse l’unico punto di contatto è che un crimine resta tale, tanto che sia compiuto per ragioni politiche, quanto che lo si commetta per odio etnico o religioso, circostanze che spesso celano ben altre finalità.

I fatti dell’Istria e della Venezia Giulia racchiudono al loro interno una serie di fattori dei quali non si può non tenere conto: il contesto storico, le vicende belliche, una serie di violenze che evocano la responsabilità di vari attori, le vicende del secondo del dopoguerra, con la rottura tra Tito e Stalin (1948) e la nuova collocazione internazionale della Iugoslavia socialista. In tal senso, il lavoro di indagine e accertamento, affidato agli storici e ai ricercatori, dovrebbe fondarsi anzitutto sulle fonti documentali, trascurando le mere opinioni. A nostro avviso, l’insieme di fatti e circostanze chiamate, per semplificare, “tragedia delle Foibe”, dovrebbe insegnare che quando il terrore e la convenienza politica prendono il sopravvento, magari associati alla propaganda martellante, al rancore e al fanatismo, non ne viene mai nulla di buono.

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Per tutto quanto non abbiamo potuto dirvi e raccontarvi per esigenze di tempo e di spazio, vi chiediamo perdono e vi rimandiamo, ancora una volta, alla consultazione di libri e documenti, l’unico metodo per chi voglia veramente comprendere.

FONTI

Raoul Pupo – Roberto Spazzali, Foibe, Bruno Mondadori, 2003

www.treccani.it/enciclopedia/foibe_%28Enciclopedia-Italiana%29/

Jože Pirjevec e altri, Foibe, Una storia d’Italia, Giulio Einaudi, 2009

Tony Judt, Postwar, Laterza, 2017

www.focus.it/cultura/storia/che-cosa-furono-i-massacri-delle-foibe

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Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell’Età contemporanea – sito web www.irsml.eu/

www.irsrecfvg.eu/didattica/materiale/217/Vademecum-per-il-Giorno-del-Ricordo-Seconda-edizione-2020

Associazione culturale “Tina Modotti” Trieste VERSO IL 10 APRILE: INCONTRO CON ANGELO D’ORSI LA NARRAZIONE INTORNO ALLE ‘FOIBE’: RIFLESSIONI SU UN’AMBIGUA VERITÀ DI STATO (Testro dei Fabbri, Trieste, 10/04/19) – convegno disponibile su Youtube al seguente link: www.youtube.com/watch?v=_BZghHtOOoE&t=0s)

www.ilfattoquotidiano.it/2016/02/09/giorno-del-ricordo-nelle-foibe-migliaia-di-vittime-e-almeno-200mila-deportati-ma-gli-italiani-preferiscono-dimenticare/2446075/

www.editorialedomani.it/fatti/foibe-giorno-del-ricordo-n282qs7c

www.editorialedomani.it/fatti/invasione-italia-jugoslavia-foibe-guy8xn06

web.archive.org/web/20200225211109/http://www.anvgd.it/notizie/6631-14-ott-parlato-le-foibe-tornano-tabu-con-il-libro-di-pirjevic.html

www.nuovarivistastorica.it/il-libro-dello-scandalo-che-%c2%abocculta%c2%bb-le-foibe/

www.isgrec.it/confine_orientale_2018/materiali/relazione%20commissione%20mista.pdf

www.storiastoriepn.it/associazione-culturale-tina-modotti-trieste-verso-il-10-aprile-incontro-con-angelo-dorsi-la-narrazione-intorno-alle-foibe-riflessioni-su-unambigua-ver/

www.storiaxxisecolo.it/dossier/Dossier1a2.htm

storiainrete.com/foibe-il-pm-che-indago-sugli-eccidi-il-processo-fu-bloccato-per-disinteresse-e-scomodita/

insideover.ilgiornale.it/storia-2/cosi-inizio-il-grande-dramma-degli-italiani.html

www.internazionale.it/notizie/nicoletta-bourbaki/2017/02/10/foibe

web.archive.org/web/20090206150109/http://www.romacivica.net/anpiroma/rassegnasta/rassegna_cor040401a.htm



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